CINEMAZERO è lieto di presentare un programma speciale in occasione della Giornata della Memoria, pensato per coinvolgere e sensibilizzare gli studenti delle Scuole Primarie e Secondarie. Abbiamo selezionato tre film significativi che offrono un’occasione unica di riflessione sulla storia e i valori umani.
1. “ANNA FRANK E IL DIARIO SEGRETO” (Ari Folman, 2022 – durata 90′)
Consigliato per: Classi III, IV e V delle Scuole Primarie, Scuole Secondarie di Primo Grado
Kitty, l’amica immaginaria di Anna Frank, prende vita nella contemporanea Amsterdam. Ignara del passare del tempo dalla Seconda Guerra Mondiale, intraprende un viaggio nel tempo alla ricerca di Anna. Attraverso il prezioso Diario, Kitty si impegna a diffondere un messaggio di pace, speranza e generosità, ispirandosi all’esempio della sua amica.
Date in programmazione:
Mercoledì 24 gennaio ore 9.30
Martedì 30 gennaio ore 9.00
2. “L’ULTIMA VOLTA CHE SIAMO STATI BAMBINI” (Claudio Bisio, 2023 – durata: 103 minuti)
Consigliato per: Classi III, IV e V delle Scuole Primarie, Scuole Secondarie di Primo Grado
Roma, estate 1943. Quattro bambini, diversi per provenienza, si uniscono in un’amicizia inossidabile, trascurando le divisioni della Storia che insanguinano l’Europa. Un racconto commovente di solidarietà in tempi difficili.
Consigliato per: Scuole Secondarie di Secondo Grado
Nicholas Winton, un londinese di 29 anni, organizza l'”Operazione Kindertransport” nel 1938, salvando centinaia di bambini, molti di religione ebraica, dalla minaccia dell’invasione nazista. Un atto coraggioso che evidenzia la forza dell’umanità in tempi oscuri.
Date in programmazione:
Venerdì 26 gennaio ore 9.00 e ore 9.30
Martedì 30 gennaio ore 9.30
Per ricevere maggiori informazioni e prenotazioni, vi invitiamo a contattarci via mail all’indirizzo: didattica@cinemazero.it
Un’opportunità di apprendimento e riflessione. La memoria è il ponte che collega il passato al presente, e insieme possiamo costruire un futuro più consapevole e solidale.
«Quando se ne vanno persone che sono come querce, si rimane con meno ombra e riparo!». (Vinicio Capossela a proposito di Carlo Mazzacurati)
Di Andrea Crozzoli
Era un sabato quel 25 gennaio del 2014. Avevo preso da tempo,
proprio per quel giorno, un importante e risolutivo appuntamento in Umbria per
una mostra sui costumi di Danilo Donati alla quale collaboravo. Impossibile
spostare la data e tantomeno annullarla. Partii quindi all’alba da Pordenone,
perché volevo assolutamente fare una tappa a Padova prima di proseguire per
l’Umbria. Arrivai di prima mattina al 126 di via San Francesco, a pochi minuti
dall’apertura della camera ardente allestita presso la sede di Medici con
l’Africa Cuamm. Sostai davanti al feretro e quel nodo alla gola, che si
ingrossava sempre più, sembrava strozzarmi, gli occhi si riempirono di lacrime,
riuscii solo a sussurrare: «Ciao Carlo!».
Carlo Mazzacurati, classe 1956, si era cinematograficamente
formato negli Anni ’70 al circolo universitario di Padova CinemaUno
che conduceva assieme al suo mentore Piero Tortolina. Praticamente il circolo
padovano considerato fratello maggiore di Cinemazero (noi,
cominciando da “zero”, non potevamo chiamarci CinemaDue). Scese poi a
Roma, Carlo, dove si fa il cinema, e lavorò come sceneggiatore continuando però
a frequentare la sala cinematografica da accanito spettatore. Fu proprio grazie
a questa passione che, narra la leggenda, avvenne l’incontro con Nanni Moretti al cinema
Rialto in occasione di una retrospettiva sul cinema russo.
