Dal Generalissimo al Malkovichissimo

67 Festival di San Sebastián

di Lorenzo Codelli

Surfeando y surfeando sulle onde oceaniche delle sue stupende spiagge, in 67 procellosi anni il Festival Internazionale di San Sebastián è balzato dall’era più buia del franchismo a quella luminosissima di istituzione avveniristica attiva tutto l’anno sotto la guida dell’intraprendente José Luis Rebordinos. Un esempio, la Zine Eskola Elías Querejeta: «La escuela de los tres tiempos del cine. Centro internacional de investigación, innovación pedagógica y experimentación cinematográfica». Secondo esempio, la digitalizzazione, a fini di ricerche storiche, dell’intero patrimonio del Festival. Terzo esempio, Cine en Construcción, il mercato progettuale che permette a numerosi giovani dell’America Latina di portare a termine i film e presentarli l’anno successivo al festival basco. È il caso di Agosto del
cubano Armando Capó, un impressionistico, lirico ritratto dello sfacelo del regime castrista in seguito al crollo dell’URSS. Uno scolaro in vacanza assiste alle fughe dall’isola su imbarcazioni precarie del padre, dell’innamorata e di tanti altri disperati morti di fame. Mano de obra, satira macabra del messicano David Zonana, racconta la vendetta d’un gruppo di operai che restaurano la villa d’un nababbo, lo fanno fuori e vi s’installano formando una comunità proletaria non proprio stile Ken Loach. Il più scaltro fotte gli altri e scappa col malloppo. Un’altra parabola sociale tragicomica ne La odisea de los giles dell’argentino Sebastián Borensztein. Il grande attore Ricardo Darín capeggia un manipolo di vittime della crisi finanziaria decisi a farsi giustizia da soli. Talmente tanti i temi d’attualità, idem i fondi produttivi a sostegno dei cineasti, dal Cile al Brasile, al Messico, che pure certi furbetti occidentali abboccano. Vedi il francese Olivier Assayas con il mediocre faux-cubain Wasp Network, o l’americano Paxton Winters con il folk favelas Pacificado, immeritato vincitore della Concha de Oro 2019.

Il cinema spagnolo ha proposto un duetto speculare di epopee sulla guerra civile scoppiata nel 1936 e sull’avvento del generalissimo Franco. La trinchera infinita del terzetto basco Aitor Arregi, Jon Garaño e Jose Mari Goenaga, Concha de Plata per la migliore regia; e Mientres dure la guerra del cileno-madrileno Alejandro Amenábar. Nel primo un rosso ricercato dai fascisti si rifugia in cantina per oltre un trentennio assistendo tramite gli occhi della consorte a crimini e misfatti della dittatura. Nel secondo, il celebre scrittore e docente Miguel de Unamuño appoggia il reazionario Franco fino a pentirsene amaramente. Toni da fiction tv annacquano qua e là le buone intenzioni. Non sorprende che ogni anno a San Sebastián sia la retrospettiva a sorprenderci. Dopo la scoperta nel 2018 della britannica Muriel Box, un ennesimo choc: l’opera del genialissimo autore messicano
Roberto Gavaldón (1909-1986). Una metà circa dei suoi 55 film hanno fatto scalpore. Tra i suoi sceneggiatori, Carlos Fuentes, Gabriel García Márquez e il mitico B. Traven, e tra i suoi direttori della fotografia Gabriel Figueroa e Alex Phillips. Ai suoi comandi dal pugno fermissimo, un parco attori messicani di fama internazionale; dalle divine María Félix, Dolores Del Rio, Ariadna Welter, ai divi Pedro Armendáriz, Ricardo Montalbán, Cantinflas. Qualunque sia il genere affrontato, Gavaldón va fino in fondo, spinto da un’assenza di censura e auto-censura che tarpavano invece le ali ai cineasti hollywoodiani suoi contemporanei. Eros e civiltà si scontrano nel conradiano Sombra verde (1954). Machismo e femminismo nel cupissimo La noche avanza (1952), dal finale iperbunueliano. Capitalismo statunintense e idealismo azteco in Rosa Blanca (1972), un pamphlet politico attualissimo. Imperdibile il catalogo Roberto Gavaldón (in inglese e castigliano), a cura di Ana Cristina Iriarte e Quim Casas. Ai musei di San Sebastián traboccano le mostre. Una per tutte: Malkovich Malkovich Malkovich. Homage to the Great Masters of Photography. Il camaleontico fotografo americano Sandro Miller ha immortalato in una quarantina di pose John Malkovich, il quale meglio di Fregoli reinterpreta una parata di icone novecentesche.

