“Custodi” di Marco Rossitti arriva a Cinemazero giovedì 14 dicembre alle 20:45, in collaborazione con il Club Alpino Italiano di Pordenone. Intervengono in sala il regista, anche docente di cinema all’Università di Udine, il direttore della fotografia Luciano Gaudenzio, Daniela Pizzarotti (suono in presa diretta) e alcuni protagonisti del film. Presentato al 71° Trento Film Festival, il documentario ha ricevuto il Premio Dolomiti Patrimonio Mondiale della Fondazione Dolomiti UNESCO e della SAT Società degli Alpinisti Tridentini, al miglior film sulla consapevolezza delle comunità rispetto agli eccezionali valori universali riconosciuti dalle Nazioni Unite e la capacità di una conservazione attiva del territorio. Dalla Val Resia all’Appennino di Reggio Emilia, passando per le lagune di pesca e i Magredi friulani, l’autore traccia brevi ritratti che sottolineano l’importanza del prendersi cura del territorio, il valore di tradizioni rivitalizzate nel rispetto di un patrimonio collettivo, della memoria, del delicato equilibrio fra uomo e natura.
Così Rossitti descrive la sua opera: «I luoghi appartengono a chi li abita, ovvero a chi ne ha cura e li sente essenziali alla propria identità. In latino habitare significa “avere abitualmente”. Nulla a che fare con la proprietà o il possesso: è costruire, difendere, custodire. I veri custodi non esibiscono il loro operato. Li riconosci per la profonda padronanza del territorio nel quale vivono e lavorano, acquisita dapprima attraverso la lezione dei padri, poi con l’osservazione attenta, la dedizione, la fatica: una consapevolezza dei luoghi intagliata nel volto e nelle mani, riflessa nella voce e nello sguardo, scolpita nella memoria e nell’anima. Negli anni, incontrando in diverse regioni del Nord Italia Cecilia, Bepo, Egidio, Miriam, Mauro, Konrad, Erika, Gianfranco, Tobia, Xiaolei, Roberto, Matteo, Massimo, ho capito che si può essere custodi sotto le spinte e per le motivazioni più diverse: per istinto, elezione, passione, tradizione, lungimiranza, destino, vocazione, scelta…».
Arriva in sala mercoledì6
dicembre sotto il doppio segno della Tucker Film e della Teodora
FilmIl male non esiste (Evil Does Not Exist) di Hamaguchi
Ryusuke! Vincitore a Venezia del Leone d’Argento – Gran Premio della
Giuria e osannato dalla critica di tutto il mondo, IL MALE NON ESISTE (Evil
Does Not Exist) è il nuovo attesissimo film del regista premio Oscar per Drive
My Car.
Nel villaggio di Mizubiki, vicino
a Tokyo, un’azienda senza scrupoli vuole costruire un campeggio di lusso (glamping)
rischiando di rompere l’equilibrio ecologico del luogo. Tra gli abitanti che si
oppongono al progetto ci sono un padre single, Takumi, e sua figlia Hana,
custodi di una vita ancora in perfetta armonia con la natura. La loro
resistenza dovrà però affrontare una situazione inaspettata, che cambierà per
sempre il destino di tutti.
Anche grazie alle musiche
evocative di Ishibashi Eiko, Hamaguchi esplora con maestria un tema di grande
attualità, trasformandolo in un’appassionante parabola universale. Un’opera
potente e misteriosa, una riflessione spiazzante e acuminata sugli equilibri e
i disequilibri di cui si nutre il rapporto tra l’uomo e la natura. Da un
lato, dunque, il ritmo della terra, dell’aria, dell’acqua e delle foreste,
dall’altro, come in un gioco di specchi, il ritmo delle musiche di Eiko
Ishibashi, punto d’innesco del lavoro di Hamaguchi.
È la natura, con i suoi cicli e le
sue leggi, a disegnare la vita nel piccolo villaggio montano. Il tempo sembra
fermo, il passato e il presente sembrano separati soltanto da una linea di
confine sottile. La comunità di Mizubiki, di cui fanno parte Takumi e la figlia
Hana, sta bene così: dentro una quotidianità mite e modesta che ha ereditato
dalla generazione precedente e che tramanderà alla generazione successiva.
«Per me, prima di girare Il
male non esiste, la natura era rappresentata solo dai parchi urbani –
racconta Hamaguchi – e non andavo oltre. Appena ho cominciato a lavorare sul
progetto del film, però, ho avvertito immediatamente la sensazione che la
natura ci può guarire…».
Molto amato e conosciuto in Italia
per grandi titoli come Happy Hour, Il gioco del destino e della
fantasia e Drive My Car (Oscar 2022 per il miglior film
internazionale), tutti distribuiti dalla Tucker Film, Hamaguchi rappresenta
sicuramente il futuro del Nuovo Cinema Giapponese: un autore profondamente
legato alle proprie radici e, al tempo stesso, capace di affrontare temi
universali che sanno parlare davvero a tutti. Al di là delle appartenenze
culturali e geografiche.
Spencer: la favola nera di Pablo Larraìn da dicembre in mediateca
Di Martina Zoratto
A
dicembre arriva mediateca il racconto di un Natale particolare, in buona parte
immaginato e poeticamente ricostruito da Pablo Larraìn e Steven Knight in una
vera e propria «favola tratta da una tragedia vera».
Nella
pellicola, presentata in concorso alla 78ª Mostra internazionale d’arte
cinematografica a Venezia, il regista cileno – avvezzo all’arte del biopic – si
misura con i fantasmi e le angosce di Lady Diana, in un intimo ritratto dipinto
su schermo.
