PIF: LA VITA AI TEMPI DELL’ALGORITMO
Di Marco Fortunato
Dal palco di Cinemazero, nel 2016, aveva spoilerato il finale del suo film (In guerra per amore) prima di lasciare al grande schermo le avventure di Arturo Giammaresi, il suo alter ego cinematografico dai tempi di La mafia uccide solo d’estate, che avrebbe raccolto risate ed applausi, nella sua travagliata ricerca dell’amore. E proprio Arturo – interpretato da un Fabio De Luigi abile nell’apparire sempre fuori posto, incapace di comprendere quanto gli sta accadendo e soprattutto come uscirne -, e con lui naturalmente PIF – all’anagrafe Pierfrancesco Diliberto – si apprestano a tornare sul grande schermo di Cinemazero il prossimo mercoledì 26 gennaio. Per l’occasione l’autore palermitano sarà presente in sala per incontrare il pubblico e raccontare la genesi della sua terza fatica dietro la macchina da presa il cui titolo è quantomai eloquente: E noi come stronzi rimanemmo a guardare.
Più che un titolo quasi una spietata autocritica, o meglio un’amara constatazione, da cui anche lo stesso regista non si sottrae, sulla collettiva indifferenza della nostra società verso la deriva di un’inarrestabile corsa alla globalizzazione senza regole che tutto travolge, dalla vita lavorativa a quella privata. Un piano inclinato che ci fa scivolare, tutti, sempre più in basso, in una continua corsa all’efficienza, al risparmio e all’ottimizzazione (ma di cosa poi?). Un crescendo di smarrimento e alienazione di cui, inizialmente, ci troviamo a sorridere, seppur a denti stretti, per poi ritrovarci immersi fino al collo, sfiduciati e privi di prospettive.
Proprio come accade nel film ad Arturo il cui beffardo destino fa si che proprio lui sia vittima del suo stesso algoritmo che ne decreta inesorabilmente l’inutilità lavorativa, l’anzianità e le scarse prospettive sentimentali, come certificano delle app dedicate. L’unica scelta obbligata diventerà allora quella di arruolarsi per Fuuber moderna ditta di consegne che paga a cottimo secondo un meccanismo di incentivazione che premia o punisce chi non sta alle regole del gioco o non soddisfa le assurde pretese dei clienti.
Un film che tocca quindimolti temi, dalla frustrazione del presente alla paura per il futuro, passando per l’ansia di subire un controllo assoluto e totale, creando una costante situazione di sospensione dove tutti, protagonisti e pubblico, percepiscono una sensazione di straniamento e di palpabile disagio (lo zaino per le consegne di Arturo che si blocca è una metafora della sua incapacità di muoversi nell’ambiente e nella vita che lo circonda.
Un risultato a cui contribuisce il meccanismo narrativo che lo stesso PIF aveva già utilizzato in precedenza (in particolare nel suo primo programma televisivo individuale, Il testimone, dove raccontava da vicino i dettagli di vita quotidiana di personaggi legati a sport, politica, spettacolo seguendoli come un’ombra) che qui troviamo declinato in Raffaello, interpretato proprio da PIF, i cui occhi curiosi e i cui dubbi, un po’ complici, un po’ consolatori, accompagnano lo spettatore, un po’ alla volta, sempre più vicino ad Arturo e al suo mondo, dove presto il cinico sorriso lascia spazio all’amara riflessione.