Cinemazero protagonista alla FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024
L’immagine ufficiale del festival frutto delle ricerche negli archivi pordenonesi
. Marcello Mastroianni, in un prezioso scatto proveniente dagli Archivi
di Cinemazero, è il protagonista dell’immagine ufficiale della
diciannovesima edizione della Festa del Cinema di Roma, che si svolgerà
dal 16 al 27 ottobre 2024 all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone. La Fondazione Cinema per Roma celebrerà il
mito di Mastroianni con molte altre iniziative.
La fotografia, scelta fra le decine di migliaia
custodite dall’associazione pordenonese per rappresentare anche
internazionalmente l’importante festival romano, è un omaggio al grande attore
a cent’anni dalla sua nascita. Mastroianni è ritratto dal fotografo
americano-tedesco Gideon Bachmann sul set di 8½ di Federico Fellini in uno dei
suoi ruoli più iconici, quello di Guido Anselmi, regista in piena impasse
creativa.
Lo scatto, conservato in rarissimi negativi
originali e in copie positive d’epoca nel nuovo archivio climatizzato di
Cinemazero a Pordenone, immortala Mastroianni mentre indossa il celebre
cappello nero, sul volto gli occhiali dalla pesante montatura, in mano la
frusta e il megafono: un personaggio memorabile, magnificamente interpretato,
in un film premiato con due Oscar, imprescindibile pietra di paragone per
qualsiasi opera sulla fatica e la magia del cinema.
Gideon Bachmann, di cui Cinemazero detiene
moltissimi scatti, fotografò tutta la lavorazione della pellicola (documentando
non solo il noto carosello finale del film), rendendo possibile conoscere –
oltre a molti altri aspetti – l’esistenza di un articolato finale alternativo,
un treno che viaggiava nel nulla, nella notte, forse senza destinazione, con
tutti i protagonisti vestiti in bianco, elementi poi chiave del film L’ultima
sequenza di Mario Sesti.
L’archivio, valorizzato dalle molteplici
attività di Cinemazero, dai suoi festival e dalla Mediateca di Pordenone, porta
da decenni e costantemente tesori delle sue collezioni nei principali luoghi
espositivi del pianeta, in particolare conservando e valorizzando alcuni dei
fondi più completi a livello mondiale su intellettuali e artisti come – fra gli
altri – Pier Paolo Pasolini, Federico
Fellini, Tina Modotti, Andrej Tarkvoskij.
«Ho
una predilezione per chi osserva il mondo da un’angolatura provinciale…
è un modo di star al mondo…» l’inconfondibile voce di Carlo
Mazzacurati, con le sue percettibili inflessioni venete, ci accompagna per
tutti i 96 minuti dell’ottimo documentario Carlo
Mazzacurati una certa idea di cinema firmato a quattro mani dagli amici di sempre, Mario Canale ed
Enzo Monteleone e proiettato all’interno della 81ma Mostra del Cinema di
Venezia in una sala stracolma di pubblico. Uno splendido autoritratto, per
raccontare il suo cinema asciutto, essenziale e se vogliamo anomalo del regista
padovano scomparso dieci anni or sono all’età di 57 anni.
Carlo
Mazzacurati in questo lavoro riannoda i fili della sua poetica, film per film,
scoprendo i legami sotterranei che soggiaciono alle sue indagini
antropologiche, le trame sottili dove un film cerca di spiegare ciò che non è
riuscito a dire nell’opera precedente. Una sorta di crogiolo composto da
apparenti perdenti di provincia, «un po’ idioti e un po’ anche santi…», persone che non sanno e
che cercano una spiegazione al loro non sapere.
Mazzacurati,
con la costante dell’understatement, della semplicità collegata alla
profondità, ci fa comprendere la coerenza nel tempo della sua ricerca, della
sua indagine che ondeggia fra nordest e Toscana, fatta di empatia, rispetto e delicatezza.
