Spencer: la favola nera di Pablo Larraìn da dicembre in mediateca

Di Martina Zoratto

A dicembre arriva mediateca il racconto di un Natale particolare, in buona parte immaginato e poeticamente ricostruito da Pablo Larraìn e Steven Knight in una vera e propria «favola tratta da una tragedia vera».

Nella pellicola, presentata in concorso alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica a Venezia, il regista cileno – avvezzo all’arte del biopic – si misura con i fantasmi e le angosce di Lady Diana, in un intimo ritratto dipinto su schermo.

Subentrando nella campagna inglese, Spencer ci conduce nel cuore della contea di Norfolk, dominata dall’imponente Sandringham House, dove l’intera famiglia reale è chiamata a trascorrere il Natale. Un soggiorno forzato dunque, quello della Principessa del Galles, alla quale presta il volto la statunitense Kristen Stewart, in quella che è stata riconosciuta come una delle performance più brillanti della stagione.

Fin dalle prime immagini, Diana appare smarrita e tormentata: una distanza incolmabile la separa dal marito, spingendola all’isolamento totale in un affollato e coeso quadretto reale, nel quale lei rappresenta ormai unicamente uno scomodo elemento di disturbo. Da qui, l’esigenza di evadere verso gli esterni freddi e desolati della campagna inglese, in una ricerca quasi maniacale dei luoghi della propria infanzia, che nulla hanno a che vedere con la sontuosità e l’indifferenza che la circondano.

Vessata dalla sorveglianza oppressiva di corte, la donna è costantemente in fuga dalle claustrofobiche mura della residenza, nella quale ogni rito, ogni obbligo, persino ogni pasto, risultano ormai nauseanti e insostenibili. Tallonata dalle apparizioni di fantasmi intrappolati in un passato che non le appartiene e dagli sguardi carichi di giudizio del personale, Diana si aggira per i corridoi labirintici con gli occhi velati di lacrime. Il ronzio delle chiacchiere di palazzo e il tintinnio dei gioielli la disorientano e quel ruolo finisce per starle tanto stretto da toglierle il respiro: in una condizione di totale asfissia, non le rimane che spezzare la catena che porta al collo, andando a riversare sul pavimento una cascata di perle – splendenti, ma ormai troppo pesanti da indossare.

Sarà la fuga finale, quella risolutiva, quando la Principessa lascerà la dimora reale in compagnia degli adorati figli William e Harry, per concedersi un economico quanto liberatorio pasto al fast food, dove finalmente Diana ritroverà se stessa: Spencer.

Una favola nera dove la bellezza è sofferenza, la tradizione è una perla inghiottita e incastrata in gola, e dove ogni grido di aiuto riecheggia nel silenzio di un atrio deserto, restando inascoltato.

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Ma questo mese, in mediateca, le novità sono tante e per tutti i gusti!

Disponibili alcuni tra i film più premiati delle recenti Award Season, come il vincitore del Premio Oscar al Miglior Film 2022, Coda: I Segni del Cuore (Heder, 2021), e gli europei Titane (Ducournau, 2021) e Belfast (Branagh, 2021). Alcuni ingressi anche nella categoria dei successi all’italiana, con America Latina (D’Innocenzo, 2021), E noi come stronzi rimanemmo a guardare (Pif, 2021), Leonora addio (Taviani, 2022) e Supereroi (Genovese, 2021). Per gli amanti del thriller arriva l’ultima opera del maestro del brivido, Occhiali Neri (Argento, 2022), e per una sana dose di azione l’imperdibile colosso dedicato al supereroe più amato dell’universo DC, The Batman (Reeves, 2022). Non mancano i titoli perfetti per trascorrere le feste in famiglia, con le avventure di The Last Warrior (2021), Il lupo e il leone (2021) e Uncharted (2022); per non parlare di una delle più recenti e irresistibili produzioni Disney: Red (2022)! Anche i più nostalgici troveranno pane per i propri denti, con le nuove edizioni dei classici Domani sarò tua (Nugent, 1943), La donna senza amore (Levin, 1948), e gli adattamenti anni Sessanta Eva (Losey, 1962), Mayerling (Young, 1968); così come gli appassionati di western, grazie alle new entry L’uomo del West (Wyler, 1940) e Valdez il Mezzosangue (Coletti/Sturges, 1973). Novità fresche di dicembre anche per i più sentimentali, con alcune vere e proprie chicche provenienti dall’estero come La Signora delle Rose (Pianud, 2020), Parigi 13 Arr. (Audiard, 2021) e Made in Hong Kong (Chan, 1997… e distribuito in italiana dalla nostrana Tucker Film!), e i musicali Aline: La voce dell’amore (Lemercier, 2020)e Cyrano (Wright, 2021). Ovviamente, sugli scaffali della mediateca di Cinemazero, non può mancare il grande documentario – categoria alla quale si aggiungono Ennio (Tornatore, 2021), tributo al leggendario compositore, e lo struggente Quel giorno tu sarai (Mundruczó, 2021).

