IDFA 2020: una sfida on-line completamente vinta

Di Riccardo Costantini

Anche il più grande festival del documentario del pianeta ha dovuto rimodulare tutta la sua offerta a causa dell’emergenza Covid19: limite di 30 spettatori in sala…praticamente tutti gli ospiti (migliaia di accreditati da tutto il mondo) in remoto, il solito usuale ricchissimo programma portato on-line, magnificamente e con grande semplicità organizzato su una piattaforma nativa, fra le migliori viste quest’anno per efficacia. Poi, tutte le chiaccherate con i maestri (anche con grandissimi, come il “nostro” Gianfranco Rosi, Vitaly Mansky, Ulrike Ottinger, Victor Kossakovsky…), i meeting produttivi, le conferenze su temi d’urgenza (distribuzione in epoca di pandemia, produrre senza la possibilità di viaggiare…) costruite sui canali video sul web, garantendo interazione con chi collegato. Certo, è mancata molto quell’idea di comunità che si respira in presenza, in una città che per storia “vive” diritti umani, temi sociali, attualità, con enorme partecipazione, ma la possibilità di godere di tutti i contenuti anche per un tempo superiore alla durata del festival è stata davvero apprezzatissima (normalmente, è difficilissimo riuscire a sfruttare tutti i contenuti, spesso “sovrapposti” nei pochi giorni della manifestazione, che ha sempre ritmi serratissimi). Insomma, un esperimento riuscito, del quale in futuro non si potrà fare a meno (il festival da sempre ha anche una forte vocazione ecologica, per cui ci si interrogherà di sicuro sul fatto che forse non è necessario far viaggiare – con relativo inquinamento – ospiti in aereo da tutto il mondo).

Per quel che riguarda la selezione, come d’uso i risultati sono stati alterni, e – in particolare da quando la direzione è affidata a Orwa Nyrabia – alcuni temi sono apparsi spesso ridondanti, senza aver giustificazioni di “scelta obbligata” almeno per l’eccellente qualità (alcuni film da contesti di guerra o su migrazioni potevano essere agevolmente dimenticati…).

I premi, invece hanno riconosciuto con buona correttezza alcuni dei titoli più interessanti: Radiograph of a Family (Norvegia, Iran, Svizzera) di Firouzeh Khosrovani è risultato giustamente  vincitore del premio IDFA per il miglior documentario di lungometraggio. Si tratta letteralmente della  radiografia di una famiglia. Attraverso una magistrale narrazione, agendo su materiali d’archivio personali, la regista mostra come la storia e la rivoluzione iraniana abbiano portato al divorzio prima “politico” e poi personale dei suoi genitori, un padre pronto per la modernità e una madre sempre più conservatrice. L’ambiente familiare muta progressivamente, e il racconto si fa  così delicato e poetico da commuovere e far riflettere: la storia spesso frattura ogni cosa, senza possibilità di recupero. Il premio IDFA per la migliore regia è andato a un decano come Vitaly Mansky, per il suo Gorbachev. Heaven (Lettonia, Repubblica Ceca). Questo ritratto intimo di un grande uomo in declino si distingue per un’eccezionale delicatezza di regia: l’ultimo leader dell’URSS viene raccontato con garbo, nel suo essere solo e vulnerabile, uomo, capace di cambiare il mondo – a volte con un sorriso, a volte con forza – ma sempre rimanendo una persona e non un algido burocrate o politico spietato.

Magnifico Nemesis di Thomas Imbach, premiato la miglior fotografia: raramente l’occhio della cinepresa diventa così aderente alla storia che viene raccontata. Lo sguardo del regista, puramente osservativo, diventa completamente nostro, trasformando un saggio di cinema del reale in una narrazione visivamente lirica e poetica che espone e chiarisce il contesto sociale e politico della stazione ferroviaria di Zurigo, spazio antropico, demolita per far posto a un discutibile “moloch” architettonico, centrale di polizia e carcere. Sette anni di riprese da una finestra: la stazione ferroviaria si trasforma…una volta collegava i treni da Zurigo al mondo esterno, ora diventa una prigione che chiuderà il mondo, in particolare incarcerando rifugiati, che non hanno possibilità di viaggiare, e le cui voci fanno – con originalità – da “coro” riflessivo a tutto il film.

Ovviamente, per Cinemazero, con il suo Pordenone Docs Fest – Le voci dell’inchiesta, alcuni di questi titoli e molto altro arriveranno nell’edizione 2021 del festival, che – compatibilmente con la situazione Covid – si svolgerà dal 14 al 18 aprile.

