American Cinematographer 100 anni Incontro con Dante Spinotti

Verso le Giornate della Luce di Spilimbergo

Di Lorenzo Codelli

Si stanno celebrando il centenario della rivista American Cinematographer e il 101 anniversario dell’American Society of Cinematographers (ASC) che l’aveva creata a Los Angeles. Il prestigioso mensile illustrato copre le lavorazioni dei maggiori film americani, analizzando le tecnologie degli autori della fotografia membri dell’ASC. E non si scorda dei luminosi capolavori del passato. Sempre più spesso la rivista dedica dossier approfonditi alle produzioni per il piccolo schermo e per il web. Grazie all’amico Dante Spinotti, membro veterano dell’ASC, ho visitato l’antica sede -un edificio anch’esso quasi centenario a pochi passi dal Chinese Theatre – incontrando alcuni suoi illustri predecessori. Racconta Dante:

Fatto abbastanza straordinario questo della nascita e della vita dell’ American Society of Cinematographers. Fondata a Hollywood nel 1919 da un gruppo di direttori dela fotografia, fu la prima associazione di professionisti del cinema in America e probabilmente nel mondo. Lo spirito era quello di chi sa di appartenere a una categoria sicuramente privilegiata tra i cineasti, coloro che lasciano un segno visivo e narrativo importante nell’opera cinematografica. Società fondata con l’impegno solenne a promuovere “Loyalty, progress, artistry”, come si legge sullo stemma ASC.

L’ASC ha sempre avuto tra i soci i migliori cinematographer di Hollywood. Da più di vent’anni , l’ASC ha incluso anche autori stranieri della fotografia che avevano realizzato opere di prestigio. La ASC ha sede tuttora in una palazzina storica, nel cuore di Hollywood.

Sede dell’ASC a Hollywood

Entrai a far parte della ASC 23 anni fa, sicuramente con grande emozione. Fu un privilegio essere presentato da tre soci quali Vilmos Szigmond, Steven Poster e Bill Fraker.

L’AIC, l’Associazione Italiana Cineoperatori, costituita nel 1950 ispirandosi all’ASC, ha avuto anch’essa dei soci straordinari, operatori e autori della fotografia di un cinema, il nostro, che aveva un enorme prestigio nel mondo. Italiani che hanno lasciato un segno a volte rivoluzionario. Pensiamo ai grandi Gianni Di Venanzo, Giuseppe Rotunno, Vittorio Storaro, personaggi che hanno cambiato il modo di creare immagini per il cinema.

All’interno di questa continua evoluzione, anche ma non solo tecnologica, si colloca la transizione verso un cinema che si divulga anche via TV, serie televisive a volte viste sul proprio laptop, se non sul telefonino. Ma il tema resta immutato: narrare storie importanti di umanità, con creatività visiva. E per ottenere questo non basta la tecnologia, che è addirittura marginale.

L’ASC si occupa attivamente di questioni tecnologiche, di assicurarsi che gli standard di qualita tecnico/artistica siano rispettati, e siano sotto il controllo dei direttori della fotografia, anche ora che una massificazione delle produzioni TV, e una tecnologia che rende facile il controllo dell’immagine finale tenderebbero a meccanicizzare e a banalizzare le cose.

L’ASC e i suoi gruppi di lavoro determinano anche, assieme agli studios, gli standard di qualità sia per le sale di proiezione che per le nuove tecnologie degli schermi TV.

Ricordo che quando leggevo per la prima volta, a 18 anni, la rivista American Cinematographer, la storica pubblicazione dell’ASC, rimanevo affascinato dalla grande dimensione industriale del cinema hollywoodiano. Ma percepivo anche la passione per un lavoro altamente individuale e al tempo stesso di grande collaborazione, un lavoro tecnico. La magia della cinepresa, delle lenti, della pellicola e della proiezione sullo schermo, che richiede però un apporto creativo e culturale, e in fin dei conti è la ragione del fascino del mestiere del cinema.

Un lavoro di grande fatica e competizione, guai se mancasse il supporto, appunto, della passione.

Tutte queste cose sostengono la presenza e l’attività di una parte dei soci ASC che hanno il tempo e la voglia di dedicarsi ed il piacere di riunirsi a chiaccherare per confrontarsi nella prestigiosa Clubhouse, quasi dimenticando invidie e competitività.

L’ASC organizza annualmente un’elegante serata di gala a cui partecipa un migliaio di persone, e durante la quale vengono assegnati i premi per la migliore cinematografia nei film, nelle serie e film TV, i premi alla carriera, onorificenze magari con un velo di autocelebrazione distribuite a destra e a manca. La serata avviene all’inizio dell’anno, poche settimane prima della cerimonia degli Oscar. Gli incassi della serata ASC e le sponsorizzazioni aiutano l’Associazione a finanziarsi e sopravvivere. E come la serata degli Oscar garantisce il finanziamento delle attivita dell’Accademia, grazie ai diritti TV nel mondo e ad altre entrate.

