A Cannes è nata una nuova stella: Lukas Dhont!
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Dove la mano dell’uomo non aveva messo piede …
sentieri di cinema!
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Di Andrea Crozzoli
Il Festival di Cannes tra i tanti meriti ha anche quello di scoprire nuovi talenti e porli all’attenzione di pubblico e critica. A suo modo “addotta” un regista e ne segue la carriera inserendo, nella selezione ufficiale, i suoi film e spessissimo anche premiandoli.
È successo con il danese Lars von Trier arrivato alla Palma d’Oro nel 2000 con Dancer in the Dark e perdutosi poi nelle sue provocazioni, anche di natura filonazista, fino a diventare “persona non grata” al Festival.
È successo poi con il canadese francofono Xavier Dolan che dal 2010 presenta, ogni paio d’anni, in anteprima sulla Croisette i suoi film raccogliendo svariati premi tra i quali il Grand Prix Speciale della Giuria.
Ora è il turno del belga Lukas Dhont che nel 2018 con la sua opera prima Girl ha vinto la Camera d’Or e nel 2022 con l’opera seconda Close ha guadagnato il Grand Prix Speciale della Giuria, ovvero l’equivalente del secondo premio dopo la Palma d’Oro.
Close, che sarà nelle sale italiane dal 4 gennaio, prosegue l’indagine, che Lukas Dhont ha particolarmente a cuore, sui delicati cambiamenti e turbamenti dell’adolescenza.
«Ricordo di aver letto il lavoro di una psicologa americana, Niobe Way – ha dichiarato Dhont – che aveva seguito ragazzi tra i 13 e i 18 anni. Ciò che mi ha sconvolto è che la Way ha scoperto che a 13 anni i ragazzi parlavano ancora delle loro amicizie, parlavano delle loro storie d’amore, senza imbarazzo … ma nell’adolescenza tutto cambia per loro. Improvvisamente devono esibirsi, devono essere cool. Ed essere stoici, estranei ai sentimenti, sicuri di sé, è considerato cool. Volevo parlare di questo, della perdita di quel rapporto intimo tra due ragazzi.».
Quel mondo di giovanissimi in formazione, raccontati con rara abilità, sembra essere il terreno di elezione del talentuoso trentenne regista fiammingo di Gand. Protagonisti sono, infatti, i tredicenni Léo (Eden Dambrine) e Rémi (Gustav De Waele), da sempre migliori amici o “quasi fratelli” come si definiscono loro. Trascorrono insieme tutto il loro tempo libero, raccontandosi di tutto e condividendo ogni emozione in un rapporto praticamente esclusivo. Il legame simbiotico che li unisce viene, però, messo in discussione con l’ingresso nella nuova scuola, dove sorgono domande provocatorie dai compagni (“ma siete una coppia?”) e qualche battutina che innescano tensioni anche nel rapporto idilliaco fra i due ragazzi. Da quel momento i due amici iniziano a riflettere sul proprio legame e sulla loro identità, la storia a questo punto, ha una cesura fra un prima e un dopo.
È questo, notoriamente, un momento delicato nello sviluppo armonico della personalità dei giovani, dove al desiderio di crescita si unisce la paura dell’incertezza per il futuro.
Tutte queste tensioni fra Léo e Rémi porteranno ad uno scontro con conseguenze drammatiche seppur mediate, in qualche modo, dalla figura di Sophie, la madre di Rémi, interpretata da Émilie Dequenne, indimenticata protagonista di Rosetta dei fratelli Dardenne, Palma d’Oro a Cannes nel 1999. Una evidente liason, quella di Lukas Dhont, con il cinema dei connazionali Jean-Pierre e Luc Dardenne. Un approccio autoriale programmatico fin dal titolo, Close, che rispecchia da un lato il rapporto strettissimo fra i due ragazzi, dall’altro il rimanere con la cinepresa, stile Dardenne, particolarmente vicino, quasi addosso, ai personaggi, dove contano più i gesti o gli sguardi delle parole.
Tra primi e primissimi piani, dettagli e particolari, emergono le emozioni sottolineate ulteriormente dal gioco di pedinamenti, respiri affannati, scatti improvvisi. Dhont è, infatti, abile nel catturare stati d’animo, nel filmare l’innocente imbarazzo e smarrimento dei suoi giovani protagonisti, componendo un credibilissimo ritratto adolescenziale sull’identità di genere. Il tutto utilizzando sapientemente calibrate ellissi, distillando parole, inquadrature, primi piani o incroci di fuggevoli sguardi. A proposito del film Lukas Dhont ha precisato che «… volevo creare immagini che mostrassero una vera intimità e una vera tenerezza tra due giovani ragazzi. Viviamo in un mondo in cui ci sono molte immagini di uomini che hanno rapporti brutali con gli altri, che sembrano scollegati dalla loro fragilità. Volevo creare momenti di tenerezza in un universo maschile. Avere due ragazzi in un letto, vicini, complici, vederli correre in un campo di fiori. E poi volevo davvero fare un film sull’amicizia. Sulla bellezza ma anche sulla fragilità dell’amicizia. Scegliendo due ragazzi giovani, volevo anche parlare di una società in cui la tenerezza tra adolescenti o tra uomini viene vista subito attraverso il prisma della sessualità. Cerchiamo di incasellare tutto. E questo limita alcuni impulsi e amicizie. Volevo anche parlare di brutalità … Nel mondo, ma anche dentro di noi…».
Il giovanissimo regista belga, dotato di rara sensibilità, realizza con Close un potente coming of age, attraverso un suo nuovo e originale modo di pensare e fare cinema, di raccontare la vita, di sottolineare le traiettorie interiori con echi poetici alla Terence Malick, per rappresentare la rabbia adolescenziale senza sbavature o eccessi. Il calore e la tenerezza in Close, sono ulteriormente rinvigoriti dalla splendida fotografia di Frank van den Eedenche attraverso l’esaltazione di alcuni colori e luci, mantiene, anche nei momenti più intensi e drammatici, una grande semplicità e universalità. Il regista ha anche la capacità di trovare, per i suoi film, sempre degli interpreti ideali, confermandosi abilissimo nel dirigere gli attori, nel tirar fuori da loro tutte le emozioni presenti nell’animo dei loro personaggi, dosando sapientemente momenti di dramma, spensieratezza ed emozioni. Lukas Dhont continua così, dopo Girl, a portare avanti il suo personale discorso sugli ostacoli che devono superare gli adolescenti che si discostano dalle aspettative sociali sul genere e la sessualità. Il regista abilmente pone il film alla medesima altezza dei suoi giovanissimi protagonisti, in modo da cogliere appieno lo smarrimento di Rémi e di Léo, la loro inevitabile immaturità e incapacità di rapportarsi ad alcune situazioni. In Close non si esplicita mai se Remi e Leo siano o non siano gay o in procinto di costituire una coppia. Sarà il tenero abbraccio tra Léo e la madre dell’amico la conclusione più dolce, l’unico lieto fine possibile di questo romanzo di formazione per elaborare e tentare di superare, ancora una volta insieme, il dramma che hanno vissuto e il dolore che continueranno a provare. Lukas Dhont ha realizzato con questo Close una piccola opera d’arte, un film toccante, uno dei primi tasselli di una carriera che si annuncia già sorprendente. Un film, ça va sans dire, da non perdere.