Mazzacurati, che all’epoca aveva solo 31 anni, da un racconto
scritto con Enzo Monteleone trasse soggetto e sceneggiatura per quello che
diverrà Notte italiana, il suo primo
lungometraggio. Prodotto dalla SacherFilm di Nanni Moretti e Angelo
Barbagallo e presentato fuori concorso a Venezia, il film conteneva già le
linee guida della poetica che caratterizzerà il cinema di Mazzacurati: storie
di perdenti on the road, di uomini sfortunati che inseguono una serenità
perduta, uomini dalla solidarietà senza enfasi e senza retorica. Retorica dalla
quale Mazzacurati riusciva a “sfuggire con naturalezza” come scrisse lo
sceneggiatore Marco Pettenello. Un cinema che
dichiarava subito l’etica e l’estetica dello sguardo di Carlo, persona mite ma
forte nella sua possente fisicità, che riuscì a strutturare con Nanni Moretti
un lungo sodalizio fatto di reciproca stima ed amicizia. Moretti lo chiamò
diverse volte a sostenere piccoli ma indimenticabili ruoli nei suoi film: dalla
citatissima scena in cui Carlo, nei panni del critico cinematografico in
Caro diario, scoppia in lacrime davanti ad un indignato
Nanni che lo fa amaramente pentire delle sue recensioni; al Caimano dove
è sempre l’odio nei confronti del mestiere di critico il motore che
conduce il cameriere Mazzacurati ad abbattere, in una memorabile sequenza, il
critico culinario a colpi di astice; o l’estraniante e incredibile urlo di
Mazzacurati in Il grido d’angoscia dell’uccello
predatore (20 tagli d’Aprile) presentato al Festival di Cannes.
Dopo la parentesi romana, durata quindici anni, Mazzacurati era ritornato
nella sua terra natia, a Nord-Est. Una terra quasi vergine dal punto di vista
cinematografico, fatta di piccole storie marginali, che necessitavano, in qualche
modo, di essere ascoltate con occhi e orecchi attenti. Ci voleva la curiosità
di Carlo Mazzacurati per riuscire a tradurre questi luoghi mai veramente
raccontati con la macchina da presa. Tutto ciò contribuì a farlo diventare interprete del paesaggio e dei mutamenti antropologici del
Nord-Est. Mazzacurati “ha saputo coniugare poetica d’autore e attenzione ai
generi, fedeltà alle proprie radici venete e capacità di dialogare con i
modelli del grande cinema, americano e italiano” come ha giustamente
chiosato Antonio Costa nella monografia che gli ha dedicato.
Ma la curiosità di Carlo Mazzacurati, uno dei più amati registi
della sua generazione, era onnivora e comprendeva naturalmente anche la
letteratura. Nel 1989 girò Il prete
bello, tratto dal libro di Goffredo Parise e in quell’occasione mi disse
che la letteratura per lui era importante quanto il cinema: «Tu sei anche
quello che si deposita nella tua esperienza emotiva. Sei quello che hai visto
al cinema, che hai letto nei libri. Tutto questo ti forma un gusto, un’etica
– e aggiunse – amo profondamente quel senso della sospensione della vita,
quell’emozione adolescenziale enorme che provi sia in sala, quando ti
dimentichi anche che devi respirare, guardando un film, sia con un romanzo,
dove non riesci a smettere di leggere finché non arrivi alla fine. Cinema e
letteratura ti leniscono il peso di vivere. Insomma, hanno la stessa potenza.».
L’amore per la letteratura, coniugato con il Nord-Est, portò poi Mazzacurati
verso altre fruttuose incursioni concretizzatesi in Ritratti, tre splendidi documentari, da lui diretti, su scrittori
come Rigoni Stern, Andrea Zanzotto e Luigi Meneghello intervistati da Marco
Paolini. Sarà sempre il Nord-Est e la sua Padova a far da sfondo anche in La lingua del Santo, film che nobilitava
la commedia all’italiana nel ripercorrere i sentieri dell’ironia con estrema
abilità e perizia. Da manuale la divertentissima apparizione di San Antonio in
carne ed ossa (un cameo di Marco Paolini) che, privo della lingua rubatagli,
tentava di redarguire i due ladruncoli. «Il cinema italiano sta male e la
causa di questo star male sono i brutti film e i brutti film son tanti e
mettono in una condizione mentale tesa a cercare di stare il più possibile
dentro un canone che dovrebbe essere quello del film che funziona a qualsiasi
livello. Bisognerebbe invece cercare di essere più liberi. Per fortuna una
delle pochissime cose che non sono riusciti a capire è come si fanno i film
che incassano. A volte succede che un piccolo film inatteso abbia un grosso
successo e questo è un bene prezioso che crea le condizioni affinché i
produttori lascino la porta aperta alla creatività dell’autore e al rischio.».