L’ossatura
del documentario è rappresentata da una lunga intervista, girata a Prato della
Valle in quel di Padova, a Mazzacurati nel 2003 da Mario
Canale integrata da altre interviste al regista oltre a testimonianze di
attori, registi e produttori che hanno incrociato con lui il loro cammino
professionale. Carlo Mazzacurati racconta che voleva fare lo scrittore e
comincia con lo scrivere per il cinema. Firma con Enzo Monteleone e Umberto
Contarello la sceneggiatura di Marrakech Express finalista al premio
Solinas nel 1987, lo stesso anno invia alla neonata Sacher Film il suo
progetto per un film che Nanni Moretti adotta subito. Nasce così Notte
italiana e il battesimo di Mazzacurati come regista. Aveva scritto la
sceneggiatura ma non immaginava di dover fare anche la regia e «per
alleviare il panico della mia prima regia ho anche disegnato, in una sorta di
storyboard, tutto il film» dichiara candidamente Mazzacurati con la sua
abituale modestia mai esibita, mai alla ricerca di captatio benevolentiae. Si ripercorre così tutto il suo cinema
compresi i due camei di Carlo attore in Caro Diario (1993) e Il
Caimano (2006) per Nanni Moretti che ricorda
affettuosamente la serie di quattro scatti fotografici in bianco e nero, fatti da
lui e Carlo in una cabina per fototessere, con il casco da moto in testa ed una
serie di linguacce; sul bordo della striscia fotografica la scritta “18 luglio
1986 – Introduzione del casco obbligatorio”.
In
Una certa idea di cinema intervengono anche Roberto Citran, Antonio Albenese, Maya Sansa,
Fabrizio Bentivoglio, Marco Paolini, Giuseppe Battiston, Silvio Orlando e tanti altri in questo omaggio a
Mazzacurati e al suo cinema del sentire, del vivere e del perdere, sempre in
bilico tra commedia e tragedia.
Ci
sono anche svariate liasons con il Lido veneziano dove Carlo racconta le
prime uscite da adolescente in campeggio per seguire la Mostra del Cinema;
oppure nel 1987 dove alla veneziana Settimana della Critica avvenne la
proiezione di Notte italiana e fu un esordio coraggioso e anomalo per il
giovane trentenne Mazzacurati; nel 1994 sempre al Lido di Venezia gli verrà
assegnato il Leone d’Argento per Il toro, girato nei paesi dell’est
europeo appesa usciti dalla disgregazione dell’URSS. A proposito delle stupende
immagini girate in Romania, con la solita modestia Mazzacurati racconta che «Le cose belle a
volte avvengono un po’ per caso e tu non ne sei il determinatore. Sei
semplicemente lo spettatore e un po’ ne approfitti, come i grandi fotografi».
Ulteriore
incredibile liason in quest’opera è Corinto, il nome nel film del toro
che a distanza di 30 anni, casualmente, è anche il nome della sala in cui viene
svolta la proiezione!
Intenso,
delicato e prezioso Carlo Mazzacurati una
certa idea di cinema è il bellissimo e
doveroso omaggio ad uno dei talenti del nostro cinema, elegante e auto ironico,
defilato ma in grado di essere l’autorevole cantore della sua terra. Qui
Monteleone e Canale nel far riparlare di sé Mazzacurati riescono, alla fine,
quasi a dare la sensazione che stiamo assistendo ad un nuovo lavoro di Carlo. Nella presentazione in sala a
Venezia Monteleone ha ricordato che «Ripercorrendo il suo
cinema ci siamo resi conto che c’erano innumerevoli scene di ballo.
Curioso perché Carlo non ha mai ballato in vita sua! Così abbiamo deciso di
chiudere il racconto con la lunga sequenza dei suoi personaggi che realizzano
una grande danza collettiva. Quasi un saluto, che non sembra un saluto definitivo, ma una
specie di arrivederci!». Al lungo e convinto applauso finale della
sala Corinto al Lido si è unito un inevitabile filo di sincera commozione per
quanto manca al cinema italiano, e non solo, questo autore. Il documentario
fortunatamente verrà distribuito prossimamente in sala da Fandango.
