Nuovi sbarchi (cinematografici) al Lido

di Marco Fortunato

Nel programma della prossima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia ci sarà, per la prima volta, una sezione Fuori Concorso dedicata alle serie “cinematografiche” (poi cercheremo di capire cosa significa questo termine). Può sembrare una notizia marginale visto che molto probabilmente anche a chi segue in maniera occasionale le novità del mondo del cinema sarà capitato di imbattersi nella notizia di alcune puntate presentata all’interno di un festival. Ma è la prima volta che le serie “sbarcano” in un grande festival internazionale in forma organica: proposte nella loro interezza e organizzate in una vera e propria sezione.

Per ora questa sezione avrà un numero di titoli limitati, solo quattro, ma di grande interesse, se non altro per la caratura di autori e interpreti coinvolti. Vedremo infatti Disclaimer di Alfonso Cuarón con Cate Blanchett, M – il figlio del secolo di Joe Wright con Luca Marinelli, Famiglie come le nostre di Tomas Vinterberg e Los Años Nuevos di Rodrigo Sorogoyen cui si aggiunge, come proiezione speciale Leopardi di Sergio Rubini con Leonardo Maltese.

Ma cosa c’entra questo con il cinema?

Andiamo con ordine, partendo dalla nascita della cosiddetta “serialità”. Storicamente la serialità, intesa come forma narrativa di un racconto strutturato a puntate, non è nata con la televisione e nemmeno con il cinema, ma con il feuilleton, o romanzo d’appendice, un genere letterario che si diffuse a partire dai primi decenni dell’Ottocento e deriva dal fatto che i romanzi appartenenti a questo filone erano pubblicati a puntate sui giornali, quotidiani o periodici.

Anche il cinema ebbe, fin quasi dalle sue origini, dei prodotti seriali. Negli anni Dieci, ad esempio, soprattutto in Francia e in America presero piedi dei veri e propri film a puntate basati sull’azione, spesso di ambientazione esotica o di genere poliziesco. Da un punto di vista tecnico erano una sorta di passaggio tra film brevi – le pellicole che duravano un rullo, cioè circa 15 minuti – e i lungometraggi. Una delle loro caratteristiche era che finivano sempre al momento culminante dell’azione, con il personaggio principale in pericolo. Questi espedienti si chiamavano cliffhanger (perché spesso i personaggi finivano sospesi su un precipizio) e servivano a spingere gli spettatori a tornare al cinema a vedere il seguito. La produzione perdurò anche nei due decenni successivi per poi trasferirsi in televisione, seguendo più o meno gli stessi stili narrativi basati su l’alternanza di variazione e ripetizione. La storia è costruita mediante la riproposizione di elementi fissi – che legano le varie puntate – con elementi di novità e, a differenza dei telefilm (dove ogni puntata ha una sua conclusione) il finale è aperto. Negli anni l’evoluzione è stata costante ma sostanzialmente lineare, basata su un progressivo aumento della complessità di temi, personaggi, storytelling, linguaggio.

Una vera, grande rivoluzione, fu l’avvento delle piattaforme streaming che, stravolgendo le modalità di fruizione hanno modificato alcune delle caratteristiche del modo di raccontare le storie attraverso le serie. Per la prima volta, infatti, lo spettatore aveva la possibilità di manipolare a piacimento il tempo del racconto (o più precisamente della sua fruizione), depotenziando quella che fino ad allora era stata una, se non la principale, caratteristica della serialità, cioè il fatto che la storia veniva dilatata in un grande numero di puntate al cui finale veniva spesso aggiunto un momento di pathos per alimentare l’attesa della visione di quella successiva che veniva rilasciata a precisi intervalli temporali.

La prima parte di una nuova puntata doveva contenere qualche elemento di quella precedente così da agevolare nello spettatore la ripresa della visione. Ma se una volta si attendevano con ansia le nuove puntate di settimana in settimana, oggi è possibile vedere un’intera stagione nell’arco di alcune ore, come fosse un unicum, e dunque i sopracitati accorgimenti narrativi hanno perso gran parte del loro significato vengono sempre meno utilizzati.