Parole profetiche che Mazzacurati pronunciò, oltre venti anni or sono, in
occasione di una mia intervista, e che sono ancora drammaticamente
attualissime. Oltre alla fiction Mazzacurati frequentò abitualmente il
documentario, un territorio che lo trovava a suo agio come nei Ritratti
già citati e come in Sei Venezia, una
poetica opera che si concentrava su sei abitanti “quotidiani” per raccontare la
città lagunare. «Dopo un lungo percorso, anche meditativo, con Claudio
Piersanti e Marco Pettenello – ci aveva a suo tempo raccontato Carlo
Mazzacurati – siamo arrivati a quelle persone che mi sembravano molto
uniche, come è unica la città stessa. Ero affascinato da questo filo conduttore
originale col quale narrare la città. Una città da secoli già dipinta,
narrata, fotografata, filmata. Una città in cui si rischiava di essere
superficiali.». Anche la colonna sonora inSei Venezia, con
musiche di Eleni Karaindrou – l’artista greca che ha firmato le colonne sonore
dei film di Angelopoulos – aveva nel documentario una valenza semantica: «Da subito ho avuto una grossa impressione, potente e
immediata, di come questa musica greca – mi disse
Mazzacurati – dialogasse con
Venezia che è sostanzialmente greca. La città più orientale, bizantina che
abbiamo in Italia.». Con questo lavoro, accolto con uno
dei più lunghi applausi che si ricordino a Cinemazero, nel 2011 si è congedato
Calo Mazzacurati dal pubblico pordenonese. Una tappa, per sua stessa
ammissione, a cui teneva molto e che non aveva mai mancato nel
corso della sua carriera. Poi la malattia gli ha impedito di ritornare, fino al
doloroso epilogo. Aveva scritto su La Repubblica Alberto Farassino a
proposito di un suo lavoro: “Un film senza errori che dà più di quel che
promette.”. Ecco, traslando, Carlo Mazzacurati nel suo essere genuinamente
generoso era proprio così: dava più di quel che prometteva.
L’anno che si è appena concluso è stato, almeno dal punto di
vista cinematografico, a dir poco straordinario per Cinemazero che – con le sue
oltre 100mila presenze – ha raggiunto un risultato davvero inimmaginabile solo
dodici mesi fa, e che ci colloca ben al di sopra dei dati nazionali.
Dati quest’ultimi che, ad una più approfondita analisi, hanno
espresso segnali contrastanti, che meritano di essere analizzati soprattutto per
capire se le principali tendenze espresse lo scorso anno dal mercato,
allargando lo sguardo ben oltre i nostri confini, possano essere indicativi di
quanto accadrà nell’anno che verrà.
