Martin Scorsese e il thriller vestito da western

Di Andrea Crozzoli

Riaprono le sale cinematografiche dopo sei mesi di ininterrotta chiusura e dopo un anno e mezzo di pandemia che ha messo in ginocchio l’intera filiera. Ora però, dopo aver archiviato Donald Trump e grazie ad una massiccia campagna di vaccinazioni, gli Stati Uniti offrono una boccata di ossigeno guardando con fiducia al futuro e al cinema. Fiducia che si è trasfigurata in 225 milioni di dollari messi a disposizione per dar inizio delle riprese di Killers of the Flower Moon tratto da uno dei casi letterari del 2017 del giornalista americano David Grann. La sceneggiatura, però, è opera di Eric Roth (Forrest Gump, Dune, Ali, Munich, Il curioso caso di Benjamin Button e A Star Is Born), con la regia di Martin Scorsese e due star di primissimo piano come Robert De Niro e Leonardo Di Caprio. «La vicenda si svolge durante il Proibizionismo, ma lo spirito e il concetto di giustizia è quello del western – ha dichiarato Eric Roth – dove era impossibile trovare 12 uomini bianchi che dichiarassero colpevole un uomo bianco che aveva ucciso un nativo americano.». Tratto da fatti realmente accaduti la storia narra degli indiani Osage che, dopo il periodo di colonizzazione francese, si trovarono a essere cacciati dai loro territori. A poco a poco vennero sospinti verso ovest, destinati a un territorio roccioso e poco coltivabile a nord del Texas: l’Oklahoma.

Tra fine ottocento ed inizio novecento sotto quella terra apparentemente priva di valore vennero scoperti dei giacimenti di petrolio. I diritti di sfruttamento riconosciuti a ciascuno dei 2000 membri della tribù li fecero diventare “la nazione più ricca”. Tutti i membri fruivano di quella ricchezza comprese le donne, che avevano pari diritti tra gli Osage. Fintanto che, nel 1921, Anna Brown, venne trovata morta. Si dovrà però aspettare altri quattro anni e ben 60 indiani assassinati, per far entrare nella vicenda la neonata FBI ed avviare delle serie indagini su questa lunga storia di violenza, soprusi e insabbiamenti. Chi cercava di indagare, infatti, veniva eliminato, come l’avvocato Vaughan, gettato da un treno in corsa, o Barney McBride ucciso con numerose pugnalate per aver richiesto l’intervento dell’FBI. Il Federal Bureau spedì, quindi, l’agente Tom White, che scoprì come molte delle vittime fossero parte di un crudele piano per impossessarsi delle ricchezze della tribù. Uno degli accusati dichiarò: «I bianchi dell’Oklahoma non ci pensavano due volte ad uccidere un indiano. Certo non più di quanto facessero nel 1724.». Con questa crudele storia di avidità e razzismo, ufficialmente dichiarata come “il capitolo più sanguinoso della storia del crimine americano” Martin Scorsese ha riunito due icone del suo cinema come Robert De Niro, all’undicesima collaborazione con Scorsese, e Leonardo Di Caprio qui in veste anche di produttore e alla sua sesta collaborazione con Scorsese. Fu proprio De Niro che nel lontano 1993 scelse Leonardo Di Caprio, allora sconosciuto diciasettenne, per il ruolo di suo figliastro in Voglia di ricominciare diretto da Michael Caton-Jones, dando così inizio ad una folgorante carriera. Inizialmente Di Caprio avrebbe dovuto interpretare Tom White, l’agente dell’FBI, ma ha poi optato per il ruolo di Ernest Burkhart, il nipote di William Hale, cioè di Robert De Niro. Un ruolo definito dallo sceneggiatore Roth: «Molto complicato e molto interessante. È una parte intelligente per un attore intelligente. Se Montgomery Clift fosse vivo avrebbe, probabilmente, preso in considerazione l’ipotesi di interpretare quel personaggio.». Scorsese, oltre ad affermare il suo entusiasmo per l’avvio del film assicura “una rappresentazione accurata” degli indiani Osage per rendere giustizia di un sopruso e per “immortalare un momento della storia americana che non dovrebbe essere dimenticato”. Lunga vita al cinema e aspettiamo con ansia questo film Paramount sul grande schermo prima e poi in streaming su Apple TV +.