La narrazione seriale si sta quindi modificando per avvicinarsi sempre di più a quella tipicamente cinematografica. E viceversa, con film che sempre più spesso sembrano assumere caratteristiche proprie della serialità, a partire dalla lunghezza, come avevamo modo di approfondire qualche mese fa proprio su CinemazeroNotizie

A confermarlo il fatto che un numero sempre maggiore di registi e registe cinematografiche si sia cimentato con la regia di serie e viceversa, determinando una sempre maggiore contaminazione reciproca.  E lo abbiano fatto con consapevolezza come si evince dalle dichiarazioni dei registi delle quattro serie presenti al Lido, secondo i quali esse sono film lunghissimi “che nulla hanno da spartire con il linguaggio e le convenzioni delle serie televisive” e infatti aspirano anche ad una uscita evento al cinema.

Film lunghi o serie corte? Cosa sono queste “nuove” forme espressive? Probabilmente – e con questo proviamo a rispondere alla domanda che ci siamo posti all’inizio – l’arrivo delle serie in forma organica in un festival cinematografico tra i più importanti al mondo significa la codificazione di un nuovo genere.

Queste serie, o una parte di esse, con ogni probabilità arriverà al cinema. Ma come? Questa è un’altra domanda alla quale – per ora – non è semplice dare una risposta. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a diversi esperimenti, come L’arte della gioia di Valeria Golino e Dostoevskij dei fratelli d’Innocenzo solo per citare i due più recenti, i cui alterni risultati (che comunque vanno contestualizzati al periodo estivo) dimostrano come ci sia ancora da lavorare.

La poetica nel cinema di Carlo Mazzacurati

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                     Dove la mano dell’uomo non aveva messo piede …

                                                                           sentieri di cinema!

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Di Andrea Crozzoli

«Ho una predilezione per chi osserva il mondo da un’angolatura provinciale… è un modo di star al mondo…» l’inconfondibile voce di Carlo Mazzacurati, con le sue percettibili inflessioni venete, ci accompagna per tutti i 96 minuti dell’ottimo documentario Carlo Mazzacurati una certa idea di cinema firmato a quattro mani dagli amici di sempre, Mario Canale ed Enzo Monteleone e proiettato all’interno della 81ma Mostra del Cinema di Venezia in una sala stracolma di pubblico. Uno splendido autoritratto, per raccontare il suo cinema asciutto, essenziale e se vogliamo anomalo del regista padovano scomparso dieci anni or sono all’età di 57 anni.

Carlo Mazzacurati in questo lavoro riannoda i fili della sua poetica, film per film, scoprendo i legami sotterranei che soggiaciono alle sue indagini antropologiche, le trame sottili dove un film cerca di spiegare ciò che non è riuscito a dire nell’opera precedente. Una sorta di crogiolo composto da apparenti perdenti di provincia, «un po’ idioti e un po’ anche santi…», persone che non sanno e che cercano una spiegazione al loro non sapere.

Mazzacurati, con la costante dell’understatement, della semplicità collegata alla profondità, ci fa comprendere la coerenza nel tempo della sua ricerca, della sua indagine che ondeggia fra nordest e Toscana, fatta di empatia, rispetto e delicatezza.

L’ossatura del documentario è rappresentata da una lunga intervista, girata a Prato della Valle in quel di Padova, a Mazzacurati nel 2003 da Mario Canale integrata da altre interviste al regista oltre a testimonianze di attori, registi e produttori che hanno incrociato con lui il loro cammino professionale. Carlo Mazzacurati racconta che voleva fare lo scrittore e comincia con lo scrivere per il cinema. Firma con Enzo Monteleone e Umberto Contarello la sceneggiatura di Marrakech Express finalista al premio Solinas nel 1987, lo stesso anno invia alla neonata Sacher Film il suo progetto per un film che Nanni Moretti adotta subito. Nasce così Notte italiana e il battesimo di Mazzacurati come regista. Aveva scritto la sceneggiatura ma non immaginava di dover fare anche la regia e «per alleviare il panico della mia prima regia ho anche disegnato, in una sorta di storyboard, tutto il film» dichiara candidamente Mazzacurati con la sua abituale modestia mai esibita, mai alla ricerca di captatio benevolentiae.  Si ripercorre così tutto il suo cinema compresi i due camei di Carlo attore in Caro Diario (1993) e Il Caimano (2006) per Nanni Moretti che ricorda affettuosamente la serie di quattro scatti fotografici in bianco e nero, fatti da lui e Carlo in una cabina per fototessere, con il casco da moto in testa ed una serie di linguacce; sul bordo della striscia fotografica la scritta “18 luglio 1986 – Introduzione del casco obbligatorio”.