Nel direttivo dell’Accademia del Cinema, vengono eletti tre membri dell’ASC. l’ultimo presidente è stato John Bailey, un cinematographer. Io stesso ho avuto il privilegio di essere per tre anni nel direttivo sia dell’ASC che dell’Academy.

È come essere coinvolto in vicende cinematografiche attuali, godendo nel partecipare ad attività talmente legate alla grande Storia del cinema e fino dai primordi. Non resta che sperare che questa fantastica attività associativa possa continuare a lungo.

Tutti i film sotto l’albero

Cinema d’essai protagonista anceh a Natale

di Marco Fortunato

Con il loro immancabile carico di film le vacanze natalizie sono, per definizione, il periodo più cinematografico dell’anno. Quest’anno non fa eccezione, anzi, tra i tantissimi “film sotto l’albero” (ben 33 in uscita nel solo mese di dicembre, più di uno al giorno) spiccano alcuni titoli molto attesi dagli amanti del cinema d’essai.

È il caso del ritorno di Ferzan Ozpetek che con Dea fortuna, prosegue il suo personale percorso di analisi e racconto dei sentimenti e dei tormenti dell’animo umano che rappresenta da sempre la cifra del suo cinema. Al centro della storia Alessandro e Arturo, coppia legata da più di 15 anni ma ormai in crisi. L’improvviso arrivo nelle loro vite di due bambini lasciati in custodia per qualche giorno dalla migliore amica di Alessandro, potrebbe però dare un’insperata svolta alla loro stanca routine. La soluzione sarà un gesto folle, ma d’altra parte “l’amore è uno stato di piacevo le follia“, ha sottolineato l’autore nelle note di produzione. Il regista turco, naturalizzato italiano, ha voluto con sé ancora una volta Stefano Accorsi – già protagonista de Le fate ignoranti e Saturno contro – affiancato questa volta da Edoardo Leo e Jasmine Trinca, e gran parte dei suoi storici collaboratori di troupe. Il film, infatti, girato l’estate scorsa tra Roma e Palermo, è stato scritto da Ozpetek insieme Silvia Ranfagni e Gianni Romoli (con il quale il sodalizio è nato fin dai tempi di Harem Suare, il suo secondo lavoro, presentato a Cannes nel 1999) mentre le musiche saranno firmate ancora una volta da Pasquale Catalano, che si è avval- so di una star d’eccezione come Mina. La sua inconfondibile voce accompagna anche il trailer del film con un estratto dell’inedito Luna Diamante, brano scritto e composto da Ivano Fossati e contenuto nel suo nuovo album “Mina Fossati” che esce poche settimane prima del film.

Ma il film più atteso è senza dubbio Pinocchio di Matteo Garrone. Una sfida, quella di portare sul grande schermo il capolavoro di Collodi, già tentata molte volte in passato, con approcci molto diversi e alterni risultati. Tra gli oltre dieci adattamenti, che comprendono una versione horror (Pinocchio’s Revenge di Kevin S. Tenny) e opere corali (come il film prodotto dalla Walt Disney nel 1940, che fu il primo film d’animazione a vincere un premio Oscar ma non ottenne un grande risultato al botteghino, complice anche la Seconda Guerra Mondiale) il più famoso è senza dubbio quello di Roberto Benigni del 2002. L’attore toscano, che firmò anche la sceneggiatura (con Vincenzo Cerami) e la produzione, realizzò – con circa 45 milioni di euro – il film più costoso nella storia del cinema italiano con il quale tentò anche, senza successo, la corsa all’Oscar. E proprio da Benigni riparte Matteo Garrone, che lo ha scelto come protagonista del suo lavoro, anche grazie – come lui stesso ha dichiarato – ad una conoscenza personale di lunga data. I due si incontrarono infatti quando Garrone era ancora un bambino poiché suo padre, il critico teatrale Nico Garrone, fu tra i primi a scrivere di Benigni ai suoi esordi. Dal set blindatissimo è trapelato poco o nulla e sembra che, proprio in questi giorni, sia stiano finalizzando gli ultimi dettagli, per essere pronti per la data d’uscita che è stata anche anticipata di una settimana (in origine era stata fissata per il 25 dicembre). Tutta la lavorazione è stata in realtà abbastanza tribolata e condizionata da diversi stop, prima dovuti all’abbandono di Matilda De Angelis che aver dovuto far paste del cast ma poi è stata costretta a rinunciare per altri impegni e poi per l’uscita di Dogman con il quale Garrone ha conquistato, lo scorso anno, una miriade di premi tra cui 7 Nastri d’Argento e ben 9 David di Donatello. Riconoscimenti importanti che si aggiungono alla sua personale bacheca che vanta, oltre a numerosi altri David e Nastri d’Argento, anche due Gran Prix della Giuria a Cannes e un European Film Awards.