Festival delle mie brame …

Slitta a febbraio, ma non solo, la manifestazione di Rotterdam

Di Andrea Crozzoli

«E guardo il mondo da un oblò / mi annoio un po’…» cantava nell’estate del 1980 Gianni Togni facendo sognare i giovani dell’epoca. Quarant’anni dopo siamo di nuovo davanti ad un oblò (questa volta a forma di schermo del pc) dal quale guardare il mondo. Il virus ha, infatti, interrotto bruscamente la socialità, chiuso i cinema e costretto i festival ad una dimensione distanziata, online, sulla rete. Un ibrido difficile da digerire se pensiamo che un festival di cinema ha la sua prima funzione nella socializzazione, nel presentare (ossia in presenza) nuovi registi e nuove opere al pubblico; un momento di totale osmosi fra chi il cinema lo fa e chi ne fruisce. Ai festival si incontrano gli autori, produttori, distributori, esercenti; si stringono contatti, alleanze, inviti e prendono corpo nuovi progetti, si discute dei prossimi lavori attorno ad un tavolo, spesso imbandito. Ma soprattutto si gode del cinema sul grande schermo assieme a migliaia di altri appassionati.

Foto di Andrea Crozzoli

Il primo appuntamento nella liturgia annuale dei festival è da sempre il Sundance Film Festival a Park City, nello Utah (Usa), che si svolge abitualmente nella seconda metà di gennaio; a questo appuntamento fa seguito il primo grande festival di cinema europeo a Rotterdam, quel IFFR (International Film Festival Rotterdam) che nel 2021 festeggia gloriosamente il 50° anniversario. Un festival particolarmente attento ai giovani registi tanto che una delle principali sezioni della manifestazione è Bright Future (Futuro Luminoso) che presenta sempre notevoli opere prime o seconde di giovani registi da tutto il mondo. Film che poi girano i festival del pianeta, Le Voci dell’Inchiesta comprese.

Per la 50a edizione gli abili organizzatori olandesi hanno voluto, quasi come sfida di fronte alla pandemia, raddoppiare il festival – dall’1 al 7 febbraio e dal 2 al 6 giugno 2021 – sviluppando la manifestazione sia in presenza che online. Un festival, dunque, parzialmente ibrido ma con un programma audace ed entusiasmante che darà modo a tutti quelli che non possono o non vogliono recarsi a Rotterdam (ed è un vero peccato) di seguire comunque l’evento. La prima parte, quella che si svolge dal 1 al 7 febbraio, sarà dedicata alle sezioni Tiger Competition, Big Screen Competition e Ammodo Tiger Short Competition, oltre ad una serie di anteprime nella sezione Limelight. Le proiezioni in presenza, con accessi contingentati e distanziamenti, si svolgeranno nel bellissimo e maestoso complesso De Doelen e al KINO Rotterdam, oltre ad essere disponibili online. Per l’occasione l’IFFR si sposterà anche ad Amsterdam (solo 40 minuti in treno con partenze ogni dieci minuti), con l’intrigante mostra Vive le cinéma! sul cinema e l’arte, realizzata in collaborazione con Eye Filmmuseum. Sono stati invitati Nanouk Leopold, Daan Emmen, Lucrecia Martel, Lemohang Jeremiah Mosese, Carlos Reygadas e Jia Zhangke a realizzare un lavoro per lo spazio espositivo, accompagnato da una serie di proiezioni di film e conferenze. Nei mesi che separano le due parti del festival ci saranno una serie di programmi e contenuti online esclusivi fra i quali la collezione 50/50, ossia una selezione di 50 film provenienti da 50 edizioni del festival. A giugno il festival, nella speranza di un allentamento della situazione coronavirus, conta di poter avere un pubblico in presenza più ampio per celebrare degnamente questa 50a edizione con un programma speciale in cui saranno invitate celebrità degli ultimi cinque decenni a dialogare con registi emergenti. In questa seconda, e si spera più libera da virus, parte del programma si svolgerà l’attesa sezione Bright Future, dedicata ai talenti cinematografici emergenti. Ultimo, last but not least, l’ampio programma Harbour che riflette il carattere multidimensionale di Rotterdam e del festival come rifugio, come porto sicuro. Sì, perchè Rotterdam è anche un porto, un’incantevole campionario di ardite soluzioni architettoniche, una città costruita sotto il livello del mare con metropolitana e tante biciclette. Da vedere ed assaporare in presenza non certo online. Se il 7 febbraio termina la prima parte dell’IFFR a Rotterdam, l’11 (fino al 21) dovrebbe iniziare la 71a edizione della Berlinale. Questa, però, è una storia ancora tutta da definire!

