8 marzo e non solo: il cinema è delle donne!

Di Riccardo Costantini

Da moltissimi anni l’8 marzo è una ricorrenza importante per il pubblico di Cinemazero: con l’aiuto di documentari e film di contenuto spesso molto intenso, si cerca di portare avanti nel territorio un lavoro di educazione sociale e condivisone di valori legati al rispetto, tutela e parità di diritti per la donna. I dati allarmanti diffusi a un anno di distanza dall’inizio della pandemia ci dicono di un ritorno prepotente delle violenze domestiche sulle donne, della crescita costante dell’odio nei confronti del sesso femminile sui social network, mentre contestualmente la politica italiana si dimentica di rispettare le quota rosa ribadendo nei fatti l’antica idea – difficile da eradicare – che l’uomo nei fatti valga di più e sia maggiormente capace di gestire il potere. Ecco perché, anche quest’anno e con maggior vigore Cinemazero, con il fondamentale sostegno di Coop Alleanza 3.0, in collaborazione con Carta di Pordenone, grazie anche al lavoro valoriale fatto con le selezioni e i contenuti del “Pordenone Docs Fest – Le voci dell’inchiesta”, nonché col contributo della Tucker Film, è molto lieto di offrire diversi titoli d’eccezione che raccontano storie tutte al femminile. Sul portale Adessocinema.it, frutto del lavoro congiunto fra Cinemazero, Visionario, la Cineteca del Friuli, dall’8 marzo – per un mese intero e non solo per la ricorrenza, uscendo dalla logica episodica della “Giornata Internazionale della Donna” – si potranno trovare sia documentari che film di fiction di grande qualità, contrassegnati dall’apposito bollino “8 marzo e non solo: il cinema è delle donne!”

Il primo film, Little Forest, del coreano Son-rye Yim racconta con sorprendente delicatezza la fuga e la rinascita della giovane Hye-won, aspirante insegnante in crisi professionale e sentimentale, che abbandona la frenetica Seoul trovando un suo cammino grazie alla lentezza della vita rurale. Il secondo film è l’acclamato La scomparsa di mia madre, di Beniamino Barrese, in cui la protagonista è Benedetta Barzini, modella e icona degli anni ’60 e poi ancora femminista militante, scrittrice e accademica, che si racconta davanti all’obiettivo del figlio regista. Un dialogo intimo e struggente, in cui madre e figlio scrivono insieme le ipotesi di una separazione, difficile da accettare e forse impossibile da raffigurare. Il terzo film è una storia commovente e intensa, di passione, arte, fallimento e riscatto: in La chana di Lucja Stojevic – già vincitore di riconoscimenti in tutto il mondo e premio del pubblico al “Pordenone Docs Fest”, la protagonista è Antonia Santiago Amador, in arte “La Chana”. Negli anni Sessanta e Settanta Antonia, conosciuta in tutta Spagna e nel mondo come la ballerina di flamenco per antonomasia, diventa il simbolo di un Paese e di questo ballo che pratica sin da bambina all’interno della cultura gitana da cui proviene. Ma un marito violento è causa del fallimento della sua vita sentimentale e poi professionale: dovrà fare appello a tutte le sue forze per riscattarsi.

A questi si aggiunge Tinissima, di Laura Martinez Diaz, in cui la regista messicana ricostruisce il percorso cronologico dell’artista e fotografa di origini friulane, partendo dall’infanzia e adolescenza di una donna eccezionale come Tina Modotti a Udine, fino alla sua dipartita dall’Italia.

Sarà disponibile anche Tutte le anime del mio corpo di Erika Rossi, racconta du una figlia che scopre chi era veramente sua madre grazie a un diario di guerra ritrovato dopo la sua morte: è la storia di una relazione tra due donne nel momento estremo in cui una cessa di vivere e l’altra continua ad esistere.

Infine, La fiaba perduta di Cristian Natoli e Giulio Gattuso: nel preparare i materiali per un archivio a lei dedicato, la 93enne Olivia Pellis si accorge che uno dei suoi film più preziosi, che racconta la ricostruzione dopo il terremoto del 1976, sembra perduto: un viaggio fra archivi, TV locali e memorie del Friuli, nella speranza di ritrovare la rara pellicola, con protagonista una donna di assoluta originalità.

Estate bollente di festival e film?

Di Andrea Crozzoli

Per la sua atmosfera misteriosa e le ricche immagini nel rappresentare traumi e violenze. Per la sua capacità di affrontare 40 anni di disordini politici attraverso un viaggio cinematografico potente e ipnotico.” Con queste motivazioni la giuria FIPRESCI 2021 del 50mo International Film Festival di Rotterdam ha premiato il film tailandese The Edge of Daybreak di Taiki Sakpisit. Alla sua opera prima, dopo alcuni corti, Sakpisit riesce a

fondere, in un suggestivo bianco e nero, gestito con grande abilità, le sue meditazioni sul tempo e la storia del suo paese, creando un’opera che è personale e intima, ed contemporaneamente allucinatoria come un incubo. Dalla Tailandia al Tamil (uno degli stati federali dell’India), dal premio della stampa cinematografica al premio Tiger della giuria ufficiale del 50mo Festival di Rotterdam, per parlare di un altro esordio nel lungometraggio quello del regista tamil P.S. Vinothraj conPebbles, storia di sentimenti patriarcali e di sottomissioni in un contesto di estrema indigenza e desolante realtà sociale.

