Dal set alla sala: i capolavori svelati dalla Magnum ritornano a Cinemazero
Di Martina Zoratto
In occasione della mostra Magnum sul Set: lo Sguardo dei Grandi Fotografi, inaugurata il 14 settembre presso la Galleria Bertoia e visitabile fino all’8 dicembre 2024, Cinemazero riporta in sala due classici intramontabili.
A novembre torneranno infatti sul grande schermo Luci
della Ribalta (Charlie Chaplin, 1952) e Quando la moglie va in vacanza
(Billy Wilder, 1955): due proiezioni pensate per arricchire l’esperienza della
visita alla mostra, che vede esposte 116 fotografie realizzate da 18 reporter
sui set di 12 produzioni hollywoodiane.
Organizzata dal Comune di Pordenone, con il sostegno della
Regione FVG e Promoturismo, l’esposizione ha visto il coinvolgimento di
Cinemazero – tra i partner insieme a Contrasto, Pordenonelegge, Craf, Magnum e
Versicherungskammer Kulturstiftung – che ha messo a disposizione una preziosa
selezione di locandine e materiale a stampa, in collaborazione con la Cineteca
del Friuli.
Protagonisti assoluti gli scatti di maestri del calibro di
Henri Cartier Bresson, Elliot Erwitt e Eugene Smith: sguardi inediti che hanno
immortalato momenti significativi della vita sul set, catturando i segreti
delle maestranze e i ritratti delle star, restituendoci così una documentazione
inestimabile del lavoro di uomini e donne del cinema.
Un’opportunità unica per guardare a tali capolavori da una
prospettiva insolita, e al contempo un modo per conoscere un versante meno noto
dell’attività della storica agenzia fotografica.
Un viaggio che a partire da immagini di backstage rubate ai
grandi set attraversa la fase d’oro della storia hollywoodiana, conducendo il
visitatore alla scoperta dei meccanismi che hanno permesso la realizzazione di
pellicole che hanno fatto la storia, e che ancora oggi vale la pena riscoprire
nella loro dimensione naturale: la sala cinematografica.
Tra qualche settimana si terrà a Vilnius, in Lituania, la 23ma conferenza di Europa Cinemas, il più importante network di sale d’essai europeo che a oggi coinvolge 1.200 cinema in 33 diversi paesi. Nell’ambito di questo prestigioso appuntamento Cinemazero è stato chiamato a confrontarsi con i colleghi sulle prospettive di sviluppo del settore, in altre parole a ragionare su come sarà il cinema del futuro.
Un tema di grande fascino e
altrettanta complessità che negli ultimi anni sta evidenziando un chiaro trend
di sviluppo. A livello internazionale è, infatti, interessante notare come la
riflessione tenda, anno dopo anno, ed espandersi, abbracciando non solo gli
aspetti culturali e commerciali proprio dell’attività di esercizio
cinematografico, ma arrivando a comprendere le ricadute sociali e verrebbe da
dire anche sociologiche che derivano dalla presenza di una sala cinematografica
in territorio. Sempre di più questi spazi rappresentano e sono riconosciuti
come presidi culturali e sociali, luoghi di aggregazione cittadina la cui
attività influenza, positivamente, l’intera comunità in cui operano.
Cinemazero crede profondamente in
questo modello, la cui idea di fondo è che il cinema, inteso come spazio
fisico, faccia parte di un ecosistema che produce valore, non solo culturale ma
anche economico e sociale. Per questo vediamo con favore la nuova struttura sorta
di fronte all’Aula Magna che può rappresentare un’importante possibilità di
sviluppo in questa direzione.
Il nuovo spazio nasce, infatti,
su quello che prima era un parcheggio e dunque – senza ulteriore consumo di
suolo – costituisce un esempio di riconversione virtuosa di un’area che,
sottratta alle auto, potrà essere utilizzata per diverse iniziative culturali.
Incontri con gli autori, presentazioni di libri, laboratori, workshop, piccoli
concerti, sono solo alcuni degli esempi di attività che potranno essere
ospitate, rendendolo un polo aggregativo a servizio non solo del pubblico del
cinema ma anche di ragazzi e ragazze che frequentano gli istituti scolastici
della zona. Un luogo, magari impreziosito da un po’ di verde, dove avere
occasioni di (ri)vivere il piacere di un’esperienza collettiva in un’epoca che ci
sembra ancora troppo orientata ad incentivare un consumo culturale ed un
esercizio dei propri diritti in forma individuale e indiretta, attraverso i
social network.
Non mancheranno ovviamente le
sfide. La prima sarà quella di sfruttare al meglio questo contenitore culturale
la cui valorizzazione passerà per un utilizzo il più possibile continuativo,
con ricco calendario di proposte e attività che possano intercettare un ampio
spettro di interessi. Ciò sarà possibile solo se vi sarà un impegno collettivo,
al quale dovranno concorrere tutte le istituzioni e le realtà culturali del
territorio e al quale ovviamente anche Cinemazero, considerata quantità e
qualità delle iniziative in essere è pronto a dare un importante contributo.
