Il bicchiere mezzo pieno

Di Marco Fortunato

Arrivati al giro di boa dell’anno proviamo a tracciare un bilancio di questi primi 6 mesi dell’anno (o ultimi, se vogliamo considerare la stagione cinematografica che va da settembre a giugno), fare il punto sull’attuale situazione del mercato e ipotizzare le prospettive del prossimo futuro.

Partiamo dal passato: com’è andata finora in questi primi 6 mesi del 2024? Le previsioni erano critiche, soprattutto in ragione degli strascichi dello sciopero degli sceneggiatori che, effettivamente, hanno notevolmente impoverito l’offerta, soprattutto quella più “commerciale”. Decisamente meno problematica la situazione del comparto d’essai i cui titoli, in particolare quelli usciti nel primo (pensiamo a Il ragazzo e l’airone, Perfect Days, La zona d’interesse)hanno raccolto degli incassi decisamente al di sopra delle aspettative. Un risultato a cui si è aggiunto il tutt’altro che trascurabile contributo di C’è ancora domani che, pur essendo uscito ad ottobre, ha continuato a raccogliere esiti eccezionali nella coda della sua programmazione. La distanza con i dati del prepandemia era ancora molto alta (oltre il -20% in meno d’incasso sul 2019) ma in generale il clima che si respirava era positivo, e sembrava che il cinema fosse tornato stabilmente ad essere tra le alternative per impiegare il proprio tempo libero.

Dopo Pasqua, la svolta. Inaspettata, e fortemente negativa. Malgrado un fattore meteorologico assai favorevole, caratterizzato da una primavera eccezionalmente piovosa (soprattutto al Nord) incassi e presenze hanno iniziato a scendere repentinamente e inesorabilmente. “Pessimo” e “terribile” sono stati aggettivi ricorrenti nelle più autorevoli analisi dei mesi di aprile e maggio che hanno pesantemente scavato un solco non solo rispetto ai dati prepandemia ma anche a quelli del 2023. Ad aprile si è incassato la metà rispetto allo stesso mese del 2019 (circa 30 milioni in totale, poco più di quanto si fece nel 2022 e molto peggio del 2023). A maggio il dato è stato ancora peggiore e non si è nemmeno raggiunto l’incasso del 2022, tanto da ipotizzare il temuto sorpasso dei risultati del 2023 sul 2024. Giugno è stato un giano bifronte. Se da una parte ha portato in dote l’eccezionale risultato di Inside Out 2 , miglior esordio al botteghino della storia del cinema d’animazione, che sta incassando cifre da capogiro (mentre scriviamo ha ampiamente superato quota 30 milioni di euro) dall’altra ha confermato le forti criticità di tutto il resto dell’offerta che ha raccolto davvero molto poco, troppo poco per essere considerata sostenibile. Insomma, il sorpasso alla fine non c’è stato e al 30 giugno gli incassi del 2024 sono superiori a quelli dello stesso periodo dell’anno precedente. Ma solo grazie ad Inside Out 2.

Dall’euforia alla (quasi) disperazione – e in questo passiamo all’analisi del presente – il primo semestre dell’anno è stata una sorta di riassunto della tradizionale volatilità del mercato, delle sue cicliche criticità ma anche delle sue potenzialità. Un mercato ancora sofferente, come dimostra l’oggettiva e preoccupante distanza con i dati del prepandemia, che sembra non aver superato i suoi cronici difetti, a partire dalla stagionalità alla sovraproduzione. L’estate (che per la settima arte significa da maggio in poi) continua ad essere ancora troppo povera di film, soprattutto italiani. Ma quest’anno colpa degli europei dirà qualcuno, o forse delle Olimpiadi diranno altri, fatto sta che la pochezza dei listini estivi è disarmante. E solo un anno fa ci eravamo illusi di aver superato questo problema dimostrando che l’interesse del pubblico è vivo anche nei mesi più caldi. L’estate di quest’anno sta dimostrando che purtroppo c’è ancora molta strada da fare. E poi la sovrabbondanza di titoli: a maggio sono usciti 66 film, in 31 giorni. Più di due film al giorno, la maggior parte dei quali usciti in una manciata di sale e sconosciuti ai più, in particolare al pubblico. Forse è il caso di chiedersi a cosa e a chi servono questi film? Cosa rappresenta la sala per essi? E se siano un aiuto o un ostacolo alla crescita del mercato. E avere il coraggio di agire di conseguenza.