Alla scoperta del nuovo cinema

Martedì 15 ottobre a Cinemazero una selezione di film in concorso alla SIC di Venezia

In un mercato cinematografico sempre più fluido, in contuinua e costante evoluzione e spesso ingolfato dalla sovrabbondanza dell’offerta esiste uno spazio privilegiato dedicato agli amanti della scoperta del nuovo cinema d’autore. È la Settimana Internazionale della Critica, sezione indipendente della Mostra del Cinema di Venezia che grazie all’impegno del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI), che ne cura in autonomia l’organizzazione nell’ambito della Mostra, propone da diversi anni soltanto opere prime, ovvero film di autori ancora sconosciuti, che vengono proposti all’attenzione di cinefili, di addetti ai lavori e, si spera, di un pubblico sempre più ampio. Ogni anno una commissione, composta da cinque membri, seleziona sette film che corrono al Premio. Ed è proprio uno dei membri della commissione, la critica e giornalista Beatrice Fiorentino, che ci racconta di una “selezione figlia del suo tempo, in linea con il caos che agita il mondo, osserva le inquietudinidel presente sfidando comunque e sempre la forma, ripudiando il banale grazie allo sguardo illuminante di cineasti e cineaste pronti a fare nella settima arte” regalando -anche a chi non era al Lido – l’occasione di ripercorrerla. “Apre un soprendente lavoro di animazione indiano, Bombay Rose, fedele alla tradizone di Bollywood ma rivoluzionario nei contenuti mentre la chiusura (Sanctorum) è affidata al talento di Joshua Gil, che nel Messico mette in scena un Narcos apocalittico e visionario, immerso nel mistero della Natura. Sette i titoli in gara: film radicati nella Storia e nella concretezzza del reale, ma anche disponibili ad avventurarsinella dimensione del raacconto fantastico. All This Victory si proietta nell’inferno della Guerra del Libano declinandone la paura anche in senso teorico, Parthenon sovrappone in unavertigine visiva i destini di tre personaggi che si muovono tra Sudan, Grecia, Ucraina e Turchia; El Principe, ambientato nel Cile del 1970, esplora corpi, desirio e dinamiche di potere in un dramma carcerario di richiamo genettiano, mentre Psykosia, raffinato thriller psicologico interpretato da un magnifico tris di attrici, si addentra nei labirinti della mente, tra senso di colp, eros e morte. Con Rare Beats, Billie Piper esordisce alla regia ribaltando i canoni della rom-com, Scales denuncia la condizione femminile nel mondo arabo grazie a una “sirenetta”eroina di una insolira fiaba in bianco e nero. A rappresentare l’Italia è Tony Driver, film anti-Trumpiano che ribadisce l’assurdità dei muri, dei fili spinati e delle frontiere, oltre ai nove corti di Sic@Sic, sezione nella sezione che da quattro anni scommette sul cinema italiano del futuro. “

Giovedì 15 ottobre, grazie al progetto di decentramento, organizzato dalla FIGE e sostenuto, tra gli altri, anche dalla Regione FVG, la SIC sbanca a Cinemazero, per una sera – ad ingresso libero – che permetterà al pubblico di vedere due film in concorso. Si tratta di Sayidat Al Bahr di Shahad Ameen (in programma alle 19:00) e di Rare Beats di billie Piper (alle ore 21.30). Entrambi saranno preceduti da due cortometraggi, rispettivamente Amateur di Simone Bozzelli e Destino di Bonifacio Angius.

Ambientata in un paesaggio distopico, Saydat Al Bahr è la storia di una ragazzina caparbia, Hayat, che vive in un povero villaggio di pescatori governato da un’oscura tradizione, per la quale ogni famiglia deve sacrificare la propria figlia femmina alle creature del male. Sottratta a questo destino dal padre, Hayat viene emarginata e considerata una disgrazia, eppure non si arrende e lotta per trovare il suo posto nel villaggio. Quando la madre dà alla luce un figlio maschio, Hayat deve scegliere se accettare la brutale usanza e sacrificarsi al mare, o cercare una via di salvezza. In Rare Beasts Billie Piper ci porta a conoscere Mandy, una madre, una sceneggiatrice, una nichilista. Mandy è una donna moderna in crisi. Cresce un figlionel bel mezzo di una rivoluzione femminile, cambatte il dolore per la separazione dei genitori e si trova a scrivere per lavoro di un amore che non esiste più. Si imbatte anceh in Pete, un uomo pieno di problemi in cerca della propria autostima, del proprio senso di appartenenza e di un’identità maschile da ricostruire.