Leonardo Sciascia redux

Di Lorenzo Codelli

« La notizia sembra incredibile: il film di Francesco Rosi Cadaveri eccellenti e cioè gli autori del film, tra i quali forse dovrei trovarmi anchio, poiché non so tra giurisprudenza ed estetica se è già stato deciso chi sono gli autori di un film, è stato denunziato per «vilipendio» delle istituzioni. La notizia segue di appena un giorno quella data da Elio Petri, che il film Todo modo tratto da altro mio racconto, avrebbe dovuto subire una specie di boicottaggio nella distribuzione, a impedire che facesse gioco elettorale contro la democrazia cristiana. […]

E il vilipendio dunque appunto consiste nel dire la verità sulle istituzioni. Il film di Rosi di verità sulle istituzioni ne dice molte. Direi che è un mosaico di verità tratte dalla cronaca di questi ultimi anni. Di verità su quel groviglio di non verità che è diventata lItalia. C’è una sola verità che le istituzioni abbiano detto in questi ultimi anni? Da quando, nel cortile di una casa di Castelvetrano, è stato rinvenuto il cadavere del bandito Salvatore Giuliano, le istituzioni si sono votate alla menzogna. La verità, quegli italiani che ne sentivano il bisogno, se la sono faticosamente cercata, un tassello dopo laltro, e sempre con qualche tassello che mancava e che manca. Perfino le inchieste parlamentari, dalle quali si poteva sperare una parola definitiva, una indicazione di colpe e di colpevoli, sembra abbiano soltanto inaugurato una specie di genere letterario. C’è la lirica, il dramma, il romanzo; e anche linchiesta parlamentare. Si può fare un lungo elenco delle menzogne che le istituzioni hanno prodigato agli italiani, facendo vilipendio a se stesse fino a svuotarsi. E saremmo accusati di vilipendio, considerando che il film di Rosi non ha fatto di più, e forse anche di meno? » (Tempo, 9 maggio 1976).

        Un estratto dal volume postumo di Leonardo Sciascia Questo non è un racconto (Adelphi, 2021). Una miniera d’oro. Riflessioni tratte da fonti sparse, assieme a testi inediti, e tutti quanti riguardanti il cinema, scritti da un cinéphile di lungo corso. Formidabili, ad esempio, gli elogi alla collana libraria “Dal soggetto al film”, edita a Bologna da Cappelli, o alle imprese erotico-iconografiche dello storico franco-italiano Lo Duca. L’inno nostalgico dedicato a Gary Cooper, quel mito che gli era apparso tra i soldati americani sbarcati in Sicilia nel 1943. I ricordi della fulgida Clara Bow e dell’amatissimo René Clair. Le sfuriate anti-viscontiane, anti-antonioniane, anti-germiane, anti-pasoliniane, anti-bologniniane, peraltro lucidamente motivate nel rispettivo Contesto. A Sciascia chiesero di collaborare autori quali Roberto Rossellini, Michelangelo Antonioni, Bernardo Bertolucci. Paolo Squillacioti, il curatore della raccolta, ne fornisce vari dettagli. Di tre “soggetti” non realizzati possiamo immaginare, leggendoli, gli sviluppi. Uno per Carlo Lizzani e per il tycoon Dino De Laurentiis, e un altro per Lina Wertmüller, ambedue di ambientazione siculo-mafiosa. Infine un terzo per Sergio Leone, che in realtà è un esilarante resoconto dell’incontro che Sciascia ebbe a Palermo con il maestro dei western all’italiana.

Click o ciack, quasi lo stesso suono?

La fotografia ci ricorda chi siamo

Di Riccardo Costantini

Inaspettata, come la realtà che appare – rovesciata! – nella più semplice camera oscura, è arrivata la riapertura delle sale cinematografiche. Il 26 aprile 2021, dopo 6 mesi praticamente esatti, i cinema italiani hanno potuto riaprire. Tensioni di piazza, politiche, crisi economica e di molte attività hanno “premuto” verso un’accelerazione: così, quasi a conclusione di questo terzo percorso (dopo l’arte contemporanea di “6 vetrine incontrano gli autori” e della grafica/illustrazione di “Zero_Comix”), il “raggio verde” ha illuminato di nuovo gli schermi di Cinemazero…e le vetrine solitamente destinate alle locandine dei film sono state rioccupate prima dai materiali riannuncianti – con tanto di arcobaleno – l’agognata riapertura, poi i primi film in programmazione.

