71 BERLINALE PRIMO TEMPO
Di Lorenzo Codelli
«Se andate a una fiera letteraria non vedete gente in abito di gala ma solo amanti dei libri, autori che scrivono, incontrano il pubblico e basta. Niente stronzate tipo tappeti rossi, vetture sponsorizzate e tutto il resto. Capisco che i festival abbiano un prezzo da pagare per esistere, ma quest’anno non c’è stato e io ne sono felicissimo».
Radu Jude, vincitore dell’Orso d’oro alla 71 Berlinale per Babardeală cu bucluc sau porno balamuc (Chiavata sfigata o folle porno). L’autore rumeno, già Orso d’argento nel 2015 con Aferím!, e presente al Forum berlinese dello scorso anno con ben due film, ha ribadito più volte la propria soddisfazione per lo svolgimento on line, senza cerimoniali nè salamelecchi formali, del festival. I suoi sberleffi prolungati, espressi tramite una scoppiettante satira sociale degna di Marco Ferreri – con personaggi rigorosamente coperti da maschere antivirus -, verranno, si spera, applauditi dal pubblico berlinese a giugno, durante l’annunciato «secondo tempo» della manifestazione.
Nel primo tempo, svoltosi dall’1 al 5 marzo per gli addetti ai lavori, è stato servito un centinaio abbondante di lungometraggi, suddivisi, secondo la tradizione, in diverse sezioni, oltre agli innumerevoli titoli disponibili per i professionisti dell’European Film Market. La stampa tedesca ne ha reso conto parcamente, rimandando stellette e verdetti all’auspicata edizione estiva. Quella internazionale l’ha osannato. Jonathan Romney, veterano critico del Guardian, ha titolato così il suo entusiastico bilancio: «La selezione più impressionante da anni, senza glamour, nè grande schermo, nè freddo, un’edizione virtuale modesta eppure trionfale». Personalmente, ho visionato sì molti più film, belli o brutti, di quanti ne avrei catturati in passato nell’arco di dieci giorni, senza code infinite, rischi sul ghiaccio, trasferimenti da un capo all’altro della metropoli, scioperi aeroportuali ecc. E i concerti, i musei, le esposizioni, le librerie, le sale cinematografiche d’epoca con i loro pubblici ben differenziati, quartiere per quartiere, Est e Ovest, li rimpiango, eccome!
Nè Cannes, nè tantomeno Venezia, offrono un patrimonio socioculturale in moto perpetuo come fa Berlino. Qualche flash cinematografico marzolino. Il robot umanoide interpretato da Dan Stevens in Ich bin dein Mensch, fantacommedia romantica di Maria Schrader, premio alla protagonista Maren Eggert per la migliore performance (premio dato per la prima volta senza far distinzioni di sesso). Il pazientissimo maestro scolastico Dieter Bachmann del bel documentario Herr Bachmann und seine Klasse di Maria Speth. Lo sbirro-velista incarnato da Jérémie Renier in Albatros di Xavier Beauvois. La fotografia in grigio-grigio di Inteurodeoksyeon (Introduzione) del prolificissimo Hong Sangsoo. I sincopati ritmi anni ‘60 di Lucio Dalla rievocati da Pietro Marcello in Per Lucio. Le allucinanti minacce neonaziste profetizzate in Je suis Karl di Christian Schwochow. I binari ferroviari all’alba, alla periferia parigina, in Nous, autoritratto di Alice Diop meritatamente premiato alla sezione Encounters. Le impressionanti foto scattate nei lager nazisti dai deportati ebrei e riportate alla luce da Christophe Cognet in À pas aveugles.