Una settimana di “Muta passione”

Al Verdi dal 5 al 12 ottobre, con preapertura il 4 a Sacile e replica dell’evento inaugurale il 13

di Jay Weissberg

Sono lieto di poter dire che il programma della 38a edizione delle Giornate del Cinema Muto è sbilanciato verso la commedia, il che secondo me è sacrosanto perché abbiamo davvero bisogno di ridere e, anche se non è questa la ragione principale per cui sono così contento della sezione – curata da Ulrich Rüdel e Steve Massa – sulle origini dello slapstick europeo, devo ammettere che si tratta di una coincidenza molto fortunata. Ciò che rende questa sezione così importante è il modo in cui si prefigge di identificare le origini delle gag della commedia classica, dalla loro iniziale comparsa nel music-hall e nel vaudeville al loro proliferare nelle comiche brevi e infine nei lungometraggi, dove queste invenzioni trovano la loro forma più compiuta. Sono convinto che, grazie a questa retrospettiva, potremo meglio comprendere le origini della commedia in Europa, nonché rivelare come lo slapstick si sia sviluppato negli Stati Uniti grazie al contributo determinante di comici francesi, britannici, tedeschi, ungheresi e di altre nazionalità. Lo stesso vale per il felice ritorno delle “nasty women”, ispirate creatrici di pandemonio, la cui sfacciata irriverenza nei confronti dell’autorità in tutte le sue forme fu all’origine di uno dei
programmi più innovativi nella storia recente del festival, quando presentammo la prima serie nel 2017. Quest’anno avremo altri cortometraggi che hanno come protagoniste le simpatiche figure anarcoidi di Léontine, Cunégonde, Lea e Rosalie, oltre che alcune loro alleate
nell’arte del caos. Altre “nasty women” compaiono nei brevissimi corti ricreati da Rob Byrne, Thierry Lecointe e Pascal Fouché a partire dai flipbooks fin-de-siècle ritrovati in una collezione privata in Francia, alcuni dei quali si presentano anche come la prima occasione che abbiamo di vedere immagini in movimento di alcuni titoli di Georges Méliès considerati
perduti.
A proposito di resurrezioni: l’incalcolabile contributo di William S. Hart all’evoluzione del western e di Hollywood in generale è ormai riconosciuto da tutti, ma quando è stata l’ultima volta che abbiamo avuto l’opportunità di mettere a fuoco l’uomo Hart e la sua opera di attore e di regista? Richard Abel, Diane e Richard Koszarski hanno curato un programma di quindici film realizzati fra il 1914 e il 1918, più due frammenti, grazie ai quali potremo conoscere meglio il lato più autentico di questa personalità iconica della storia del cinema.

La sezione dei film sul cinema getta uno sguardo su come il nuovo mezzo di espressione volesse descriversi al pubblico nei primi decenni della sua esistenza, fornendoci così un ritratto senza precedenti sui modi in cui la storia del cinema fosse già scritta e riscritta quando il cinema era ancora in fasce.
Per tradizione, le Giornate si preoccupano di esplorare tutte le forme e i generi del cinema muto; dopotutto, come si farebbe altrimenti a conoscere un periodo storico – e soprattutto una forma d’arte in divenire – se guardassimo soltanto i capolavori riconosciuti? Questo intento di indagare più in dettaglio un particolare periodo e un particolare contesto sociale ha ispirato la sezione sui cortometraggi di Weimar. Documentari scientifici, cortometraggi di avanguardia e di attualità, film di educazione all’igiene e pubblicità: ecco un programma dedicato alla marginalità, ma è proprio guardando ai margini che si possono trovare gli strumenti necessari a comprendere un’età così complessa come il periodo di Weimar.
Non solo certi tipi di cinema sono spesso rimasti fuori dai libri di storia, è accaduto a volte a interi paesi. Prendiamo l’esempio dell’Estonia, una nazione con una piccola ma vivace eredità cinematografica, per lo più ignorata a causa dei disastri della guerra, dell’occupazione, e della scomparsa delle copie dei film. La direttrice del Filmimuuseum estone e la direttrice del Rahvusarhiivi filmiarhiiv (la sezione cinematografica dell’Archivio Nazionale dell’Estonia) hanno messo insieme un piccolo ma eccezionale programma di cortometraggi comici, di animazione e documentari, insieme a due lungometraggi, grazie ai quali avremo modo di ripensare ai pregiudizi che impediscono una visione più completa della storia del cinema.

