LIVE TOGETHER OR DIE ALONE

Di Marco Fortunato

“Vivere insieme o morire da soli”, volendo usare un’iperbole potrebbe questo il motto (che forse qualcuno ricorderà come titolo dell’episodio finale della seconda stazione della fortunata serie TV Lost) di Europa Cinemas, il più importante network europeo di sale d’essai  che nei giorni scorsi ha organizzato un’interessante tavola rotonda che ha visto confrontarsi, in modalità “virtuale”, oltre 20 esercenti in rappresentanza di 14 paesi.

In un’Europa che vive il momento più rigido del suo lungo lockdown – con le sale cinematografiche chiuse praticamente ovunque, ad eccezione dell’area balcanica e del Lussemburgo – non manca la voglia di pensare al futuro del cinema e alle strategie per riportare il pubblico in sala dopo quasi un anno di astinenza forzata dalla visione collettiva.

Quali gli elementi caratteristici dell’esperienza cinematografica e come valorizzarli? Come distinguersi dall’offerta online delle piattaforme? Su quali target di pubblico puntare e come massimizzare l’efficacia della comunicazione? Quali strategie di programmazione mettere in campo? Questi e molti altri i temi all’ordine del giorno che si sono necessariamente intersecati in un’animata discussione che, al di là delle normali differenze d’approccio, ha visto una sostanziale convergenza nelle risposte pratiche ai quesiti comuni. A partire dall’analisi della situazione attuale che ha visto gli esercenti esprimere un generale ottimismo circa una prossima riapertura delle sale che si ipotizza tra la fine di aprile e metà maggio, in prospettiva di un’estate ricca di eventi all’aperto e di autunno segnato dal superamento, grazie ai vaccini, dell’emergenza.

Un traguardo, quello del ritorno alla normalità, al quale sarà importante arrivare preparati. Fondamentale lavorare fin da subito sulla comunicazione, valorizzando quanto appreso in questi mesi, i relativi progetti e le indicazioni emerse.  Se è vero ad esempio che molte sale, in questi mesi, hanno messo in piedi piattaforme streaming per continuare a garantire un’offerta al proprio pubblico e altrettanto vero che i risultati, in generale, sono stati piuttosto deludenti. Una conferma, indiretta, dell’insostituibilità della sala, da cui ripartire per veicolare il vero valore aggiunto delle sale, in primis quelle d’essai, cioè l’elemento umano. Spazio alla creatività con ipotesi di podcast, clip o altre forme di iterazione con il pubblico per raccontare non più solo i contenuti ma i contenitori: le sale cinematografiche, e la loro “vita” a 360°. Un’operazione nuova, che passa per un coinvolgimento personale di tutto staff, chiamato a mettere in campo un elemento personale, descrivendo il proprio lavoro (nelle sue declinazioni pratiche ma anche e soprattutto nelle sue motivazioni sociali e culturali), nella consapevolezza che la dimensione umana rappresenta uno degli elementi di unicità di ogni singola realtà, che la distingue rispetto a tutte le altre e la lega alla comunità di cui fa parte. Si valorizzerà così la sala come luogo d’incontro, occasione di socialità di qualità, esperienza gradevole e arricchente da diversi punti di vista. Un’opportunità che vedrà ovviamente in prima linea quelle strutture che, oltre alle sale dispongono di spazi “altri” – come caffè o sale di lettura – ma utile a tutti come input strategico a lavorare verso un allargamento dell’esperienza cinematografica oltre la visione, con l’obiettivo di rendere la sala un luogo da frequentare anche prima e dopo un film. Magari anche da soli. Per fare nuove conoscenze al “discussione table”, un tavolo che si può trovare nel bistrò di alcuni cinema in Polonia riservato a quanti hanno piacere di confrontare le proprie opinioni su quanto appena visto.

Il tutto senza mandare in pensione l’esperienza dello streaming che, al di là dei risultati, è certamente stata funzionale all’aggiornamento tecnologico di molti cinema e delle relative piattaforme. Strumento utilissimo da mantenere e declinare in funzione dell’arricchimento dell’offerta.