In Una certa idea di cinema intervengono anche Roberto Citran, Antonio Albenese, Maya Sansa, Fabrizio Bentivoglio, Marco Paolini, Giuseppe Battiston, Silvio Orlando e tanti altri in questo omaggio a Mazzacurati e al suo cinema del sentire, del vivere e del perdere, sempre in bilico tra commedia e tragedia.

Ci sono anche svariate liasons con il Lido veneziano dove Carlo racconta le prime uscite da adolescente in campeggio per seguire la Mostra del Cinema; oppure nel 1987 dove alla veneziana Settimana della Critica avvenne la proiezione di Notte italiana e fu un esordio coraggioso e anomalo per il giovane trentenne Mazzacurati; nel 1994 sempre al Lido di Venezia gli verrà assegnato il Leone d’Argento per Il toro, girato nei paesi dell’est europeo appesa usciti dalla disgregazione dell’URSS. A proposito delle stupende immagini girate in Romania, con la solita modestia Mazzacurati racconta che «Le cose belle a volte avvengono un po’ per caso e tu non ne sei il determinatore. Sei semplicemente lo spettatore e un po’ ne approfitti, come i grandi fotografi». Ulteriore incredibile liason in quest’opera è Corinto, il nome nel film del toro che a distanza di 30 anni, casualmente, è anche il nome della sala in cui viene svolta la proiezione!

Intenso, delicato e prezioso Carlo Mazzacurati una certa idea di cinema è il bellissimo e doveroso omaggio ad uno dei talenti del nostro cinema, elegante e auto ironico, defilato ma in grado di essere l’autorevole cantore della sua terra. Qui Monteleone e Canale nel far riparlare di sé Mazzacurati riescono, alla fine, quasi a dare la sensazione che stiamo assistendo ad un nuovo lavoro di Carlo. Nella presentazione in sala a Venezia Monteleone ha ricordato che «Ripercorrendo il suo cinema ci siamo resi conto che c’erano innumerevoli scene di ballo. Curioso perché Carlo non ha mai ballato in vita sua! Così abbiamo deciso di chiudere il racconto con la lunga sequenza dei suoi personaggi che realizzano una grande danza collettiva. Quasi un saluto, che non sembra un saluto definitivo, ma una specie di arrivederci!». Al lungo e convinto applauso finale della sala Corinto al Lido si è unito un inevitabile filo di sincera commozione per quanto manca al cinema italiano, e non solo, questo autore. Il documentario fortunatamente verrà distribuito prossimamente in sala da Fandango.

Cinemazero protagonista alla FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024

L’immagine ufficiale del festival frutto delle ricerche negli archivi pordenonesi

. Marcello Mastroianni, in un prezioso scatto proveniente dagli Archivi di Cinemazero, è il protagonista dell’immagine ufficiale della diciannovesima edizione della Festa del Cinema di Roma, che si svolgerà dal 16 al 27 ottobre 2024 all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone.  La Fondazione Cinema per Roma celebrerà il mito di Mastroianni con molte altre iniziative.


Marcello Mastroianni sul set di 8 ½ di Federico Fellini, 1962 Foto di Gideon Bachmann © Archivi Cinemazero Images – Pordenone

La fotografia, scelta fra le decine di migliaia custodite dall’associazione pordenonese per rappresentare anche internazionalmente l’importante festival romano, è un omaggio al grande attore a cent’anni dalla sua nascita. Mastroianni è ritratto dal fotografo americano-tedesco Gideon Bachmann sul set di 8½ di Federico Fellini in uno dei suoi ruoli più iconici, quello di Guido Anselmi, regista in piena impasse creativa.  

Lo scatto, conservato in rarissimi negativi originali e in copie positive d’epoca nel nuovo archivio climatizzato di Cinemazero a Pordenone, immortala Mastroianni mentre indossa il celebre cappello nero, sul volto gli occhiali dalla pesante montatura, in mano la frusta e il megafono: un personaggio memorabile, magnificamente interpretato, in un film premiato con due Oscar, imprescindibile pietra di paragone per qualsiasi opera sulla fatica e la magia del cinema.