Siamo entusiasti di iniziare la nostra collaborazione con il Musée Albert Kahn di Parigi, che presenta la prima di una serie di film dalla straordinaria ma ancora poco nota collezione di questa istituzione.

Famoso per il suo ineguagliabile patrimonio fotografico, il museo è il frutto di un visionario filantropo, Albert Kahn, spinto dal desiderio di intraprendere un dialogo fra le culture a inviare fotografi e operatori in tutte le parti del globo. La maggior parte dei film non sono mai stati proiettati fino ad ora; questa cooperazione può dunque trasformarsi in un vero e proprio sodalizio culturale ed è nostra speranza che questa prima tranche possa segnare l’inizio di una sezione permanente che ci consentirà di esplorare sempre nuove direzioni tematiche.

Come molti altri, ho cominciato a interessarmi agli studi di cinema perché ero un grande ammiratore delle personalità che hanno illuminato il grande schermo, e anche quest’anno non vogliamo ignorare questo aspetto vitale della cinefilia. Reginald Denny, emblematica stella degli studi Universal, riceve quest’anno un doveroso tributo, che coincide con la pubblicazione di un affascinante volume a firma della nipote di Denny, Kimberly Pucci, in cui si narra la vita eccezionale di un uomo che non fu solo un campione della commedia leggera ma anche – come è stato scoperto da poco – un inventore aeronautico, la cui attività segreta per il governo statunitense durante la seconda guerra mondiale è all’origine della tecnologia dei droni. Chi l’avrebbe mai detto?

Una sezione sulle vedettes francesi getta nuova luce sull’incantevole Suzanne Grandais, tragicamente scomparsa a soli 27 anni, e su Mistinguett, una delle personalità più celebri dell’epoca. Poi c’è Marion Davies, l’attrice sul nostro manifesto di quest’anno, nel film Beverly of Graustark, nonché la fascinosa e ingiustamente negletta diva italiana Elettra Raggi in La morte che assolve, in uno strepitoso restauro della Cineteca Italiana di Milano.
Alcuni temi del festival proseguono un percorso tracciato lo scorso anno: ecco dunque un altro lungometraggio di John M. Stahl, The Woman Under Oath, insieme all’unico rullo sopravvissuto di The Wanters. La seconda parte del tributo a Mario Bonnard approfondisce la nostra conoscenza di questo importante attore e regista italiano. La rassegna dello scorso anno sui film pubblicitari era incentrata sul tema del genere; il prosieguo è disseminato nelle varie sezioni del festival e osserva il modo in cui i cortometraggi pubblicitari giocavano con le formule narrative, spesso con risultati esilaranti. Ma non ho ancora menzionato gli eventi orchestrali! The Kid (Il monello) con la partitura di Charlie Chaplin diretta da Timothy Brock è uno spettacolo capace di infondere una speciale felicità, mentre la composizione di Neil Brand per The Lodger di Alfred Hitchcock, condotta dal maestro Ben Palmer, suggellerà la nostra ammirazione per il musicista e per il maestro della suspense. Mercoledì sera avremo la “prima” internazionale della musica orchestrale di Vladimir Deshevov, da poco ritrovata, per il capolavoro di Fridrikh Ermler’s Oblomok Imperii (Un frammento d’impero), sotto la guida di Günter Buchwald. Tutte e tre le composizioni orchestrali saranno eseguite dall’Orchestra San Marco di Pordenone, che annoveriamo da tempo fra i nostri più valenti collaboratori.
L’edizione 2019 è dedicata alla memoria dell’animatore Richard Williams. Dick occupa un posto speciale nel cuore di tutti noi alle Giornate, non solo per la splendida sigla del festival che ci ha regalato, e non solo per l’ormai leggendaria Masterclass sull’animazione che ha tenuto a Sacile nel 2003, ma
anche e soprattutto per l’irresistibile sorriso che illuminava il suo volto quando, seduto al Verdi, era deliziato dalle immagini che passavano sullo schermo. Il suo attaccamento al festival era per noi fonte di grande orgoglio, la sua amicizia un dono gioioso.