Sempre più di frequente le vite dei poeti vengono raccontate attraverso le immagini, la loro voce e quella di chi li ha conosciuti, nei luoghi da loro vissuti ed evocati. Ne vengono fuori intensi ritratti sull’uomo e la sua opera, talora intrecciati, in altri casi ineffabilmente discosti. Ecco, dunque, che continua Poesia doc, la collaborazione tra Cinemzero e Pordenonelegge nella proiezione di preziosi documentari su tre importanti poeti: mercoledì 18 settembre alle 18.00 in Sala Grande sarà proiettato, in anteprima assoluta, Mladen Machiedo. La quotidianità non ordinaria di un italianista croato. Al di là dell’enorme spessore dell’intellettuale Machiedo (ordinario di Italianistica all’Università di Zagabria, poeta, critico e saggista, traduttore di Montale), il documentario, promosso dalla Comunità Croata di Trieste e realizzato da Matteo Prodan, racconta la sua umanità. Pubblico e privato, poesie croate ed in italiano, Zagabria, Spalato, la sua casa, le aule dove insegnava, i suoi disegni e le sue passioni artistiche, tutto si mescola in un altrove, per tratteggiare la personalità eclettica di questo grande vecchio fuori da ogni paradigma. Saranno presenti l’autore e Cristina Bonadei.
Giovedì 19 settembre alle 18.00 in Sala Modotti ci sarà Bellezza, addio: il documentario che ritrae Dario Bellezza, uno dei grandi poeti della seconda metà del Novecento, diventa il mosaico di una storia italiana irripetibile, segnata dalla grandezza dei suoi protagonisti e perseguitata da un cupo sentimento di morte. Le parole di amici, ammiratori ed esperti compongono la lucidità ribelle delle “invettive e licenze”, la disperata vitalità degli amori, la passione per una Roma centrale in cui si potevano incontrare gli intellettuali e i borgatari dei mercati di frutta e verdura, le marchette e gli scrittori spiantati.
Venerdì 20 settembre in Sala Modotti alle 18.00 sarà la volta di Un Paese ci vuole. Zavattini, Luzzara e il Po, l’ultimo lavoro di Francesco Conversano e Nene Grignaffini. Il documentario intreccia il racconto poetico di Cesare Zavattini e del suo Paese, Luzzara, visitata da fotografi di tutto il mondo, tra cui Paul Strand, Gianni Berengo Gardin, Stephen Shore, con la testimonianza di una emergenza ambientale, delle ferite e della fragilità del Fiume Po che il riscaldamento globale e la siccità stanno inesorabilmente trasformando, rendendolo un luogo desertificato e senza vita. Da qui, oggi più che mai, la necessità di riscoprire il valore dello stare insieme e della condivisione.
Infine sabato 21 settembre alle 17.30 nella Mediateca di Cinemazero verrà proiettato Parola di poeta. Autoritratto di Giovanni Raboni, un breve documentario che, a vent’anni dalla scomparsa di uno dei grandi poeti del Novecento, ne ripropone uno struggente autoritratto in cui vengono ripercorsi i luoghi, le figure familiari e le ragioni della sua poesia. A celebrarlo ci sarà Patrizia Valduga, che leggerà le Canzonette mortali. Nell’occasione la Mediateca annuncerà il costituirsi una sezione dedicata ai docufilm sui poeti e sulla poesia.
Nel programma della prossima
Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia ci sarà, per la prima volta, una
sezione Fuori Concorso dedicata alle serie “cinematografiche” (poi cercheremo
di capire cosa significa questo termine). Può sembrare una notizia marginale visto
che molto probabilmente anche a chi segue in maniera occasionale le novità del
mondo del cinema sarà capitato di imbattersi nella notizia di alcune puntate presentata
all’interno di un festival. Ma è la prima volta che le serie “sbarcano” in un
grande festival internazionale in forma organica: proposte nella loro interezza
e organizzate in una vera e propria sezione.
Per ora questa sezione avrà un
numero di titoli limitati, solo quattro, ma di grande interesse, se non altro
per la caratura di autori e interpreti coinvolti. Vedremo infatti Disclaimer
di Alfonso Cuarón con Cate Blanchett, M – il figlio del secolo di Joe
Wright con Luca Marinelli, Famiglie come le nostre di Tomas Vinterberg e
Los Años Nuevos di Rodrigo Sorogoyen cui si aggiunge, come proiezione
speciale Leopardi di Sergio Rubini con Leonardo Maltese.
Ma cosa c’entra questo con il
cinema?
Andiamo con ordine, partendo
dalla nascita della cosiddetta “serialità”. Storicamente la serialità, intesa
come forma narrativa di un racconto strutturato a puntate, non è nata con la
televisione e nemmeno con il cinema, ma con il feuilleton, o romanzo
d’appendice, un genere letterario che si diffuse a partire dai primi decenni
dell’Ottocento e deriva dal fatto che i romanzi appartenenti a questo filone
erano pubblicati a puntate sui giornali, quotidiani o periodici.