E ora veniamo al futuro. Sulla carta il secondo semestre del 2024 si annuncia ricco di grandi potenzialità. Parthenope di Paolo Sorrentino, Joker: Folie à Deux di Todd Philips, Napoli, New York di Gabriele Salvatores,passando per Cattivissimo me 4 e Oceania 2 fino ad arrivare a Mufasa: il re leone sono solo alcuni dei film che dovrebbero arrivare in sala da qui a fine anno, riportando pubblico e incassi.

Basteranno? Difficile dirlo, certo che – imparando dal passato e dal presente – l’auspicio è che si possa cercarne di trarre da ognuno di questi titoli il massimo risultato possibile. Come fare dovrebbe essere piuttosto semplice: per prima cosa servirà un coordinamento delle uscite evitando, dove possibile, sovrapposizioni tra titoli che possano riferirsi allo stesso target (fino a che non avremo i numeri di un mercato come quello francese fare uscire ad esempio tre commedie romantiche nella stessa settimana significa condannarne due alla sparizione pressoché immediata dai cinema), poi serviranno campagne di comunicazione mirate e soprattutto ampie. Non dimentichiamoci l’effetto Barbie che l’estate scorsa fu al centro di un’operazione di marketing a livello mondiale che interessò settori merceologici che poco o nulla avevano a che fare con la settima arte e il cui effetto non giovò solo agli incassi del film ma servi da traino all’intero mercato riportando il cinema al centro dell’attenzione non solo culturale ma soprattutto sociale. Serviranno infine regole chiare e certe per la tanto attesa riorganizzazione dell’intera filiera cinematografica: tax credit produzione, sostegno ai festival, finestre cinematografiche sembrano aspetti tecnici ma sono strumenti centrali per assicurare futuro e stabilità al mercato. Si tratta di temi sul tavolo da tempo che, anche in questi mesi, sono stati ignorati o messi in pausa causando un pericoloso stallo i cui effetti sono destinati a vedersi nei prossimi mesi e anni. Sarebbe quantomai urgente affrontare seriamente e in maniera complessiva tutti questi aspetti, fondamentali per la crescita del mercato.

Insomma, il bicchiere è a metà: mezzo vuoto, o mezzo pieno a seconda dei punti di vista. A noi piace immaginarlo mezzo pieno anche perché siamo convinti che ci sia la consapevolezza delle soluzioni da mettere in campo e che basti trovare la volontà di dedicarci tempo e risorse.

ARRIVEDERCI, BERLINGUER!

Ritorna a Cinemazero e nei migliori cinema italiani solo il 10, 11 e 12 giugno il film concerto con i materiali d’epoca  su Berlinguer presentato in anteprima a Pordenone Docs Fest!

Un appuntamento speciale in occasione del quarantesimo anniversario della morte di Enrico Berlinguer, avvenuta nel 1984. Arriva nelle sale italiane e, ovviamente anche a Cinemazero, per soli tre giorni – dal 10 al 12 giugno – il documentario Arrivederci, Berlinguer! per la regia di Michele Mellara e Alessandro Rossi e musiche composte da Massimo Zamboni. 

Il film, presentato in anteprima alla XVI edizione di Pordenone Docs Fest, è prodotto dallo stesso festival del documentario di Pordenone, Cinemazero, l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e distribuito da Wanted Cinema.  

Arrivederci Berlinguer! è un film concerto: le musiche di Massimo Zamboni commentano i materiali d’epoca provenienti dal documentario L’addio a Enrico Berlinguer, che fu realizzato durante i funerali del segretario del PCI da alcuni dei più importanti registi italiani. Tra i molti, Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Roberto Benigni, Carlo Lizzani, Giuliano Montaldo, Ettore Scola e Gillo Pontecorvo si misero dietro alla macchina da presa per omaggiare questo straordinario leader, venuto improvvisamente a mancare l’11 giugno 1984. Queste scene della cerimonia sono assemblate assieme ad alcune riprese di Enrico Berlinguer durante la sua attività politica, in un montaggio che vuole restituire all’oggi tutta l’umanità, la forza e la dignità di un personaggio centrale nella politica italiana degli anni Settanta e Ottanta.  