In più di un’occasione ci si è soffermati a riflettere su due delle maggiori incognite dello scenario post-pandemico: il pubblico e il mercato dei contenuti. Sul primo fronte è molto probabile, soprattutto in una prima fase, che vi sia un deciso abbassamento dell’età media dei frequentatori dei cinema perché meno sensibili al “rischio” e più desiderosi di vivere momenti di socialità (anche in attesa di ricevere la copertura vaccinale), una prospettiva che rappresenta una grande occasione per le sale che da tempo inseguono l’obiettivo di rinnovamento – o allargamento – del proprio pubblico. Per “conquistare” questi nuovi spettatori ed evitare che la loro sia una frequentazione occasione saranno necessarie specifiche campagne di comunicazione e fidelizzazione, pensate per le specifiche esigenze di questo target, con formule di marketing accattivanti, mutuate dalle formule di abbonamento “flat” delle piattaforme mainstream, comunicate con un linguaggio efficace ma soprattutto un’attenta selezione dei contenuti.

Tema quest’ultimo che necessariamente si incrocerà con l’altro fronte, l’evoluzione del mercato, che si presume vedrà molte delle vecchie regole del rapporto con distributori completamente stravolte. Anche in questo caso per le sale più intraprendenti e dinamiche si aprono delle grandi opportunità. Probabilmente verranno meno infatti alcune rigidità, si ridurranno i contenuti disponibili poiché alcuni di essi finiranno direttamente sulle piattaforme streaming, e ciò libererà degli spazi nei palinsesti. Si aprirà quindi un nuovo spazio per personalizzare la propria programmazione e sarà l’occasione per imprimere alla propria struttura il proprio marchio di qualità, per rischiare, come forse non si è fatto abbastanza in passato, per dare spazio a nuovi contenuti indipendenti e ricostruire sulla scia della qualità, quel rapporto di fiducia che si basa sulla capacità dell’esercente di conoscere il proprio pubblico e di offrirgli dei contenuti audiovisivi in grado di interessarlo, farlo riflettere e arricchirne il bagaglio culturale attraverso il piacere della scoperta.

Inutile dire che le oltre tre ore di dibattito non hanno esaurito gli spunti di discussione ma hanno certamente lanciato stimoli importanti e rafforzato la convinzione comune che la collaborazione e l’unione delle esperienze e delle idee sia la strada migliore, se non addirittura l’unica possibile, per superare questo difficile periodo.   

SALA, SUPPORTO, STREAMING.

Di Marco Fortunato

Sala, supporto, streaming: tre parole, spesso usate in maniera alternativa e spesso oppositiva per esprimere tre modalità, oggi, di vedere un film (o per meglio dire un contenuto audiovisivo). Ne abbiamo parlato molto, forse troppo, nella costante ricerca di una loro specificità in particolare – inutile nasconderlo – riguardo alla sala. La situazione attuale è sotto gli occhi di tutti. Da una parte lo streaming che mai come oggi vive il suo momento d’oro, di massima espansione, con una proliferazione di piattaforme che sembra non avere fine. Ognuna con una formula, un abbonamento, un algoritmo che si propone di creare un’offerta personalizzata, bulimica (certe serie vanno viste tutte d’un fiato, tanto che si può addirittura saltare la sigla tra una puntata e l’altra) e rigorosamente “disegnata” sui gusti dello spettatore. In mezzo il “supporto”, DVD o Bluray, solo per citare i due più noti. Un mercato in progressivo declino, nato per soddisfare nato l’esigenza degli appassionati che, al piacere della visione, uniscono quello del possesso di una copia del film. Un’idea che avrebbe potuto, secondo alcuni, rivoluzionare il consumo cinematografico (per portarlo dalla sala a casa) ma che oggi sconta pesanti problemi strutturali, tra cui difficoltà tecniche – i costi di realizzazione per quanto ottimizzati non sono comunque risibili – che hanno portato a tirature limitate e difficoltà di reperibilità che non ne agevolano la commercializzazione, scarsi investimento, che si sono tradotti in scarsa qualità e naturalmente la concorrenza dello streaming. Dall’altra parte la sala cinematografica, luogo di cultura e socialità, al momento assente (speriamo ancora per poco), in attesa di capire quale sarà il suo ruolo nel futuro. Un mercato già in grande difficoltà prima della pandemia e sottoposto a forti pressioni dalla crescente concorrenza delle piattaforme che si troverà a breve a fare i conti con uno scenario ricco di incognite: quanti e quali film saranno ancora disponibili? Come reagirà il pubblico di oltre un anno di astinenza forzata dalla visione collettiva?

In più occasioni abbiamo portato il nostro pensiero ed espresso la convinzione che la visione di un film insieme, l’esperienza collettiva e di condivisione rappresentata dal recarsi fisicamente in un luogo diverso da casa nostra per vedere un film insieme a degli sconosciuti (che altro non condividono con noi se non l’aver scelto di vedere quel film in quella sala e a quell’ora) e in particolare l’elemento umano che è parte di tutto il processo siano insostituibili.