Il primo aspetto che merita di essere evidenziato e quello
della vitalità del mercato. Non serve andare troppo indietro nel tempo per
ritrovare funeste previsioni che davano per spacciata l’esperienza
cinematografica, destinata, secondo molti, ad essere irrimediabilmente
sostituta dalla visione casalinga. Fortunatamente i numeri (e dietro ogni
numero in questo caso c’è uno spettatore) hanno dimostrato il contrario. Certo
il mercato non è ancora ritornato ai livelli precovid ma diversi casi,
tutt’altro che isolati, hanno chiaramente fatto capire che un pubblico per i
film al cinema esiste ancora e, se adeguatamente informato, sceglie con
convinzione il grande schermo. C’è ancora domani di Paola Cortellesi, con
il suo incredibile riscontro (ad oggi oltre 37 milioni d’incasso) ha messo
sotto gli occhi di tutti che anche in Italia il cinema può ritornare ad essere,
oltre che momento culturale, aggregatore sociale e fenomeno di costume, con
tutte le ricadute economiche del caso. Barbie e Oppenheimer sono
la prova provata che i mercati “stagionali” esistono solo sulla carta. Se gli
investimenti promozionali sono adeguati e mirati il pubblico si può raggiungere
in qualsiasi periodo e, se si crea l’interesse intorno al film, gli spettatori
non guardano né il tempo atmosferico né il termometro. Basterà tutto questo a
sconfessare le previsioni di molti analisti che prevedono un calo di mercato,
soprattutto nel primo semestre del 2024, dovuto al rinvio di molti film a
seguito dello sciopero di attori e sceneggiatori dei mesi scorsi? Difficile a dirsi,
ma è lecito sperare.
Non sono tutto rose e fiori purtroppo. Se questi segnali possono essere considerati incoraggianti ve ne sono altri ben più preoccupanti. Nel corso del 2023 il mercato ha infatti evidenziato anche nuove criticità. Da una parte, a livello globale, hanno fatto molta fatica i titoli per i più piccoli, che da sempre rappresentano un traino fondamentale per il settore. La più grande macchina dell’intrattenimento per i giovani spettatori – la Disney – sta affrontando un calo di ricavi e popolarità a livello globale. Il tentativo di produrre nuovi contenuti originali su cui si era fortemente investito nell’ultimo periodo ha prodotto personaggi poco convincenti e trame deboli, con il risultato di allontanare il pubblico tradizionale senza guadagnare nuovi spettatori. Se consideriamo che all’interno del mondo Disney rientrano anche la Pixar e la Marvel possiamo immaginare – anche senza dilungarci con i numeri di dettaglio – l’impatto sull’intero mercato. Non è un caso che gran parte delle uscite annunciate per quest’anno siano dei sequel o spin off (Inside out 2, Deadpool 3, Spiderman 4, Mufasa – The Lion King). D’altra parte, in alcuni mercati, come quello italiano, si registra anche una crisi della commedia che, soprattutto nel periodo natalizio appena conclusosi ha deluso le aspettative. Manca, ormai da alcuni anni il “cinepanettone” la grande commedia natalizia in grado di strappare risate (e soldi) facili, ormai sostituita da un insieme di piccole commedie, spesso legate ad altri sottogeneri, che non riescono però nemmeno lontanamente a eguagliarne i risultati. Quest’anno è stato il caso di Come può uno scoglio di Pio e Amedeo, Santocielo di Ficarra e Picone e Succede anche nelle migliori famiglie di Alessandro Siani che hanno raccolto esiti molto al di sotto delle aspettative. E per la parte di mercato più mainstream questo è un bel problema.
Ci sono poi degli indicatori all’apparenza neutri, o tecnici,
che invece necessitano di attenzione. Uno di questi è il prezzo medio del
biglietto che nel 2023, dopo un andamento altalenante negli ultimi anni, ha
toccato la soglia dei 7 euro, pari ad un aumento di 13 centesimi (il 2%)
rispetto al 2022. Ora, come si osserva nello studio riportato su cineguru, se
il fatto che il prezzo dei biglietti risulti essere ancora molto contenuto è anche
un fatto positivo perché permette di mantenere questa forma d’intrattenimento
accessibile ad un pubblico vasto, dall’altro rischia di diventare un problema
di lungo periodo. In termini economici, infatti, il biglietto non sta
aumentando ma calando – perché cresce meno dell’inflazione – e questo significa
che si riducono sempre di più i margini d’investimento della parte più debole
della filiera, quella dell’esercizio che gestisce le sale. Ciò rischia di
frenare lo sviluppo dei numerosi progetti che erano partiti in questi mesi,
anche grazie ai fondi del PNRR, per l’adeguamento tecnologico e il rinnovamento
delle strutture, in particolare con la creazione di sale di alta/altissima
fascia (per qualità di visione e servizi offerti) che invece potrebbe rappresentare
uno degli orizzonti più interessanti del prossimo futuro.
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