Il ritorno della FANTASCIENZA!!

Dal 29 ottobre al 3 novembre la 19ma edizione del Trieste Science+Fiction Festival

di Gianluca Guerra

La 19a edizione di Trieste Science+Fiction, che si terrà dal 29 ottobre al 3 novembre, esplorerà le mille vie del fantastico in un programma dinamico e ad ampio raggio che incorpora le ultime tendenze cutting edge assieme ai capolavori della fantascienza. Anteprime cinematografiche internazionali e
nazionali nei tre concorsi con registi e attori da tutto il mondo, avveniristici documentari scientifici, focus sull’Intelligenza Artificiale, Spazio Italia con i migliori autori del fantastico nazionale e i corti sci-fi compongono la mappa del Trieste Science+Fiction 2019.

Parallelo al festival, giunge alla 4 edizione il Fantastic Film Forum per i
professionisti del settore con un programma dedicato alla coproduzione
internazionale, alla diffusione e alla distribuzione cinematografica ampliato a tre giorni di incontri, eventi di networking e workshop ad alta formazione professionale con Claudia Tosi, Todd Brown, Dario Vecchiato e Timo Vuorensola, regista di Iron Sky. Scienza e letteratura saranno le protagoniste degli incontri di Futurologia, che con le esposizioni, i workshop e le iniziative per i ragazzi e i dj set renderanno il Trieste Science+Fiction Festival una meravigliosa immersione nel futuro per gli
appassionati di fantascienza.

Il primo ospite annunciato è il celebre documentarista Alexandre O. Philippe, specializzato in indagini sul cinema come il recente 78/52, sulla famosa scena della doccia di Psycho; Doc of the Dead, sui film con gli zombi; The Life and Times of Paul the Psychic Octopus, biopic sul polpo Paul; ed il celeberrimo The People vs. George Lucas sui fan di Star Wars. Alexandre O. Philippe presenterà a Trieste in anteprima italiana il nuovo documentario Memory: The Origins of Alien. Grazie a materiali inediti appartenuti allo sceneggiatore Dan O’Bannon e al designer H.R. Giger, Memory svela le inquietanti origini del capolavoro di Ridley Scott, dalla
mitologia greca e egizia ai fumetti underground, dalla letteratura di H.P. Lovercraft e l’arte di Francis Bacon alla allucinazioni oscure di O’Bannon e Giger. Annunciati anche i primi 5 film della selezione ufficiale, tutti in anteprima italiana, pronti ad esplorare le infinite declinazioni del fantastico, in un’eclettica selezione che va dalla commedia nera all’horror, passando per il monster movie, senza dimenticare gli immancabili viaggi fantascientifici attraverso lo spazio profondo. Iron Sky – The Coming Race di Timo Vuorensola, il secondo capitolo di una delle commedie fantascientifiche più apprezzate degli ultimi anni. Ghost Town Anthology di Denis Côté, presentato in concorso alla Berlinale, affronta il tema degli Altri e della paura che ispirano. Extra Ordinary di Mike Ahern & Enda Loughman, è una commedia romantica che gioca con maestria con i topoi dei film di possessione. After midnight di Jeremy Gardner e Christian Stella, monster movie insolito e originalissimo, arriva come la vera rivelazione del Tribeca, prodotto da Aaron Moorhead e Justin Benson, già a Trieste con Resolution e The Endless. Aniara di Pella Kågerman e Hugo Lilja, racconta la storia di un naufragio spaziale, metafora stessa del passaggio effimero dell’uomo sulla Terra. Sci-Fi Classix regala il piacere di vedere e rivedere i classici della fantascienza su grande schermo in nuove edizioni restaurate o in proiezioni vintage in pellicola.
Ecco allora il ritorno di Alien di Ridley Scott che festeggia i 40 anni come Star Trek: The Motion Picture di Robert Wise, e di Matrix delle sorelle Wachowski a vent’anni dalla sua uscita.
In tema di anniversari, il regista fiumano Aldo Lado presenterà la proiezione in 35mm del suo L’umanoide, uscito nel 1979 come risposta italiana a Guerre stellari e diventato negli anni un piccolo oggetto di culto.

Informazioni, accrediti e biglietti su www.sciencefictionfestival.org .