Oggi aggiungiamo un altro elemento. Quello della memoria.

Lo spunto è uno studio dell’MIT – Massachusetts Institute of Technology (un grazie a Paola Corti del Cinema Beltrade di Milano per averlo ripreso sulla sua pagina Facebook) che due anni fa ha effettuato un esperimento su 10.000 persone divise equamente per sesso, età e istruzione.

Il test era semplice. Ognuno dei candidati doveva vedere 15 film scelti in alternanza, 5 in sala, 5 con supporto, 5 in streaming. C’era solo un “piccolo” obbligo. In sala si dovevano vedere film che avevano incassato meno, sul supporto gli incassi medi, in streaming i grandi incassi. I film dovevano essere usciti tra il 2010 e il 2015. Dopo un mese ogni candidato veniva ricontattato per un test su cosa ricordasse di quello che aveva visto. Questi i risultati. Le femmine ricordavano perfettamente 5/5 dei film visti in sala, 3/5 sul supporto, 2/5 sullo streaming, I maschi 4/5 dei film visti in sala, 3/5 sul supporto, 1/5 per lo streaming. Tra i titoli più ricordati Hateful Eight, Inception, Mommy, A Dangerous Method. Il più apprezzato e ricordato Ex Machina visto in sala. Tra i meno ricordati Tree of Life, Thor, L’ Uomo d’ Acciaio, Il Grande Gatsby, Jobs. Gravity, visto in streaming, non lo ricordava nessuno.

Ecco un altro valore aggiunto della sala, su cui converrebbe riflettere. Ma a noi, come sempre, piace chiudere con un auspicio, questa volta citando le parole di Luca Baroncini* in un’intervista rilasciata a collettiva.it “i film possono essere ovunque, ma il cinema è solo in sala. Non resta che incrociare le dita e quando le sale riapriranno non solo parlarne, ma frequentarle. Siamo stanchi di proclami, attestati di stima e pacche sulle spalle, occorrono fatti. Questi si concretizzano nel sostegno economico del governo in primis, ma anche nelle nostre scelte di spettatori.”

* Redattore della rivista di cinema Gli Spietati ed esperto di box office: da anni è responsabile della rubrica Il Barometro, che monitora con cura l’andamento del cinema in sala, gli incassi e le tendenze, e cerca di interpretarle.

71 BERLINALE PRIMO TEMPO

Di Lorenzo Codelli

«Se andate a una fiera letteraria non vedete gente in abito di gala ma solo amanti dei libri, autori che scrivono, incontrano il pubblico e basta. Niente stronzate tipo tappeti rossi, vetture sponsorizzate e tutto il resto. Capisco che i festival abbiano un prezzo da pagare per esistere, ma quest’anno non c’è stato e io ne sono felicissimo».

Radu Jude, vincitore dell’Orso d’oro alla 71 Berlinale per Babardeală cu bucluc sau porno balamuc (Chiavata sfigata o folle porno). L’autore rumeno, già Orso d’argento nel 2015 con Aferím!, e presente al Forum berlinese dello scorso anno con ben due film, ha ribadito più volte la propria soddisfazione per lo svolgimento on line, senza cerimoniali nè salamelecchi formali, del festival. I suoi sberleffi prolungati, espressi tramite una scoppiettante satira sociale degna di Marco Ferreri – con personaggi rigorosamente coperti da maschere antivirus -, verranno, si spera, applauditi dal pubblico berlinese a giugno, durante l’annunciato «secondo tempo» della manifestazione.

Nel primo tempo, svoltosi dall’1 al 5 marzo per gli addetti ai lavori, è stato servito un centinaio abbondante di lungometraggi, suddivisi, secondo la tradizione, in diverse sezioni, oltre agli innumerevoli titoli disponibili per i professionisti dell’European Film Market. La stampa tedesca ne ha reso conto parcamente, rimandando stellette e verdetti all’auspicata edizione estiva. Quella internazionale l’ha osannato. Jonathan Romney, veterano critico del Guardian, ha titolato così il suo entusiastico bilancio: «La selezione più impressionante da anni, senza glamour, nè grande schermo, nè freddo, un’edizione virtuale modesta eppure trionfale». Personalmente, ho visionato sì molti più film, belli o brutti, di quanti ne avrei catturati in passato nell’arco di dieci giorni, senza code infinite, rischi sul ghiaccio, trasferimenti da un capo all’altro della metropoli, scioperi aeroportuali ecc. E i concerti, i musei, le esposizioni, le librerie, le sale cinematografiche d’epoca con i loro pubblici ben differenziati, quartiere per quartiere, Est e Ovest, li rimpiango, eccome!