Con queste premesse non ci resta che darvi appuntamento sugli schermi di Cinemazero, dove il film vi aspetta dal 19 dicembre (e non è una bugia!).

“Con assoluta determinazione”

Dove la mano dell’uomo non aveva messo piede …

                                                                 sentieri di cinema!

Di Andrea Crozzoli

Da tempo immemore la destra in Italia ha una palese carenza di intellettuali d’area.

Situazione che permette, ad esempio, al buon Sgarbi, nonostante gli eccessi e i turpiloqui, di rimanere al suo posto, sotto l’ala del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.

Situazione di carenza che riemerge anche in questo frangente in cui devono, “con assoluta determinazione”, occupare tutti i posti disponibili. A prescindere.

Ecco, quindi, che per nominare il nuovo direttore del Torino Film Festival (nomina dal 2024 in quanto questa edizione 2023 viene conclusa da Steve Della Casa), il Comitato di Gestione del Museo del Cinema di Torino redige un bando che prevede un solo anno di contratto e nemmeno la certezza assoluta dell’assegnazione effettiva dopo la scelta. Questo per renderlo non certo appetibile ai grandi nomi del girone festivaliero. In più il buon Ministro Sangiuliano, protagonista, suo malgrado, di infiniti meme ironici sui social, si prodiga per sostenere la candidatura di Giulio Base (classe 1964, laureato in Lettere Moderne e Teologia) gradito anche a Giorgia Meloni. Sponsorship di assoluto peso, quella Ministro, che ha immediatamente portato Base al soglio di direttore del Torino Film Festival 2024. Un festival, quello torinese, secondo per importanza solo alla Mostra del Cinema di Venezia, che ha avuto nella sua lunga e gloriosa storia direttori come Gianni Rondolino, Alberto Barbera, Nanni Moretti, Paolo Virzì, Gianni Amelio etc.. Quindi una poltrona appetibile per l’attuale governo.

Dopo la fumata bianca uscita dal conclave del Comitato di Gestione, lo stesso ha diffuso subito un comunicato nel quale si dichiara: «Il presidente Enzo Ghigo ci tiene ad affermare con assoluta determinazione che questa scelta è avvenuta esclusivamente valutando i meriti del candidato e non è stata in alcun modo condizionata da valutazioni esterne.».

Excusatio non petita, accusatio manifesta direbbero i più colti, oppure prosaicamente la prima gallina che canta ha fatto l’uovo per commentare questa, non necessaria, preventiva giustificazione: tutti sapevano già come sarebbe andata a finire.

Ma con “assoluta determinazione” si dichiara che non è stata la forte sponda della politica romana a sospingerlo ma i meriti. Meriti che vanno dall’aver diretto come regista 29 film fra cui Poliziotti (1995), Il pretore (2014), Il banchiere anarchico (2018), oltre a varie regie per il piccolo schermo come Padre Pio.Tra cielo e terra (2000), Maria Goretti (2003) 47 episodi di Don Matteo, etc.. Ulteriore illuminante dettaglio, sempre in odor di incenso: la società di produzione di sua moglie, Tiziana Rocca, si chiama Agnus Dei. È stato anche attore Giulio Base, il ruolo per cui è ricordato è la sua comparsa in Caro Diario (1993) di e con Nanni Moretti. Una piccola, fugace apparizione la sua in una scena cult. Base è a bordo di un’auto, fermo al semaforo, Nanni Moretti gli rivolge il famoso monologo “Io credo nellepersone, però non credonella maggioranza dellepersone: mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza.”. Un momento indimenticabile del film che Base, con sguardo stralunato, chiude con un “vabbé!”.

I malpensanti sussurrano che Giulio Base non ha nel suo curriculum né significative pubblicazioni a tema cinematografico, né specifiche esperienze nell’organizzazione di festival, ovvero due dei quattro requisiti espressamente richiesti dal bando per il ruolo di direttore. Ma «l’assoluta determinazione» del presidente Ghigo sgombra il campo ad ogni dubbio. Eppure a noi sembra che organizzare un festival di ampio respiro e di prestigio come quello di Torino richiede, più che l’aiuto del buon Dio, una specifica esperienza nel settore. A Rotterdam, ad esempio, la nuova direttrice Vanja Kaludjercic è esperta di mercato della coproduzione internazionale e responsabile delle acquisizioni per Mubi, una manager della cultura con vasta esperienza organizzativa, preparata e in grado di tessere rapporti transnazionali.

Tutta la vicenda torinese appare, a prima vista, come l’ennesima conferma che in Italia i bandi sono farlocchi e le nomine decise da chi sta al potere. «Propongo di ritirare gli artigli e di essere giudicato per il lavoro che farò!» ha dichiarato ecumenicamente Giulio Base, nel tentativo di stemperare il vento della polemica sempre pronto a soffiare. Ed è quello che faremo, senza pregiudiziali ma anche senza sconti.