Anche il cinema ebbe, fin quasi
dalle sue origini, dei prodotti seriali. Negli anni Dieci, ad esempio,
soprattutto in Francia e in America presero piedi dei veri e propri film a puntate
basati sull’azione, spesso di ambientazione esotica o di genere poliziesco. Da
un punto di vista tecnico erano una sorta di passaggio tra film brevi – le
pellicole che duravano un rullo, cioè circa 15 minuti – e i lungometraggi. Una
delle loro caratteristiche era che finivano sempre al momento culminante
dell’azione, con il personaggio principale in pericolo. Questi espedienti si
chiamavano cliffhanger (perché spesso i personaggi finivano sospesi su un
precipizio) e servivano a spingere gli spettatori a tornare al cinema a vedere
il seguito. La produzione perdurò anche nei due decenni successivi per poi
trasferirsi in televisione, seguendo più o meno gli stessi stili narrativi basati
su l’alternanza di variazione e ripetizione. La storia è costruita mediante la
riproposizione di elementi fissi – che legano le varie puntate – con elementi
di novità e, a differenza dei telefilm (dove ogni puntata ha una sua
conclusione) il finale è aperto. Negli anni l’evoluzione è stata costante ma
sostanzialmente lineare, basata su un progressivo aumento della complessità di
temi, personaggi, storytelling, linguaggio.
Una vera, grande rivoluzione, fu
l’avvento delle piattaforme streaming che, stravolgendo le modalità di fruizione
hanno modificato alcune delle caratteristiche del modo di raccontare le storie
attraverso le serie. Per la prima volta, infatti, lo spettatore aveva la
possibilità di manipolare a piacimento il tempo del racconto (o più
precisamente della sua fruizione), depotenziando quella che fino ad allora era
stata una, se non la principale, caratteristica della serialità, cioè il fatto
che la storia veniva dilatata in un grande numero di puntate al cui finale
veniva spesso aggiunto un momento di pathos per alimentare l’attesa della
visione di quella successiva che veniva rilasciata a precisi intervalli
temporali.
La prima parte di una nuova
puntata doveva contenere qualche elemento di quella precedente così da
agevolare nello spettatore la ripresa della visione. Ma se una volta si
attendevano con ansia le nuove puntate di settimana in settimana, oggi è
possibile vedere un’intera stagione nell’arco di alcune ore, come fosse un
unicum, e dunque i sopracitati accorgimenti narrativi hanno perso gran parte
del loro significato vengono sempre meno utilizzati.
La narrazione seriale si sta quindi modificando per avvicinarsi sempre di più a quella tipicamente cinematografica. E viceversa, con film che sempre più spesso sembrano assumere caratteristiche proprie della serialità, a partire dalla lunghezza, come avevamo modo di approfondire qualche mese fa proprio su CinemazeroNotizie
A confermarlo il fatto che un
numero sempre maggiore di registi e registe cinematografiche si sia cimentato
con la regia di serie e viceversa, determinando una sempre maggiore
contaminazione reciproca. E lo abbiano
fatto con consapevolezza come si evince dalle dichiarazioni dei registi delle
quattro serie presenti al Lido, secondo i quali esse sono film lunghissimi
“che nulla hanno da spartire con il linguaggio e le convenzioni delle
serie televisive” e infatti aspirano anche ad una uscita evento al
cinema.
Film lunghi o serie corte? Cosa
sono queste “nuove” forme espressive? Probabilmente – e con questo proviamo a
rispondere alla domanda che ci siamo posti all’inizio – l’arrivo delle serie in
forma organica in un festival cinematografico tra i più importanti al mondo
significa la codificazione di un nuovo genere.
Queste serie, o una parte di
esse, con ogni probabilità arriverà al cinema. Ma come? Questa è un’altra
domanda alla quale – per ora – non è semplice dare una risposta. Negli ultimi
mesi abbiamo assistito a diversi esperimenti, come L’arte della gioia di
Valeria Golino e Dostoevskij dei fratelli d’Innocenzo solo per citare i
due più recenti, i cui alterni risultati (che comunque vanno contestualizzati
al periodo estivo) dimostrano come ci sia ancora da lavorare.
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.Ok