Corri in mediateca a prenotarli!

CUSTODI

“Custodi” di Marco Rossitti arriva a Cinemazero giovedì 14 dicembre alle 20:45, in collaborazione con il Club Alpino Italiano di Pordenone. Intervengono in sala il regista, anche docente di cinema all’Università di Udine, il direttore della fotografia Luciano Gaudenzio, Daniela Pizzarotti (suono in presa diretta) e alcuni protagonisti del film. Presentato al 71° Trento Film Festival, il documentario ha ricevuto il Premio Dolomiti Patrimonio Mondiale della Fondazione Dolomiti UNESCO e della SAT Società degli Alpinisti Tridentini, al miglior film sulla consapevolezza delle comunità rispetto agli eccezionali valori universali riconosciuti dalle Nazioni Unite e la capacità di una conservazione attiva del territorio. Dalla Val Resia all’Appennino di Reggio Emilia, passando per le lagune di pesca e i Magredi friulani, l’autore traccia brevi ritratti che sottolineano l’importanza del prendersi cura del territorio, il valore di tradizioni rivitalizzate nel rispetto di un patrimonio collettivo, della memoria, del delicato equilibrio fra uomo e natura.  

Così Rossitti descrive la sua opera: «I luoghi appartengono a chi li abita, ovvero a chi ne ha cura e li sente essenziali alla propria identità. In latino habitare significa “avere abitualmente”. Nulla a che fare con la proprietà o il possesso: è costruire, difendere, custodire. I veri custodi non esibiscono il loro operato. Li riconosci per la profonda padronanza del territorio nel quale vivono e lavorano, acquisita dapprima attraverso la lezione dei padri, poi con l’osservazione attenta, la dedizione, la fatica: una consapevolezza dei luoghi intagliata nel volto e nelle mani, riflessa nella voce e nello sguardo, scolpita nella memoria e nell’anima. Negli anni, incontrando in diverse regioni del Nord Italia Cecilia, Bepo, Egidio, Miriam, Mauro, Konrad, Erika, Gianfranco, Tobia, Xiaolei, Roberto, Matteo, Massimo, ho capito che si può essere custodi sotto le spinte e per le motivazioni più diverse: per istinto, elezione, passione, tradizione, lungimiranza, destino, vocazione, scelta…». 

Il male non esiste

Arriva in sala mercoledì 6 dicembre sotto il doppio segno della Tucker Film e della Teodora Film Il male non esiste (Evil Does Not Exist) di Hamaguchi Ryusuke! Vincitore a Venezia del Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria e osannato dalla critica di tutto il mondo, IL MALE NON ESISTE (Evil Does Not Exist) è il nuovo attesissimo film del regista premio Oscar per Drive My Car

Nel villaggio di Mizubiki, vicino a Tokyo, un’azienda senza scrupoli vuole costruire un campeggio di lusso (glamping) rischiando di rompere l’equilibrio ecologico del luogo. Tra gli abitanti che si oppongono al progetto ci sono un padre single, Takumi, e sua figlia Hana, custodi di una vita ancora in perfetta armonia con la natura. La loro resistenza dovrà però affrontare una situazione inaspettata, che cambierà per sempre il destino di tutti.