Gideon Bachmann, di cui Cinemazero detiene moltissimi scatti, fotografò tutta la lavorazione della pellicola (documentando non solo il noto carosello finale del film), rendendo possibile conoscere – oltre a molti altri aspetti – l’esistenza di un articolato finale alternativo, un treno che viaggiava nel nulla, nella notte, forse senza destinazione, con tutti i protagonisti vestiti in bianco, elementi poi chiave del film L’ultima sequenza di Mario Sesti.

L’archivio, valorizzato dalle molteplici attività di Cinemazero, dai suoi festival e dalla Mediateca di Pordenone, porta da decenni e costantemente tesori delle sue collezioni nei principali luoghi espositivi del pianeta, in particolare conservando e valorizzando alcuni dei fondi più completi a livello mondiale su intellettuali e artisti come – fra gli altri –  Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Tina Modotti, Andrej Tarkvoskij.

Poesia Doc

Sempre più di frequente le vite dei poeti vengono raccontate attraverso le immagini, la loro voce e quella di chi li ha conosciuti, nei luoghi da loro vissuti ed evocati. Ne vengono fuori intensi ritratti sull’uomo e la sua opera, talora intrecciati, in altri casi ineffabilmente discosti. Ecco, dunque, che continua Poesia doc, la collaborazione tra Cinemzero e Pordenonelegge nella proiezione di preziosi documentari su tre importanti poeti: mercoledì 18 settembre alle 18.00 in Sala Grande sarà proiettato, in anteprima assoluta, Mladen Machiedo. La quotidianità non ordinaria di un italianista croato. Al di là dell’enorme spessore dell’intellettuale Machiedo (ordinario di Italianistica all’Università di Zagabria, poeta, critico e saggista, traduttore di Montale), il documentario, promosso dalla Comunità Croata di Trieste e realizzato da Matteo Prodan, racconta la sua umanità. Pubblico e privato, poesie croate ed in italiano, Zagabria, Spalato, la sua casa, le aule dove insegnava, i suoi disegni e le sue passioni artistiche, tutto si mescola in un altrove, per tratteggiare la personalità eclettica di questo grande vecchio fuori da ogni paradigma. Saranno presenti l’autore e Cristina Bonadei.

Giovedì 19 settembre alle 18.00 in Sala Modotti ci sarà Bellezza, addio: il documentario che ritrae Dario Bellezza, uno dei grandi poeti della seconda metà del Novecento, diventa il mosaico di una storia italiana irripetibile, segnata dalla grandezza dei suoi protagonisti e perseguitata da un cupo sentimento di morte. Le parole di amici, ammiratori ed esperti compongono la lucidità ribelle delle “invettive e licenze”, la disperata vitalità degli amori, la passione per una Roma centrale in cui si potevano incontrare gli intellettuali e i borgatari dei mercati di frutta e verdura, le marchette e gli scrittori spiantati.

Venerdì 20 settembre in Sala Modotti alle 18.00 sarà la volta di Un Paese ci vuole. Zavattini, Luzzara e il Po, l’ultimo lavoro di Francesco Conversano e Nene Grignaffini. Il documentario intreccia il racconto poetico di Cesare Zavattini e del suo Paese, Luzzara, visitata da fotografi di tutto il mondo, tra cui Paul Strand, Gianni Berengo Gardin, Stephen Shore, con la testimonianza di una emergenza ambientale, delle ferite e della fragilità del Fiume Po che il riscaldamento globale e la siccità stanno inesorabilmente trasformando, rendendolo un luogo desertificato e senza vita. Da qui, oggi più che mai, la necessità di riscoprire il valore dello stare insieme e della condivisione.

Infine sabato 21 settembre alle 17.30 nella Mediateca di Cinemazero verrà proiettato Parola di poeta. Autoritratto di Giovanni Raboni, un breve documentario che, a vent’anni dalla scomparsa di uno dei grandi poeti del Novecento, ne ripropone uno struggente autoritratto in cui vengono ripercorsi i luoghi, le figure familiari e le ragioni della sua poesia. A celebrarlo ci sarà Patrizia Valduga, che leggerà le Canzonette mortali. Nell’occasione la Mediateca annuncerà il costituirsi una sezione dedicata ai docufilm sui poeti e sulla poesia.