Gli occhi dell’Africa: a gonfie vele sul web

Di Riccardo Costantini

La XIV edizione de Gli occhi dell’Africa ha aggiornato profondamente il programma – originariamente preventivato nei mesi di dicembre 2020 e gennaio 2021 – con molte novità, con molti più titoli e possibilità rispetto a quanto originariamente previsto: dopo le anteprime di novembre e la necessità obbligata di presentarsi in forma ridotta, Caritas diocesana, Cinemazero, l’Associazione L’Altrametà e il Centro culturale Casa Zanussi hanno con caparbietà arricchito l’offerta di anteprime nazionali, film rarissimi e d’autore, ma anche un’attenzione particolare al territorio, con due film di alta qualità girati in Africa ma “firmati” Pordenone. Il tutto possibile anche grazie al sostegno dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Pordenone, da sempre vicino alla manifestazione, e alla Cooperativa Nuovi Vicini di Pordenone.

La programmazione cinematografica è ora tutta on-line fino al 15 gennaio 2021, molto più ricca del previsto: splendidi film per le feste, disponibili sul portale www.adessocinema.it, la piattaforma streaming gestita da Cinemazero di Pordenone, il Visionario di Udine e La Cineteca del Friuli: dieci film speciali, per conoscere il continente africano. Tra questi in anteprima esclusiva il documentario/inchiesta Rouge Ivoire, realizzato da Bruno Mercuri per Videe: ripercorre gli avvenimenti degli ultimi 10 anni di storia della Costa D’Avorio, in cui si ricordano i fatti che hanno portato un Paese prima considerato tra i più stabili dell’Africa Subsahariana a vivere in una profonda instabilità politica ed economica.

In programma anche il film egiziano Yomeddine, di Abu Bakr Shawky, selezione ufficiale al Festival di Cannes, scelto anche per rappresentare l’Egitto ai Premi Oscar 2019. Una storia commovente di un uomo alla ricerca delle sue origini. Un viaggio iniziatico che con tono leggero parla di miseria, tabù religiosi ed esclusione adatto a tutta la famiglia da vedere sotto l’albero.


Altra proposta è Aya va alla spiaggia, cortometraggio marocchino di Maryam Touzani, nominato come Miglior Cortometraggio al Dubai International Film Festival. Aya è una bambina che già lavora come domestica in un appartamento a Casablanca. Segregata in casa, Aya ha un unico sogno: riuscire, almeno una volta, a vedere il mare.
Spazio alla religione con una storia davvero sorprendente grazie al film di Gabrielle Zilkha, in anteprima nazionale, Doing Jewish: A story from Ghana, un documentario che racconta la vita di una piccola comunità del Ghana, concentrandosi sui pochissimi che praticano (o vorrebbero praticare) l’ebraismo.
I bambini sono al centro anche di Liyana, di Aaron e Amanda Kopp, che intrecciando il documentario all’animazione, racconta la storia di cinque orfani, tra speranze e difficoltà. Un film per famiglie, davvero da non perdere, durante le feste!
William e il mulino a vento di Ben Nabors è un’altra toccante storia di sogni, questa volta realizzati. Il quattordicenne William Kamkwamba, infatti, aiutato da un semplice manuale, riesce a costruire un mulino a vento nel suo piccolo villaggio del Malawi.
Storie e racconti per conoscere e scoprire un continente con gli occhi dei suoi stessi registi, senza i filtri della cultura occidentale. 8 imperdibili appuntamenti per passare insieme le festività natalizie in compagnia di una filmografia poco conosciuta, ma che non lascerà indifferenti, regalando numerose emozioni.
Questa edizione presenta l’opportunità di rivedere dei film di successo delle passate edizioni, nella sezione Il meglio de Gli occhi dell’Africa: si potranno riguardare il magnifico Le franc, del senegalese Djibril Diop Mambéty e il delicatissimo La petite vendeuse de soleil, sempre dello stesso regista, due pellicole che sono diventati dei “classici” della filmografia africana anni Novanta.Disponibile anche, grazie alla collaborazione con Amahoro Onlus il documentario Verso le verdi colline del Burundi di Tommaso Lessio. Il cortometraggio è dedicato al progetto Santè a Muyinga, in Burundi: qui l’organizzazione di volontariato Amahoro ha costruito un Centro di Salute ed un acquedotto e realizzato attività di prevenzione sanitaria e formative sull’uso sostenibile dell’acqua.
 A questo si aggiunge Home, verso casa – Racconti, testimonianze, parole, volti di chi vive la casa in un Paese lontano, realizzato dalla Cooperativa Nuovi Vicini di Pordenone, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato 2020.