Anche grazie alle musiche evocative di Ishibashi Eiko, Hamaguchi esplora con maestria un tema di grande attualità, trasformandolo in un’appassionante parabola universale. Un’opera potente e misteriosa, una riflessione spiazzante e acuminata sugli equilibri e i disequilibri di cui si nutre il rapporto tra l’uomo e la natura. Da un lato, dunque, il ritmo della terra, dell’aria, dell’acqua e delle foreste, dall’altro, come in un gioco di specchi, il ritmo delle musiche di Eiko Ishibashi, punto d’innesco del lavoro di Hamaguchi.

È la natura, con i suoi cicli e le sue leggi, a disegnare la vita nel piccolo villaggio montano. Il tempo sembra fermo, il passato e il presente sembrano separati soltanto da una linea di confine sottile. La comunità di Mizubiki, di cui fanno parte Takumi e la figlia Hana, sta bene così: dentro una quotidianità mite e modesta che ha ereditato dalla generazione precedente e che tramanderà alla generazione successiva.

«Per me, prima di girare Il male non esiste, la natura era rappresentata solo dai parchi urbani – racconta Hamaguchi – e non andavo oltre. Appena ho cominciato a lavorare sul progetto del film, però, ho avvertito immediatamente la sensazione che la natura ci può guarire…».

Molto amato e conosciuto in Italia per grandi titoli come Happy Hour, Il gioco del destino e della fantasia e Drive My Car (Oscar 2022 per il miglior film internazionale), tutti distribuiti dalla Tucker Film, Hamaguchi rappresenta sicuramente il futuro del Nuovo Cinema Giapponese: un autore profondamente legato alle proprie radici e, al tempo stesso, capace di affrontare temi universali che sanno parlare davvero a tutti. Al di là delle appartenenze culturali e geografiche.

Il cinema al cinema 2023: ricominciamo da tre!

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              Dove la mano dell’uomo non aveva messo piede …

                                                                     sentieri di cinema!

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Di Andrea Crozzoli

Con l’arrivo di dicembre fioriscono, come sempre, classifiche sui migliori film dell’anno, bilanci sull’annata cinematografica, riflessioni sull’andamento del cinema al cinema e via discorrendo. Non possiamo quindi sottrarci dal fare anche noi una piccola riflessione su cosa resterà, a futura memoria, dei tanti film italiani usciti in questo travagliato 2023.

A nostro avviso tre sono i titoli che hanno segnato l’annata cinematografica: Io capitano di Matteo Garrone, Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti e C’è ancora domani di Paola Cortellesi; tutti film portatori di un forte messaggio civile, politico, sociale, anche se ognuno declinato secondo la particolare sensibilità dell’autore. Matteo Garrone ha affrontato il tema dell’immigrazione dall’Africa in Io capitano con la sua particolare capacità di guardare ben oltre il proprio ombelico, di indagare mondi che non sono i suoi, ma a cui dà voce in chiave poetica, per lanciare contemporaneamente una sfida su alcune cose che crediamo di conoscere, come i folli viaggi a piedi nel Sahara o i campi di tortura gestiti dalla mafia libica. Un viaggio, quello di Io capitano, come ricerca dell’emancipazione e non semplice fuga per la sopravvivenza. Ma più che la migrazione, la materia sulla quale sembra indagare magistralmente Garrone è il percorso di maturazione del giovane Seydou, che nella scena finale esplode, dopo aver provato tutte le emozioni del mondo, in una precoce presa di coscienza, una raggiunta maturità. Il film può considerarsi una sorta di rilettura contemporanea dell’Odissea che si rispecchia nel sogno dei migranti di “realizzarsi” altrove, quell’altrove davanti il quale Garrone si ferma, senza sbarcare in Italia. Dopo il Leone d’Argento a Venezia Io capitano di Matteo Garrone è stato indicato dall’Italia a comporre la shortlist dei papabili per concorrere all’Oscar 2024 come miglior film straniero. Sono quindici, infatti, i titoli internazionali all’interno dei quali verrà selezionata, il 24 gennaio 2024, la cinquina finale per la corsa all’Oscar la cui cerimonia è prevista a Los Angeles il 12 marzo 2024.