L’altra sfida fondamentale,
soprattutto all’inizio, sarà quella di raccontare le potenzialità di questo
spazio e il suo ruolo nel contribuire a costruire questo modello di futuro,
fatto di socialità, inclusione e partecipazione. La complessità in questo caso
risiede nel cercare di tradurre in gesti concreti il perseguimento di questi
ideali similmente a quanto accade, ad esempio, quando si parla di
sostenibilità.
Su questo aspetto di grande aiuto
saranno le scelte architettoniche che, avendo privilegiato l’utilizzo del vetro
e dell’acciaio, hanno dato vita ad una struttura leggera e trasparente che si
presta ad essere attraversata con lo sguardo, disegnando uno spazio in cui chi
è dentro può vedere cosa accade fuori e viceversa, richiamando così quella
dimensione di dialogo che ogni realtà culturale, ma non solo, dovrebbe sempre
ricercare.
Gli occhi dell’Africa è la rassegna di cinema e cultura africana, giunta quest’anno alla maggiore età, ideata dalla Caritas della diocesi di Concordia-Pordenone, realizzata con la collaborazione di Cinemazero e del Centro culturale Casa dello Studente Zanussi. Il nucleo centrale è costituito da film e documentari creati da autori africani, che possano dare uno sguardo inedito su un continente ricco di storia e di contraddizioni, che va conosciuto al di là degli stereotipi, attraverso lavori d’autore che i normali circuiti di distribuzione cinematografica ignorano. La rassegna si avvale della consulenza e della collaborazione del Festival di Cinema africano di Verona e Festival di cinema africano, Asia, America Latina di Milano, nonché della rivista Africa.
Accanto ad una selezione della più recente filmografia africana, la rassegna presenta una serie di momenti di approfondimento: incontri per adulti e per le scuole, laboratori per bambini e ragazzi, un concerto, almeno un lavoro teatrale, una mostra fotografica, presentazione di libri. Si inizierà martedì 5 novembre con il primo incontro, dedicato all’attualità in Africa, con Marco Trovato, direttore editoriale di Africa, che parlerà alla Casa dello Studente Zanussi di fronte al pubblico dell’Università della Terza Età di Pordenone.
Il 12 novembre si prosegue con un appuntamento sulla musica africana, con il musicista camerunense Stephane Ngono e il 19 novembre con la presentazione del libro Con l’Africa, del giornalista Giuseppe Ragogna, dedicato all’opera dei volontari del Cuamm Medici con l’Africa di Padova: tutti questi tre incontri si replicheranno la mattina seguente per le scuole. Il 5 novembre, nello Spazio Foto della Casa dello Studente Zanussi, si inaugura la mostra Terra madre, che racconta la sfida della sostenibilità ambientale in Africa attraverso 40 immagini realizzate da grandi fotografi. l loro scatti sono uno sguardo corale sulle urgenze più impellenti per l’umanità viste dal continente più fragile, resiliente e vitale. Si assaggeranno specialità africane, al termine della presentazione della mostra. Tra i libri che verranno presentati, il 15 novembre, prima della proiezione, alle 20.45, ci sarà ItaliApartheid. Stranieri nella penisola del razzismo, di Leonardo Palmisano, docente di Sociologia della devianza all’Università di Foggia, editorialista del Corriere del Mezzogiorno.
Tre i laboratori per bambini e ragazzi, nei sabati di novembre, per parlare di Africa in maniera creativa. Verrà proposto lo spettacolo multimediale di e con Gabriele Del Grande Il secolo è mobile. La storia delle migrazioni in Europa vista dal futuro.
Il 29 novembre ci sarà un momento musicale con testimonianza del suo percorso di migrazione del musicista Chris Obehi. I giovani dello Young Club di Cinemazero realizzeranno un documentario sul mutamento della situazione migratoria a Pordenone, con testimonianze di giovani di seconda generazione e di esperti. In gennaio, la rassegna si concluderà con una grande festa, per la maggiore età dell’iniziativa, nel nuovo padiglione multifunzionale davanti a Cinemazero.
Dove la mano dell’uomo non aveva messo piede … sentieri di cinema!
Di Andrea Crozzoli
Mi ricordo, sì mi ricordo Sergio Leone
al nostro primo incontro quaranta anni or sono, nel marzo del 1984, a Torino.
Preparavamo per l’edizione di quell’anno de Le giornate del
cinema muto un omaggio a Roberto Roberti, che era non solo il regista
preferito di Francesca Bertini ma anche il papà di Sergio Leone (non per nulla
all’uscita di Per un pugno di dollari Leone usò lo pseudonimo Bob
Robertson ossia letteralmente “Roberto figlio di Roberto”).
Leone si trovava a Torino per un seminario sul suo cinema ospite degli amici del Movie Club, un circolo di cultura cinematografica animato dagli allora giovani cinefili Steve Della Casa, Roberto Turigliatto e Alberto Barbera. Prima di un’abbondante cena piemontese terminata con gli amaretti fritti, Sergio Leone mi concesse un’intervista esclusiva (che fu pubblicata su Il Piccolo di Trieste) accettando volentieri di venire a Pordenone in autunno per vedere i film del padre di cui aveva solo letto. Dopo il nostro incontro, a maggio avrebbe presentato a Cannes il suo ultimo film C’era una volta in America un’opera che lui considerava, come mi dichiarò all’epoca, «intimista, la storia di un perdente, di un’amicizia fallita, della morte. Non c’è violenza, ma suspense.».