Con gentilezza, doppia perché densa di molti significati, le foto di Guido Cecere I calendari Dolomite” sono state portate nel foyer delle sale, ad adornare le pareti di ingresso: per Cinemazero un segno importante che siano stati gli scatti di un amico di lunga data (spettatore fedele, collaboratore, consulente, curatore di mostre per gli spazi Zeroimages, membro del comitato scientifico della nostra associazione…) a riportarci in sala, a prendere per mano il pubblico e condurlo – con il sorriso tipico di Guido, anche divertito e ironico – a riscoprire la magia del cinema. Un compagno di viaggio mancato poco tempo fa, e che non a caso avevamo scelto – grazie anche alla disponibilità della famiglia – per chiudere un cammino espositivo che per “natura” fa parte della storia di Cinemazero: la fotografia arma il cinema, e già questo basterebbe, ma la storia della nostra attività è da sempre legata alla ricerca, alla valorizzazione, alla custodia dei beni fotografici. Un tratto saliente, che ha reso – proprio in nome dei suoi rari e preziosi patrimoni (con decine e decine di migliaia di scatti conservati), in particolare dedicati alla storia del cinema, degli autori, dei set – Cinemazero noto nel mondo, con le sue mostre, con le sue collezioni e scoperte. Con piacere, pur essendo la fotografia appunto qualcosa di connaturato alla storia di Cinemazero, la curatela di un percorso espositivo dedicato all’ottava arte è stato affidato a un fotografo professionista che con coraggio ha animato in città – spesso proprio insieme a Guido Cecere – uno spazio espositivo votato alla qualità: Leonardo Fabris, della Galleria Due Piani. La contaminazione, la scoperta, il dialogo con il territorio e con i curatori indipendenti, la fertilità dell’apertura ad altre arti sono stati del resto tratti salienti di tutto il cammino delle esposizioni nelle bacheche durante i mesi di chiusura. In questo percorso conclusivo 3 fotografe e 3 fotografi, con equilibrio giocato anche in “parità di genere”,  hanno accompagnato lo scorrere del tempo strano della pandemia (alle volte lentissimo, alle volte uguale a se stesso, ma comunque inarrestabile e particolarmente “smemorato”) portando gli istanti racchiusi nei loro scatti a dilatarsi nell’osservazione del pubblico che ha sempre visitato con partecipazione e costanza la nostra “più piccola galleria d’arte a cielo aperto” del mondo. Abbiamo potuto – negli “scampoli” di libertà concessi al nostro territorio, spesso in “zona rossa” in questo ultimo periodo – sostare davanti alle bacheche scoprendo con le foto di un artista di fama internazionale quale Luca Campigotto come “Gotham City”/New York possa essere uno spazio alienato e alienante, armato – nel vuoto – di una bellezza cristallina e imperiosa, specchiantesi nei bizzarri palazzi della nostra piccola e paesana Ghotam pordenonese, altrettanto ammantata di silenzi e presenze ectoplasmatiche.

I ritratti “frantumati” di un altro fotografo noto nel mondo, Maurizio Galimberti, hanno “porzionato” la nostra usuale visione (dinamica e scorrevole, “a schermo”) di divi del cinema e della musica, ricordandoci come il punto di vista e di focale siano accezioni molto umane, il cui valore è generato dalla moltitudine di sguardo e dalla sua varietà. Sofia Uslenghi, in un concentrato di modernità ossimorica, arricchisce i suoi scatti con interventi digitali fatti pennellate quasi “analogiche” alla vista, sempre all’insegna del bilanciato, della qualità estetica, della nettezza espressiva. Ci ha ricordato come il cammino di questo tempo è stato per molti quello di rinegoziare il sé, di trovare un nuovo equilibrio, di guardarsi dentro con uno specchio che abbiamo osservato anche troppo, fino a farlo rompere, con i rischi che questo comporta, alla fine felici di ritrovarci: noi stessi, ma diversi. Allo stesso modo, ma con altri esiti, quasi metafisici, Valentina Gurli ci ha ricordato – in una città molto sensibile a questi temi – la forza intrinseca delle donne, che per troppo tempo sono state costrette a rinunce e limitazioni, di cui spesso portano ancora collettivamente o singolarmente quasi un esito sul corpo: la storia di una vale per molte, ma non vale per il tutto della società che ancora deve fare molta strada per riaccogliere la donna nella sua interezza, in tutte le sue manifestazioni, in tutta la sua intrinseca forza e bellezza. Temi non solo di Pordenone e di molte associazioni che nel territorio se ne occupano, ma molto anche di Cinemazero, che da tempo in particolare con il suo “Pordenone Docs Fest – Le voci dell’inchiesta” fa un lavoro costante di sensibilizzazione alla parità di genere.

Infine, gli amici. Di Guido Cecere abbiamo detto, ma serve forse ricordare come i suoi “Calendari Dolomite” nel tempo fossero diventati autentici oggetti da collezione, non tanto da esibire in casa o in ufficio (causa il timore che le stampe se esposte potessero scolorirsi, con le loro magnifiche cromie), ma da conservare gelosamente e mostrare a chi ci faceva visita: “ah, guarda, anche quest’anno Guido mi ha tenuto una copia; puoi sfogliarlo, ma non portarlo via!”…facendo morire d’invidia chi – magari non in stretto contatto con lui – non era riuscito ad accaparrarselo. Non è nostra tradizione piangere troppo per chi se n’è andato, e a Guido questo non sarebbe forse piaciuto, ma certo avremmo desiderato – lo ammettiamo – fare ancora qualche mostra con lui. E ridere a cena, di qualcosa di insolito, di un dettaglio, di un particolare umano che nella sua tipica scelta di scala, 1:1, ci ricorda che siamo tutti uguali, ma fortunatamente differenti. Originali.