L’altro film che rimarrà a futura memoria di questa annata è il surreale, incredibile, ammirevole ma anche affettuosamente insopportabile Il sol dell’avvenire dello splendido settantenne Nanni Moretti che confeziona un melting pot del proprio immaginario filmico/esistenziale: dalle canzoni in macchina, alle coreografie da musical in strada, allo sguardo a tratti “allucinato” del protagonista. Dentro un pesante passato (Guerra Fredda, Comunismo, rivolta del ’56 in Ungheria), si affianca un confuso presente (rapporto matrimoniale in crisi, nuovi registi, piattaforme streaming), che sfocia in un onirico futuro che può avere solo la dimensione di un sogno. Un importante film che è una riflessione, senza sconti sul tempo andato, sull’invecchiare e sulla difficoltà di rapportarsi di fronte al mondo che cambia troppo in fretta. Tre film in uno per quest’opera politica, ironica e sentimentale, una sorta di matrioska cinematografica fatta di autocitazioni; quasi un film testamento sulla morte, nelle sue diverse declinazioni: della politica, dell’amore, della morale e del cinema stesso. Ma alla fine arriva il sol dell’avvenire seppur in forma onirica.

Il terzo film di questo 2023 è, senza ombra di dubbio, C’è ancora domani di Paola Cortellesi, un fenomeno dagli aspetti che travalicano il cinema stesso per addentrarsi nel mondo della violenza sulle donne, nel patriarcato. Nel film della Cortellesi il discorso sulla donna è evidente dalla prima scena che si apre con uno schiaffo alla protagonista come violenza domestica di routine, perpetrato come atto dovuto. Un film apprezzabile nello scuotere lo spettatore di fronte a una problematica come la violenza domestica, purtroppo, ancora di scottante attualità, narrata nel film attraverso svariati cambi di tono che servono a stemperare qualcosa che gli occhi non vorrebbero vedere e le orecchie non vorrebbero sentire. Non, quindi, un roboante grido di protesta, ma una poetica astrazione della violenza che in un caso si trasforma in uno struggente tango a sostituire le botte inferte e ricevute. Astrazione che scuote ancora di più lo spettatore. Nel film le donne, complessivamente, sono molto più solide degli uomini, in particolare dell’ottuso marito della protagonista, che si vergogna di essere povero e giustifica la propria rabbia affermando: «Ho fatto due guerre». Il film è sostanzialmente un monito forte ed orgoglioso contro la violenza domestica perpetrata sulle donne cui farà da contraltare quell’apertura che nel 1946 permise a tutte le donne di poter esprimere il proprio pensiero politico e sociale. Alcune date possono in qualche modo chiarire cronologicamente il susseguirsi degli enormi cambiamenti avvenuti in un Paese tutto da rifare: il 19 luglio 1943 avviene il primo bombardamento su Roma occupata dai nazisti con 3.000 morti; il 4 giugno 1944 le truppe americane entrano a Roma che diviene “città aperta”; il 2 giugno 1946 il primo suffragio universale che segna la nascita della Repubblica con le donne al voto per la prima volta (82% l’affluenza alle urne). La continuità fra passato e presente nella pellicola della Cortellesi è suggerita dalla scelta di accompagnare con brani musicali moderni alcuni snodi narrativi, dando una connotazione pop nuova e, a suo modo, originale, dove tutto è detto, spiegato, mostrato, in un percorso, tutto sommato, di profonda prevedibilità, seppure permeato da brevi lampi di ironia. Un film perfetto per ogni tipo di pubblico, come afferma la critica più sofisticata, con uno svolgimento confezionato così bene da lasciare ammirati: piace al critico come alla zia Pina. È cinema popolare, di cui si sentiva, però, estremo bisogno dopo quasi tre anni di sofferenza delle sale per la pandemia. C’è ancora domani è un intelligente film che parte dal passato per lanciare un messaggio di speranza sul futuro, prendendo spunto dalla condizione femminile raccontata con passione e amarezza. Come in ogni film che si rispetti c’è la realtà ma ci sono anche i sogni. Come a dire che c’è ancora un domani.