“Abbiamo cercato di ridurre il senso celebrativo/liturgico del filmato originale legato a quei tempi e di privilegiare il rapporto umano, caldo e vivo, che Berlinguer riuscì ad avere con le masse popolari” – commentano i registi – “Nel nostro nuovo assemblaggio abbiamo inserito il Berlinguer vivente ad intervallare i tempi espansi della lunga cerimonia. Questo attraverso un’attenta selezione di una serie di filmati messi a disposizione dall’AAMOD nei quali si mostra l’affetto e la partecipazione della gente verso il suo leader, in un rapporto simbiotico di incontro che ne cementa nel tempo la relazione”. 

Il montaggio è pensato in chiave emozionale, per coinvolgere il pubblico poggiandosi sulle composizioni musicali: la reiterazione del gesto, le folle, la commozione delle donne, dei politici, delle masse operaie, degli ultimi e dei capi di stato, i pugni alzati: tutto questo diventa sinfonia visiva e musicale allo stesso tempo.  

In viaggio verso Venezia

Di Marco Fortunato

Dopo l’edizione record dello scorso anno con ben 6 film italiani in concorso – un record – anche la prossima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si annuncia, sulla carta, potenzialmente molto promettente per il cinema nostrano. Sono davvero molti, forse anche troppi, i film pronti, fermi per ora ai blocchi di partenza, in attesa dei primi annunci sul programma del Lido che, come tradizione, dovrebbero arrivare nella seconda metà di luglio. Proviamo a capire chi sono i favoriti, e i possibili outsider.

Gettonatissimo tra gli addetti ai lavori è Campo di Battaglia di Gianni Amelio. Per il regista e sceneggiatore calabrese sarebbe la settima presenza (oltre all’esperienza come giurato nel 1992) e l’occasione per puntare a diventare il primo italiano a vincere due Leoni d’Oro, esperienza finora riuscita ad un gotha di cineasti, tutti stranieri: André Cayatte nel 1950 e 1960, Louis Malle nel 1980 e nel 1987, Zhang Yimou nel 1992 e nel 1999 e infine Ang Lee nel 2005 e  2007. Il suo film, ambientato all’interno di un ospedale da campo durante la prima guerra mondiale e girato a Gorizia racconta il rapporto problematico di due medici alle prese con i soldati ricoverati provenienti dalle prime linee. I due protagonisti, interpretati da Alessandro Borghi, e Gabriel Montesi dovranno fare i conti non solo con le ferite fisiche, ma anche le menzogne e l’autolesionismo dei soldati per non tornare al fronte. Il tutto complicato dall’arrivo di un’altra emergenza, l’influenza spagnola, e dal comune amore per l’infermiera Anna.

Quotazioni molto alte anche rispetto alla presenza di Napoli-New York di Gabriele Salvatores, la cui genesi è molto curiosa. Il progetto nasce infatti dal ritrovamento di un trattamento firmato nientemeno che da Federico Fellini e Tullio Pinelli nel 1948 la cui prima regia avrebbe dovuto essere di Gianni Franciolini. Successivamente lo stesso Fellini provò a realizzare il film con gli americani ma il progetto si arenò quasi subito. Malgrado le premesse però non sarà un film felliniano, “non ha niente di onirico, di surreale, semmai è un film molto influenzato, come lo era allora il soggetto, dal neorealismo” ha precisato il regista in una recente intervista rilasciata a Mario Sesti e Gloria Satta per il Messaggero “È la storia di due bambini, due scugnizzi che scappano come clandestini per andare a New York: c’è quest’idea del viaggio e dell’arrivo in un posto come quello in cui si ritrova Alice nel Paese delle Meraviglie. Di felliniano, forse, c’è solo la nave che li porta lì.” Come Amelio anche Salvatores ha scelto di girare in FVG, e precisamente a Trieste.