L’anteprima mondiale del
film era avvenuta il 17 febbraio 1984 a New York con una versione del film di
269 minuti, ma all’anteprima europea di Cannes avrebbe presentato una seconda
versione di soli 229 minuti.
Aveva combattuto dieci
anni per realizzarlo a causa soprattutto dei dissapori con il produttore
Alberto Grimaldi che abbandonò il progetto, oltre alle sceneggiature fatte e
rifatte decine di volte. Una volta varato definitivamente il film, raccontò che
impiegò solo «sei mesi di sopralluoghi e altri sei per girare. Abbiamo
girato a New York, Montreal, Venezia, in Florida e a Cinecittà gli interni. Più
un paio di mesi per il montaggio.». Sulla durata del film seguì poi
un’aspra battaglia con la produzione e distribuzione; Leone mi disse che «all’inizio
i produttori pensavano di dividerlo in due parti, come Novecento di
Bernardo Bertolucci, poi è saltata fuori una legge americana che vieta di immettere
nel mercato la seconda parte se non dopo tre mesi dall’uscita della prima.
Questo per evitare concorrenze sleali fra distributori. Se la cosa poteva
andare bene per Novecento, non va certo per il mio film che deve essere
visto tutto di seguito. Al massimo la seconda parte il giorno dopo. Il film è
costruito a flashback e l’inizio si ricollega con il finale, che è a sorpresa e
chiarisce molte cose. La storia va appunto dal 1922 al 1933, con un salto nel
1968 che apre e chiude. Già mentre giravo ho tolto molte cose previste dalla
sceneggiatura, ad esempio quella di un cinemino degli anni venti, dove si
proietta un film di Rodolfo Valentino e dove cento donne estasiate e con gli
occhi sgranati davanti allo schermo sono prese di mira da un gruppo di ragazzini
che approfitta di spogliarle di spille, collane e braccialetti.».
Per Robert De Niro aveva una grande stima e considerazione, «fin dall’inizio – mi disse – avevo pensato a De Niro dopo averlo visto in Mean Street. Un attore favoloso, che ama il proprio lavoro. Ci siamo subito capiti. Puntiglioso, preciso, quasi maniacale. Per un mese si è presentato sul set all’una di notte per farsi truccare da vecchio ed essere pronto a girare alle sette del mattino.». Su Clint Eastwood, che aveva lanciato a livello internazionale con la trilogia del dollaro, invece era caustico, sfoderava tutta la sua sorniona ironia e lo ritraeva come «un tipo magro, con il volto un po’ effemminato, spalle strette, che non parlava mai… Ormai alla fine della carriera, Clint Eastwood si
accontentava
della metà della somma richiesta da James Coburn. Gli misi un
poncho
per sopperire alla carenza di spalle, la barba lunga di una settimana per
indurire il volto e un sigaro perennemente in bocca. Eastwood ha solo due
espressioni: una con il cappello e una senza il cappello. Ma per quella parte
funzionava a meraviglia.»
Già all’epoca, in Francia, Sergio Leone lo chiamavano maestro e lui in maniera
sorniona accettava questa corte, cosciente del suo ruolo e del suo talento
senza però mai abbandonare quell’autoironia, quella vena bonariamente
demistificatoria ma mai cinica. Venne a Pordenone nel 1984 e rimase folgorato
dalla manifestazione dedicata al cinema muto. Animo sensibile, dopo aver visto
sullo schermo del Teatro Verdi un primo piano della mamma diretta dal padre in
un western girato sulle rive del Po, al riaccendersi delle luci in sala si
asciugò le lacrime per la commozione. Tornò a Pordenone l’anno seguente, nel
1985, sempre per Le giornate del cinema muto dedicate questa volta a
Thomas Ince e al western. Accettò di fermarsi, a fine manifestazione, anche la
domenica 6 ottobre 1985 per presenziare all’inaugurazione della nuova sala
grande dell’Aula Magna rinnovata da Cinemazero con un nuovo arredo e nuove
poltrone, dove proiettavamo in anteprima per la città C’era una volta in
America. Eravamo orgogliosi di poter avere in sala Sergio Leone ma anche
preoccupati che la qualità tecnica della proiezione fosse all’altezza delle sue
aspettative. L’anno prima aveva fatto annullare la proiezione per la stampa
alla sala Excelsior della Mostra del Cinema di Venezia giudicandola
tecnicamente inadatta al suo film. Fortunatamente da noi tutto filò liscio.
Con la stessa emozione di
allora ci prepariamo, quaranta anni dopo, a ritornare in sala per ammirare la
copia restaurata del capolavoro C’era una volta in America ricordando
con nostalgia che c’era una volta un maestro di nome Sergio Leone.
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