Nè Cannes, nè tantomeno Venezia, offrono un patrimonio socioculturale in moto perpetuo come fa Berlino. Qualche flash cinematografico marzolino. Il robot umanoide interpretato da Dan Stevens in Ich bin dein Mensch, fantacommedia romantica di Maria Schrader, premio alla protagonista Maren Eggert per la migliore performance (premio dato per la prima volta senza far distinzioni di sesso). Il pazientissimo maestro scolastico Dieter Bachmann del bel documentario Herr Bachmann und seine Klasse di Maria Speth. Lo sbirro-velista incarnato da Jérémie Renier in Albatros di Xavier Beauvois. La fotografia in grigio-grigio di Inteurodeoksyeon (Introduzione) del prolificissimo Hong Sangsoo. I sincopati ritmi anni ‘60 di Lucio Dalla rievocati da Pietro Marcello in Per Lucio. Le allucinanti minacce neonaziste profetizzate in Je suis Karl di Christian Schwochow. I binari ferroviari all’alba, alla periferia parigina, in Nous, autoritratto di Alice Diop meritatamente premiato alla sezione Encounters. Le impressionanti foto scattate nei lager nazisti dai deportati ebrei e riportate alla luce da Christophe Cognet in À pas aveugles.

BERNARDO BERTOLUCCI:

un poeta dietro la macchina da presa

Di Andrea Crozzoli

In questo pandemico 2021 Bernardo Bertolucci avrebbe compiuto 80 anni. Occasione propizia, dunque, per veder finalmente pubblicata dalla casa editrice La nave di Teseo l’imperdibile sua lectio doctoralis Il mistero del cinema tenuta all’Università di Parma nel 2014, e occasione altrettanto propizia per ristampare dall’editore Garzanti la raccolta delle sue poesie giovanili In cerca del mistero, volume a suo tempo insignito del premio Viareggio-opera prima nel 1962.

Ciò che lega i due volumi non è solo l’autore, uno dei registi – se non il regista – più internazionale che abbia avuto il cinema italiano, ma anche la parola “mistero” e Bernardo Bertolucci tenta con la sua lectio doctorali di indicarci una qualche via da percorrere per tentare di addentrarci nel mistero della sua creazione artistica. Creazione che passa, prima ancora del cinema, attraverso il distillato della parola scritta, ovvero la poesia. Figlio di Attilio, uno dei maggiori poeti contemporanei, aveva respirato poesia fin dalla culla. I suoi primi componimenti, intrisi di dolce malinconia, come i versi de L’ombra affiorano già alle elementari

Mi piace l’ombra con il suo passo lieve,

Mi segue sempre, è sempre al mio fianco.

È nera, nera anche se c’è la neve …

Poesie che dovevano per forza confrontarsi con la vivida bellezza dei versi paterni; quel padre Attilio che, come affermerà Bernardo in più occasioni, li aveva resi (lui e suo fratello Giuseppe) così figli da non poter essere a loro volta genitori. Nell’adolescenza di Bernardo sarà un’altra figura paterna ad affiancarsi, quella di Pier Paolo Pasolini, all’epoca trasferitosi da poco nello stesso stabile dei Bertolucci. La figura di Pasolini contribuirà, in qualche modo, a costruire la poetica di Bernardo, tanto da fargli dichiarare che considerava una sorta di sua università quelle lunghe sere trascorse al ristorante con Alberto Moravia, Elsa Morante e lo stesso Pasolini ad ascoltare in silenzio le loro discussioni. In quegli stessi anni Pasolini gli dedicherà A un ragazzo, una lunga lirica che fotografava in maniera puntuale ed affettuosa la partecipazione di Bernardo a quei convivi