Altro autore che quasi sicuramente dovrebbe presentare il suo film al Lido è Uberto Pasolini. E sarebbe la quarta volta su quattro film. La prima fu nel 2008 con Machan – La vera storia di una falsa squadra, che si aggiudicò il Premio Label Europa Cinemas alle Giornate degli Autori, poi nel 2013 con  Still Life con cui vinse il Premio Orizzonti per la migliore regia e infine nel 2020 quando fu la volta di  Nowhere Special – Una storia d’amore.Nel suo ultimo lavoro intitolato Il ritorno il regista, produttore e sceneggiatore romano dirigere un cast stellare in cui spiccano Juliette Binoche e Ralph Fiennes, quest’ultimo nel ruolo di Ulisse che a vent’anni dalla sua partenza ritorna in patria dopo aver combattuto nella guerra di Troia. Ritroverà un regno molto diverso da quello che ha lasciato.

Buone probabilità anche per i Manetti Bros che mancano da Venezia dal 2017 quando conquistarono l’attenzione di pubblico e critica con Ammore e malavita (chi c’era ricorderà la proiezione stampa interrotta più volta da applausi a scena aperta). La storia, quella della società calcistica locale l’U.S. Palmese che dovrebbe dare il titolo al film, sulla carta si presta perfettamente a creare l’occasione per lasciar esprimere al meglio lo stile ecclettico e decisamente originale dei due fratelli che, nella conferenza stampa di fine riprese hanno sottolineato come la trilogia dedicata a Diabolik che li aveva tenuti impegnati negli ultimi anni può dirsi definitivamente conclusa.

Più o meno alla pari – in termini di possibilità – sembra giocarsela un altro titolo diretto a quattro mani. Si tratta di Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, che può vantare la coppia Toni Servillo e Elio Germano per la prima volta insieme sul set. Il film trae spunto dalla vita del boss Matteo Messina Denaro, la cui ricostruzione – hanno dichiarato i registi – “ci ha dato la possibilità di scavare nella sua enigmatica personalità, ricostruendo parte della sua trentennale latitanza, durante la quale, nel sonno della ragione ricorrono sogni che finiscono sempre per trasformarsi in incubi. Incubi tragici e ridicoli

Risultano pronti anche Eterno visionario di Michele Placido con Fabrizio Bentivoglio, nuovo omaggio a Pirandello, dopo il fortunatissimo La stranezza di Roberto Andò e L’abbaglio dello stesso Andò che prosegue il sodalizio artistico con l’insolito trio composto da Salvo Ficarra, Valentino Picone e Toni Servillo.

Non ci resta dunque che attendere l’esito del comitato di selezione guidato da Alberto Barbera, nella certezza che, presto o tardi, tutti i titoli che abbiamo citato arriveranno sul grande schermo.

L’inesorabile deriva solipsistica dei cinefestival

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                     Dove la mano dell’uomo non aveva messo piede …

                                                                           sentieri di cinema!

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Di Andrea Crozzoli

Festival di cinema? Sono rimasto assente per un certo periodo dalle manifestazioni cinematografiche. Quando le frequentavo assiduamente, per avere più facile ingresso alle proiezioni collaboravo con un quotidiano di Trieste che ogni giorno pubblicava i miei resoconti. Questo mi garantiva che non avrei fatto la fila inutilmente, come invece accadeva a molti altri. Per gestire la massa degli accreditati i festival, da sempre, suddividono gli accrediti per categoria: prima i media e la stampa che il giorno dopo la proiezione, con articoli e recensioni, operano da cassa di risonanza dei film via via presentati; poi i professionisti e addetti ai lavori come registi, produttori, attori e operatori del settore; poi i direttori di festival, studiosi, cinefili e giù giù cantando.

Per avere buone possibilità di metter piede in sala durante un festival l’accredito stampa, dunque, era l’ideale; l’accredito cinefili serviva spessissimo solo per mettersi in coda fuori dalle sale che venivano riempite da stampa/media e dai professionisti oltre che dal pubblico in tenuta di gala.