Infine, il cammino si è aperto con un’altra amica – senza paura di abusare di questa parola – di Cinemazero: Elisa Caldana ci segue da anni e anni, con discrezione e partecipazione, mettendosi di lato o dietro gli ospiti quando serve, per mostrare noi, il nostro pubblico, chi ci fa visita: ospiti, registi, attori… È non solo la nostra fotografa, ma la nostra memoria, una traccia visiva e molto personale, curiosa e originale, come dovrebbe essere lo sguardo di un vero ricordo, pronto a riapparire per ribadire chi siamo e cosa abbiamo fatto, ma sempre fresco e rinnovato nell’oggi. Esporre i suoi scatti creativi, per noi che le affidiamo documentazione di eventi, è stato un regalo doveroso e piacevole, perché con lei condividiamo l’amore per la musica Jazz (l’altra sua grande “vocazione” fotografica), per l’accadere quotidiano pieno di contrasti e rivelazioni…e i brindisi a fine festival, discutendo fino a tarda notte se l’evento sia riuscito, se il film fosse quello giusto, se potevamo fare una cosa meglio, e farci venire una nuova idea… Per adesso la migliore: riaprire il cinema. Ci vuole un brindisi, ci vuole una foto, storica in qualche modo. Finalmente. Click. O ciack? …quasi lo stesso suono…  

Semplicemente… GRAZIE!

Di Marco Fortunato

L’abbiamo sognata, immaginata, programmata fino nei minimi dettagli. E infine vissuta, ed è stata un’emozione unica. Dopo un “blackout” che ci è sembrato senza fine, dopo più di sei mesi senza poter vedere un film in sala, ritrovarci e ritrovarvi a Cinemazero è stato un po’ come rinascere.

Non a caso più che di riapertura si è parlato di ripartenza – anche se come ben sapete in questi mesi fermi non lo siamo mai stati – ma nulla può sostituire l’esperienza della visione collettiva.

I primi a dircelo siete stati proprio voi quando, lunedì 26 aprile, siete iniziati ad arrivare per vedere Minari di Lee Isaac Chung, il film coreano che abbiamo scelto, insieme alle più importanti sale d’essai d’Italia per riprendere le proiezioni. Da sotto la mascherina, sorridendo (lo si intuiva) ci avete confessato – quasi con imbarazzo – che avete fatto l’abbonamento a qualche piattaforma (“perchè senza film non so stare”) ma che i film, al cinema, sono un’altra cosa, che vi siamo mancati, che questo film (Minari) non lo conoscete… “ma se lo danno a Cinemazero allora vuol dire che merita”. E siete riusciti a farci dimenticare questi lunghi mesi senza di voi, il nostro pubblico, il pubblico di Cinemazero. Non è stato semplice. Le incognite erano e per certi versi sono ancora tantissime. I protocolli, la politica delle case di distribuzione, il coprifuoco. Ma non abbiamo mai avuto dubbi. Dovevamo esserci, da subito, per lanciare un segnale forte, perché Cinemazero è un luogo di cultura ma anche di socialità, uno dei cuori pulsanti della città. 

Avremo voluto esserci tutti e non potendo farlo fisicamente (avremmo creato assembramento) abbiamo scelto di ringraziarvi “a distanza” con un piccolo video, che se volete potete trovare ancora qui. E abbiamo pensato di premiare, simbolicamente, due di voi, Camilla e Federico, gli spettatori, più veloci ad acquistare i primi biglietti.

Oggi, a distanza di qualche giorno, l’emozione continua. E siamo davvero travolti dal vostro entusiasmo e dalla vostra voglia di cinema.

Le presenze sono in crescita e, proprio mentre scriviamo alcuni spettacoli del weekend stanno per registrare il tutto esaurito. Nel frattempo ci stiamo scambiando dei messaggi con Filippo Meneghetti, giovane regista italiano che la Francia ha scelto per essere rappresentata agli Oscar (il film per poco non è entrato nella cinquina finale) e che tra poche ore sarà a Pordenone per presentare in anteprima la sua opera d’esordio, Due.

È il primo incontro con l’autore di questa “nuova era” che ci è sembrato giusto riprendesse valorizzando uno degli elementi insostituibili dell’esperienza cinematografica e della storia di Cinemazero, la possibilità di incontrare dal vivo e di dialogare con chi il cinema lo fa, un’emozione che nessuna piattaforma o diretta streaming potrà mai sostituire.