Solo due esempi su tanti che confermano il Festival di Rotterdam, nonostante sia in versione on line, come un insostituibile caleidoscopio cinematografico che permette di sondare a 360 gradi le novità e gli autori emergenti nel campo della settima arte.

Ma la dimensione del web, nonostante tutto, rimane una incontrovertibile contraddizione rispetto allo spirito primigenio dei festival che è quello di promuovere l’incontro tra i film, gli autori, la stampa e il pubblico. Da sempre il festival è una vetrina privilegiata per presentare il nuovo film. Una cassa di risonanza mediatica fin dall’agosto del 1932 quando nacque il primo festival cinematografico al mondo ovvero la Mostra del Cinema di Venezia. Questa ineludibile necessità della presenza, in questi tempi di pandemia, ha fatto si che praticamente tutti i festival abbiano rinviato la loro manifestazione sperando che fra vaccini e bella stagione anche il Covid vada in soffitta. Il Festival di Rotterdam ad esempio, per festeggiare degnamente la sua 50ma edizione – dopo l’edizione on line dell’1>7 febbraio – avrà una coda in presenza, a giugno, da martedì 2 a domenica 6. Occasione imperdibile per visitare questa stupenda città in estate dopo tanti ventosi inverni. Ma Rotterdam non è l’unica a spostarsi in giugno, anche Berlino con il suo 71mo FilmFestSpiele, oltre a un’edizione sul web dall’1 al 5 marzo per addetti ai lavori, avrà la versione in presenza da mercoledì 9 a domenica 20 giugno. Sull’onda della speranza ( che tutto “andrà bene”) anche l’udinese Far East Film Festival ha spostato il suo appuntamento dall’abituale aprile a venerdì 11 giugno fino a sabato 19. Per chiudere anche l’articolata corazzata festivaliera di Cannes ha ritenuto di spostare le date da maggio a luglio (6>17) perché senza il pubblico, i divi, gli addetti ai lavori, le televisioni e i media che affollano le sale e le spiagge il festival non ha molto senso.

Il festival in presenza rappresenta anche il momento topico del lancio mediatico sul mercato di un film e una delle preoccupazioni degli esercenti e dei distributori, durante questa pandemia, è che il pubblico si sia abituato a sedersi pigramente a casa e fruire del cinema in streaming. Per contro una grossa corrente di pensiero pensa invece che la maggior parte delle persone desideri ancora ardentemente uscire, incontrare amici, socializzare e andare al cinema. Questo ha fatto si che tutta una serie di opere siano state rimandate in attesa della riapertura delle sale perché al pubblico piace l’esperienza cinematografica collettiva. Con la crisi e la conseguente chiusura delle sale la visione in streaming ha avuto un notevolissimo impulso con un travaso del potere decisionale dalle grandi distribuzioni alle piattaforme. In questo cambiamento non mancano, come sempre accade, anche nuove opportunità. Starà ora all’abilità degli operatori del settore interpretare le nuove tendenze del mercato (e del pubblico). Potrebbe accadere, ad esempio, che alcuni grandi titoli, che non funzionano in sala, continueranno in streaming lasciando più spazio quindi ai film d’essai o di nicchia, ovvero a quel pubblico fidelizzato che ama il cinema in sala a dispetto di ogni crisi e chiusura.

Dragoncelli alla Sorrentino

Di Lorenzo Codelli

«I cinquantacinque minuti del mediometraggio non affrontarono mai la commissione di censura, furono in pochi ad apprezzare Dragoncelli di fuoco, la sua regia nervosa (le zoomate, i fermo immagine, i carrelli casarecci, i piani sequenza, il montaggio dinamico), i frammenti pop (le inquadrature speculari, le istantanee grottesche, i colori vividi e l’infallibile costruzione sonora), il suo mosaico citazionista (Poul Bocuse finito tra i ringraziamenti per l’«inesauribile fonte d’ispirazione» del suo libro La cuisine du marché, Quell’oscuro oggetto del desiderio di Luis Buñuel citato nell’unica sequenza erotica del film, il campione di scacchi Bobby Fischer il cui nome appare sul quotidiano «La Stampa», Edwige Fenech – «Sei superlativo come ogni tuo piatto, la tua insaziabile Edwige» è scritto su un biglietto indirizzato a Palatone, Emilio Fede che – grazie al montaggio – “intervista” lo chef al tg4 e ancora: Alfred Hitchcock, David Bowie, Andrea Mingardi, Gianni Agnelli, i Talking Heads, le immagini in movimento di Paolo da bambino, quattro anni o giù di lì) e l’enigmatico finale sul volto di Palatone. Perché il vincitore del Grembiule di Platino è un cocainomane. E l’ultima ripresa – un primo piano e un sorriso interrotto dello chef – spegne un’ora di lazzi riavvolgendo il film in chiave misterica. Cosa vede il Palatone dell’ultima sequenza? Perché non ride più? C’entra la morte? Dragoncelli di fuoco fu proiettato il 27 novembre 1994 durante le «Giornate del cinema invisibile» del Centro Giovanile e all’Università Federico II…».