Col sorriso confuso di chi la timidezza
e l’acerbità sopporta con allegrezza,

vieni tra gli amici adulti e fieramente
umile, ardentemente muto, siedi attento

alle nostre ironie, alle nostre passioni.
Ad imitarci, e a esserci lontano, ti disponi,

vergognandoti quasi del tuo cuore festoso…

Seguendo il percorso di Pier Paolo Pasolini nel labirintico mistero del cinema, prima come aiuto regista in Accattone, e subito dopo firmando, a soli 21 anni, la regia di La commare secca da un soggetto dello stesso Pasolini, per Bernardo si dischiudono nuovi orizzonti. Era il 1962 e, nello stesso anno del premio Viareggio per la raccolta delle poesie In cerca del mistero, si ritrovava anche alla Mostra del Cinema di Venezia con La commare secca dove raccoglieva lusinghiere critiche. Quest’opera segnava l’inizio di una folgorante carriera nel cinema con capolavori come Strategia del ragno, Il conformista, Ultimo tango a Parigi e tanti altri fino al suo momento apicale, nel 1988, con i nove Oscar assegnati a L’ultimo imperatore cui fece seguito nel 1991 l’attesissimo Il tè nel deserto. Quella pellicola fu il primo film importante che Cinemazero riuscì a presentare in uscita nazionale (era uno degli eventi di Natale più attesi del momento) rompendo così la resistenza dei noleggiatori che al tempo ci consideravano poco remunerativi. Il film, in cartellone dal 21 dicembre 1990 al 10 gennaio 1991, totalizzò oltre settemila presenze, un record per Cinemazero rimasto imbattuto per molti anni. Non avevamo avuto il coraggio di invitare Bernardo Bertolucci, richiestissimo da mezzo mondo, ma coscienti dell’importanza di questa uscita nazionale invitammo Gabriella Cristiani, fresca di Oscar per il montaggio de L’ultimo imperatore e montatrice anche per Il tè nel deserto. Appena giunta a Pordenone la Cristiani ci raccontò che in aeroporto aveva incontrato Bernardo, informandolo che lei stava andando a Pordenone invitata alla proiezione de Il tè nel deserto. Risposta di Bertolucci: «Però! A me nessun invito!».

Nel gennaio 1994 l’invito riparatore. Arrivò così a Pordenone, per la prima volta, Bernardo Bertolucci per presentare, in un caloroso e affettuoso bagno di folla, Piccolo Buddha. Il viaggio in Friuli lo portò, nei giorni seguenti, su sua precisa richiesta sui luoghi “pasoliniani”: dal cimitero di Casarsa, dove volle sostare in silenzio davanti alla tomba di Pier Paolo Pasolini, alla piccola costruzione lungo i binari dismessi dove Pasolini aveva allestito, durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, una piccola scuola, alla chiesetta di San Antonio a Versutta con gli affreschi fatti riemergere dallo stesso Pasolini. Una specie di ritorno al passato per Bernardo Bertolucci che considerava Pasolini come un suo secondo padre, dal quale aveva cercato cinematograficamente di svincolarsi attraverso un linguaggio filmico diverso. Per questo aveva sposato un altro padre, quel Jean Luc Godard che tanto ammirava e spesso citava nel suo cinema.

Ma la matrice poetica di Bernardo Bertolucci, nonostante avesse abbracciato totalmente il cinema, era rimasta intatta, il suo sguardo si posava delicatamente sulle cose e sulle persone con grazia e levità perché, come diceva sempre di lui Giorgio Bassani: «Bernardo è bello dentro e bello fuori.».

Nel 2003, quando già le sue gambe mostravano evidenti segni di cedimento, volle essere presente alla proiezione romana presso il Nuovo Sacher di Nanni Moretti di Pasolini prossimo nostro il bel documentario diretto dal fratello Giuseppe e prodotto da Ripleys e Cinemazero. Dopo la proiezione andammo tutti assieme in un ristorante di Porta Portese per continuare la discussione; noi, Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Nanni Moretti ed altri ancora. Quasi un tentativo di replica delle mitiche serate con Moravia e Pasolini.

Nel 2011 Bernardo Bertolucci ritornerà a Pordenone per Lo sguardo dei maestri a lui dedicato incontrando oltre mille persone al teatro Verdi gremito in ogni ordine di posti. Una disponibilità commovente nel momento in cui veniva chiamato in vari angoli del globo per ricevere Palme d’Oro e altri prestigiosi premi ed omaggi.

Con l’usuale sensibilità poetica aveva risposto all’invito scrivendomi: “… devo ringraziarti per la tua lettera che con la dolcezza e la sapienza di Cinemazero ha costruito per me una gabbietta di cui solo voi avete le chiavi. Dovrò proprio essere con voi a Pordenone …”.

A tre anni dalla sua scomparsa, e ottanta dalla nascita, il mistero della sua genialità creativa, anche se meno fitto di prima, continua in maniera inafferrabile. In ogni caso tanti auguri Bernardo Bertolucci!