«Venezia, la luna e… robot»

Di Lorenzo Codelli e Lello Bersani

Ansa ultim’ora. Paolo Villaggio e Marco Ferreri gireranno per la prima volta un film assieme. Ambedue hanno deciso, all’insaputa l’uno dall’altro, di chiedere al Ministero delle Nuvolette una «007 licenza di divertirsi post- covid»

Ancora top secret titolo e soggetto della pellicola. 

Si sa solo che sarà interamente girata, tra il Natale e l’Epifania, al Lido di Venezia.  

Grazie ai schèi della Malamocco Film Commission. 

Creata tre giorni fa, sul proprio yacht, da Dino De Laurentiis. 

Paolo Villaggio interpreterà Robotxol, una via di mezzo tra Fantozzi e il Dottor Stranamore. 

“Boxol“ era l’appellativo del macchinario elefantiaco di prenotazione on line della Mostra del Cinema 2021, quello che prese definitivamente il potere al Lido.

Ferreri: «Ho sentito raccontare il mio attuale dirimpettaio, Alberto Barbera, manager culturale di prima grandeur, le cose da fantascienza che gli erano capitate nell’estate del ‘21».

Così rivela Ferreri intervistato da Lello Bersani sul Tg1, ridendosela sotto la barbetta incolta a raggiera.

Ferreri:  «Ti ricordi Io, robot ? La raccolta di Isaac Asimov pubblicata da Arnoldo Mondadori nel lontano 1950. Io avevo 22 anni. L’emergente scrittore russo-americano così profetizzava:

« Quando la Terra è dominata da un padrone-macchina… »

«Quando i robot sono più umani dell’umanità….»

Lello: « Perchè vuoi fare un’altra storia di sf? Un floppone come Il seme dell’uomo non t’era bastato?»

 Villaggio: « Pardon, boys. Il mio compagno di merende Roberto Cicutto mi ha riferito gli stessi, incredibili fatti accadutigli nell’estate caliente del’21. Lui allora era Superpresidente Megagalattico della Biennale dello Spazio. Un ente inutile creato in Laguna nientemeno che dal Re d’Italia in un momento di sconforto, tra la ritirata di Caporetto e D’Annunzio incocainato a Fiume. Un plotone di robot alieni, capeggiati dal demente Robotxol, seguendo beninteso alla lettera tutti quanti gli innumerevoli decreti anti-covid del ministro Esa-Speranza, e dopo un bel po’ di spritz trincati a Torcello con gli osti Tinta e Tinto alla Locanda Cipriani, s’impadronì nottetempo a San Marco degli Uffici Stampa, Ospitalità, Sbigliettatura, Sbordellamento e Demenxiapura della LXXVIII Mostra del Cinema. Diagnosi secondo Àlex de la Iglesia: Veneciafrenia ».

Lello: «Lo girerai in chiave di commedia dell’assurdo, tipo L’udienza ?».

Ferreri : «Piuttosto una Grande abbuffata al LSD. Paolo interpreterà un robot perverso quanto esilarante. Spietatissimo contro gli umani in generale, e in particolare contro i cosiddetti “accreditati alla Mostra”. Quei poveri fessacchiotti che gli han versato on line un obolo di 60 € con l’illusiò di godersi qualche bel filmetto di Sorrentí, Larraí, Tornató, tre o quattro days before scaricarseli gratis da internet. Rimasero tutti in braghe de tela! Villaggio se fa n’abbuffata gigantesca di abbonamenti inservibili, press pass disabilitati e ticket di non-accesso alle proiezioni, tuffandocisi dentro beato come Paperòn de Paperoni».

         Lello: « Happy end oblige Marco, sennò Dino te mena !?».

Ferreri: «Non lo so. Forse lo girerò a Parigi, scavando nuovamente il gran canyon sotto les Halles che avevo usato per Non toccare la donna bianca. Più probabilmente girerò dal vero, al Lido di Venezia, il finalone neorealista che m’ha suggerito un teenager triestino, Lorentz Codellich. Si vedranno i tre compari, cioè i veri Robotxol/Villaggio, Cicutto e Barbera, in fuga disperata su una gondoeta. Dall’alto del cielo piomba su di loro, e sul vero Palazzo del Cinema, un vero missile nucleare. Lo cavalco io, vestito da true cowboy. BOOOOOOOOOOOOOOOM !!! ».

Lello: «Ti costerà una valanga di miliardi! Kubrick aveva usato effetti speciali per un happy end simile».

Ferreri: «Lui era un genio! Io un buzzurrone ahò. Faccio quel che posso pè vvendicà stò cacchio d’umanità!».