           In un volumetto scarlatto edito da Bietti, denso, ironico, godibilissimo, spesso redatto in napoletano verace, il sorrentinologo udinese Stefano Loparco ha resuscitato – miraculo ‘e San Gennaro e San Maradona! – le vicissitudini incredibili, l’essenza sfavillante del primo, gastroerotico lungometraggio diretto dal futuro auteur di bijoux quali Le conseguenze dell’amore e La grande bellezza. Se ne consiglia vivamente la fruizione a folle di fan, superfan, fanciulle, fanciulli, oltre a Jep Gambardella, Giulio Andreotti, Tony Pisapia, le ombre premonitrici dei quali vi godrete in mezzo ai dragoncelli infuocati.

…E POTRESTI RIPARTIRE. CERTAMENTE NON VOLARE MA VIAGGIARE…

Di Marco Fortunato

I versi di Lucio Battisti sembrano perfetti per descrivere l’attuale situazione del mondo dello spettacolo, e del cinema in particolare. Un mondo certamente tra i più provati dalla pandemia (la parentesi con le sale aperte in estate/autunno ha avuto un grande significato sociale e culturale ma economicamente è stata fortemente penalizzante), che finalmente vede la luce in fondo al tunnel con la possibilità di una riapertura. Certo vi è la consapevolezza che la ripartenza sarà molto complessa – tra scarsità di prodotto, soprattutto internazionale, e necessità di riabituare il pubblico a frequentare la sala dopo mesi di distanza – ma almeno il sistema potrà tornare, lentamente, a viaggiare.

Come prepararsi al meglio a questa ripartenza? Un ottimo consiglio ce lo dà sempre Battisti, lanciando il monito a evitare “le buche più dure”, in altre parole facendo attenzione alle condizioni di ripresa dell’attività. Meglio evitare, sembra suggerire, che siano troppo pesanti altrimenti il rischio è che invece che aiutare finiscano per penalizzare il cinema e il suo pubblico.

In questi giorni l’associazione di categoria (ANEC, Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici) ha saputo meglio di chiunque altro sintetizzare le specificità del sistema cinema e i passaggi più critici da affrontare.  

Per prima cosa è necessario garantire una ripresa uniforme a livello nazionale. Diversamente, in una situazione di aperture a macchia di leopardo, nessun distributore se la sentirebbe di affrontare gli ingenti investimenti che richiede oggi portare un film in sala, di fronte al rischio di vedere vanificato il suo impegno, magari per il cambio di colore di un paio di regioni.

È necessario poi mettere il pubblico nelle condizioni di poterli frequentare. Il riferimento è al coprifuoco che, stando le regole attuali, imporrebbe di iniziare l’ultimo spettacolo alle 19.30 – considerando un film che duri due ore e i tempi necessari a raggiungere il cinema – rendendo così difficilissimo parteciparvi, ad esempio, a chiunque lavori. L’alternativa sarebbe quella di consentire il rientro al proprio domicilio anche dopo le 22 se in possesso di un titolo d’ingresso allo spettacolo cinematografico così da permettere ai cinema di prevedere spettacoli con orario d’inizio anche alle 21/21.30. Altrimenti i costi di gestione, specie nei giorni feriali, diverrebbero insostenibili.

Infine il tema dell’aggiornamento del protocollo di sicurezza per l’accesso in sala. Uno tra i più stringenti ed efficaci (dati alla mano) nella prima e seconda fase della pandemia, che si potrebbe ulteriormente migliorare, come chiesto dal CTS nei giorni scorsi, ma non andrebbe stravolto, come invece sembravano presupporre le indiscrezioni filtrate in queste ore che, per fortuna, ci pare non siano corroborate da riscontri. Fermo restando l’obbligo di distanziamento, misurazione della temperatura, tracciamento e gestione dei flussi – tutte misure già in atto alla chiusura di ottobre –  ulteriori restrizioni nelle capienze o il ventilato obbligo di acquisto/prenotazione solo online rischiano di creare un ulteriore, insostenibile, aggravio di costi e riduzione di possibili introiti che potrebbe spingere molte sale a rinunciare all’apertura.

E sarebbe un peccato perché, anche senza “un cacciavite in mano”, proprio le sale cinematografiche potrebbero contribuire in maniera determinante a raggiungere quel “miracolo” della rinascita della nostra comunità, che passa attraverso la riappropriazione di questi luoghi di cultura e socialità.