Ma ai festival non si andava solo per vedere i film che sarebbero usciti nella prossima stagione, ma anche per intercettare qualche autore/attore disponibile a venire a presentare il suo film in sala, per conoscere gente del settore, operatori culturali, giornalisti, per attivare relazioni di scambio ed altro ancora. All’epoca i film uscivano in sala e solo dopo alcuni mesi venivano resi disponibili per il circuito dell’home video.

La giornata festivaliera, una volta ottenuto l’accredito stampa, era scandita da una precisa liturgia: ore 8.30 proiezione del film in concorso, ore 10.30/11.00 conferenza stampa con il cast del film appena visto; ore 12.30 pausa panino e telefonata della redazione con indicazione dello spazio riservato alla recensione e cronaca del film; ore 13.30/14.00 corsa in sala stampa per scrivere l’articolo con attesa anche di mezz’ora affinché si liberi una postazione con computer; tra le 15.00 e le 18.00 conquistata la postazione con computer si cercava di comporre un articolo che raccontasse a chi non c’era, in maniera perlomeno oggettiva, quanto visto; ore 18.00 spedizione della mail alla redazione con articolo/recensione per il giorno dopo; ore 19.00 proiezione secondo film in concorso il giorno dopo, per cui rientrerà nella redazione dell’articolo di domani su dopodomani. Alle 21.30/22.00 in uscita dalla proiezione scambi di opinioni con altri colleghi e leggera cena per essere pronti il mattino seguente in quanto alle 8.30 si era di nuovo in sala di proiezione.

Per anni, anzi decenni, questa laica liturgia ogni giorno è stata scandita inesorabilmente: dalle proiezioni, dalle conferenze stampa più o meno vivaci, dai contatti che si stabilivano fra il gruppo di giornalisti che si ritrovavano a distanza di un anno a lavorare gomito a gomito. Le accese discussioni all’uscita dei film, le facce perplesse della stampa estera difronte ai doppi e tripli giochi italici di alleanze come ai tempi de Il mestiere delle armi di Olmi. Insomma un vero e proprio scambio, una specie di osmosi fra operatori del settore, compresi gli slalom per arrivare prima in sala stampa. Sono passati solo pochi anni e il poderoso avanzare delle nuove tecnologie ha spezzato e spazzato tutto questo compreso ogni rapporto umano, ogni possibilità di scambio, cancellato ogni luogo di incontro. La comunicazione corre sul web, sui social, già durante il film alcuni postano giudizi e pregiudizi, la carta stampata è troppo lenta per questo mondo veloce affamato di news più o meno fake. Sparita la sala stampa, ognuno opera con il proprio portatile, iPad o iPhone utilizzando wifi. Ognuno interconnesso h24 ma contemporaneamente isolato, chiuso nel proprio guscio elettronico. Anche i biglietti si fanno con il cellulare online secondo rigidi protocolli che ogni festival applica. Ai pochi quotidiani superstiti che ancora si occupano di cinema interessa gossip, colore e outfit, i film sono la loro ultima preoccupazione. Quei pochi critici/recensori rimasti sul campo di battaglia digitano per webmagazine finiti sui clouds. Ognuno armato col proprio smartphone, strumento depositario e identitario, dove tutti ormai sono perennemente online, collegati al globo terracqueo. Non incontri fisicamente nessuna faccia amica, non ci sono più momenti aggregativi, sei felicemente sparso fra i diecimila accreditati, solo in mezzo ad altre migliaia di persone interconnesse elettronicamente. L’unica preoccupazione è di avere la batteria dello smartphone sempre sufficientemente carica. La vita è legata non più ad un filo ma ad un wifi. Il massimo della socializzazione sono un paio di WhatsApp con un fantomatico ufficio stampa se non riesci ad entrare, per inesperienza tecnologica, ad una proiezione. Ti danno il link e vedi il film sul telefonino. Tutto questo agevola, per alcuni versi, la vita pratica ad un festival ma ha reso immensamente più arido, più frettoloso, più asociale la vita festivaliera. I tempi cambiano compreso l’uomo che ha immense capacità di adattamento, soprattutto i giovani che non sanno come si stava bene prima. Ma un filo sottile di nostalgia fa capolino tra le clouds.