The Painter and the Thief

Il fascino indiscreto dell’arte

Di Andrea Crozzoli

Nell’algida atmosfera impostaci dal distanziamento sociale, dalla fruizione del cinema in remoto, dall’online coatto, il festival Le voci dell’inchiesta 2020, all’interno dell’ottima selezione, ha proposto delle perle ricche di vibranti emozioni. Una di queste è stato il magnifico The Painter and the Thief del giovane regista norvegese Benjamin Ree.

Come TIR di Alberto Fasulo o La pivellina di Tizza Covi e Rainer Frimmel sono film che assomigliano a documentari, questo The Painter and the Thief è un documentario che assomiglia a un film. Un’opera intrigante, contagiosa, affascinante, un racconto empatico, divertente e meravigliosamente girato; come fosse un documentario sull’arte ovvero sul potere sottilmente pervasivo che ha l’arte, sulla forza ristoratrice che porta con se la bellezza.

Ma è anche un film su una inaspettata e profonda amicizia, sull’importanza di essere accettati, apprezzati, anche semplicemente amati. Un film che pone l’accento su come parliamo delle nostre vite, su come ci raccontiamo agli altri. Infinitamente ricco di stimoli e di sollecitazioni The Painter and the Thief è anche una grande storia d’amore, nel senso totale del termine, un’attrazione fatale, un amore osmotico senza sesso, ma non per questo meno forte. Benjamin Ree nei tre anni di riprese è riuscito ad essere un narratore invisibile, a far sparire la sua macchina da presa e far parlare liberamente e sinceramente i due protagonisti: la pittrice Barbora Kysilkova e il ladro Karl-Bertil Nordland. Inizia a catturarli con la cinepresa al loro quarto incontro e li filma mentre piano piano entrano in connessione l’uno con l’altro. Mentre lo spettatore è catturato fin dall’inizio. L’incontro fra i due avviene a causa di una rapina, un furto di due dipinti dell’artista Barbora Kysilkova rubati dalla Galleria Nobel di Oslo nel 2015. I ladri hanno estratto con cura le numerose viti che fissavano le tele alla cornice e dopo averli arrotolati escono tranquillamente con le opere sotto il braccio. Ma le telecamere registrano tutto e uno dei due ladri viene catturato. Al processo afferma di non avere idea di cosa abbia fatto con i dipinti rubati in quanto al momento della rapina era drogato e non ricorda molto. La Kysilkova, presente al processo, non si accontenta e cerca ulteriori risposte sulla fine dei suoi quadri. Durante una pausa del procedimento chiede a Nordland se può posare per lei, per fargli un ritratto. In realtà vuole indagare ulteriormente sulla fine dei suoi quadri. Due esistenze diverse, apparentemente diametralmente opposte che si incontrano: la pittrice ceca ha una complicata relazione con un enigmatico compagno, mentre Nordland, borderline di lungo corso, non riesce a sfuggire dal maledetto girone dell’eroina. Ma al regista non interessa il furto dei quadri e il processo, quanto il rapporto che si instaura fra i due. Attraverso brevi flashback, ellissi, salti temporali ed omissioni Benjamin Ree, forte anche di due mesi trascorsi al montaggio, evidenza con rara efficacia il suo punto di vista, di narrazione e quindi di prospettiva. Scopriamo così le persone, un poco alla volta, nella loro complessità. Ci troviamo davanti a un dittico, per certi versi speculare e sorprendente, con i due ritratti che si riecheggiano fino a porsi su un piano di parità. Se lui è dipendente dall’eroina, la droga di Barbora è l’arte in quanto la pittura è tutto per lei, tanto da voler proseguire la ricerca dei suoi quadri con i relativi rischi. Karl-Bertil, ladro intelligente e carismatico con una vena autodistruttiva che risale a una traumatica infanzia, non ha paura di mostrare i suoi sentimenti. Non trattiene l’emozione, piange, trema nel vedere il suo ritratto dipinto da Barbora. Per la prima volta Karl-Bertil si sente visto dentro, intimamente. «Mi vede molto bene, ma si dimentica che anche io posso vederla!» dirà all’artista. Grazie a questo sbalorditivo, intimo documentario sull’inaspettata amicizia tra un’artista e il ladro delle sue opere ci troviamo di fronte anche all’inversione di genere, con una musa maschile che ispira una pittrice. Il film diventa, quindi, una autentica testimonianza del modo in cui l’arte può trasformare la vita di chi la fa e di chi l’apprezza, oltre ad essere un piccolo ma importante passo verso quell’uguaglianza di genere del mondo dell’arte inseguita fin dai tempi di Artemisia Gentileschi.