Subentrando nella campagna inglese, Spencer ci conduce nel cuore della contea di Norfolk, dominata dall’imponente Sandringham House, dove l’intera famiglia reale è chiamata a trascorrere il Natale. Un soggiorno forzato dunque, quello della Principessa del Galles, alla quale presta il volto la statunitense Kristen Stewart, in quella che è stata riconosciuta come una delle performance più brillanti della stagione.
Fin
dalle prime immagini, Diana appare smarrita e tormentata: una distanza
incolmabile la separa dal marito, spingendola all’isolamento totale in un
affollato e coeso quadretto reale, nel quale lei rappresenta ormai unicamente
uno scomodo elemento di disturbo. Da qui, l’esigenza di evadere verso gli
esterni freddi e desolati della campagna inglese, in una ricerca quasi maniacale
dei luoghi della propria infanzia, che nulla hanno a che vedere con la sontuosità
e l’indifferenza che la circondano.
Vessata
dalla sorveglianza oppressiva di corte, la donna è costantemente in fuga dalle
claustrofobiche mura della residenza, nella quale ogni rito, ogni obbligo,
persino ogni pasto, risultano ormai nauseanti e insostenibili. Tallonata dalle
apparizioni di fantasmi intrappolati in un passato che non le appartiene e
dagli sguardi carichi di giudizio del personale, Diana si aggira per i corridoi
labirintici con gli occhi velati di lacrime. Il ronzio delle chiacchiere di
palazzo e il tintinnio dei gioielli la disorientano e quel ruolo finisce per
starle tanto stretto da toglierle il respiro: in una condizione di totale
asfissia, non le rimane che spezzare la catena che porta al collo, andando a
riversare sul pavimento una cascata di perle – splendenti, ma ormai troppo
pesanti da indossare.
Sarà
la fuga finale, quella risolutiva, quando la Principessa lascerà la dimora
reale in compagnia degli adorati figli William e Harry, per concedersi un
economico quanto liberatorio pasto al fast food, dove finalmente Diana
ritroverà se stessa: Spencer.
Una
favola nera dove la bellezza è sofferenza, la tradizione è una perla
inghiottita e incastrata in gola, e dove ogni grido di aiuto riecheggia nel
silenzio di un atrio deserto, restando inascoltato.
______
Ma
questo mese, in mediateca, le novità sono tante e per tutti i gusti!
Disponibili
alcuni tra i film più premiati delle recenti Award Season, come il vincitore
del Premio Oscar al Miglior Film 2022, Coda: I Segni del Cuore (Heder,
2021), e gli europei Titane (Ducournau, 2021) e Belfast (Branagh,
2021). Alcuni ingressi anche nella categoria dei successi all’italiana, con America
Latina (D’Innocenzo, 2021), E noi come stronzi rimanemmo a guardare (Pif,
2021), Leonora addio (Taviani, 2022) e Supereroi (Genovese,
2021). Per gli amanti del thriller arriva l’ultima opera del maestro del
brivido, Occhiali Neri (Argento, 2022), e per una sana dose di azione
l’imperdibile colosso dedicato al supereroe più amato dell’universo DC, The
Batman (Reeves, 2022). Non mancano i titoli perfetti per trascorrere le
feste in famiglia, con le avventure di The Last Warrior (2021), Il
lupo e il leone (2021) e Uncharted (2022); per non parlare di una
delle più recenti e irresistibili produzioni Disney: Red (2022)! Anche i
più nostalgici troveranno pane per i propri denti, con le nuove edizioni dei
classici Domani sarò tua (Nugent, 1943), La donna senza amore (Levin,
1948), e gli adattamenti anni Sessanta Eva (Losey, 1962), Mayerling (Young,
1968); così come gli appassionati di western, grazie alle new entry L’uomo
del West (Wyler, 1940) e Valdez il Mezzosangue (Coletti/Sturges,
1973). Novità fresche di dicembre anche per i più sentimentali, con alcune vere
e proprie chicche provenienti dall’estero come La Signora delle Rose (Pianud,
2020), Parigi 13 Arr. (Audiard, 2021) e Made in Hong Kong (Chan,
1997… e distribuito in italiana dalla nostrana Tucker Film!), e i musicali Aline:
La voce dell’amore (Lemercier, 2020)e Cyrano (Wright, 2021).
Ovviamente, sugli scaffali della mediateca di Cinemazero, non può mancare il
grande documentario – categoria alla quale si aggiungono Ennio (Tornatore,
2021), tributo al leggendario compositore, e lo struggente Quel giorno tu
sarai (Mundruczó, 2021).
Con
l’arrivo di dicembre fioriscono, come sempre, classifiche sui migliori film
dell’anno, bilanci sull’annata cinematografica, riflessioni sull’andamento del
cinema al cinema e via discorrendo. Non possiamo quindi sottrarci dal fare
anche noi una piccola riflessione su cosa resterà, a futura memoria, dei tanti
film italiani usciti in questo travagliato 2023.
A
nostro avviso tre sono i titoli che hanno segnato l’annata cinematografica: Io
capitano di Matteo Garrone, Il sol dell’avvenire di
Nanni Moretti e C’è
ancora domani di Paola Cortellesi; tutti film
portatori di un forte messaggio civile, politico, sociale, anche se ognuno
declinato secondo la particolare sensibilità dell’autore. Matteo
Garrone ha affrontato il tema dell’immigrazione dall’Africa in Io capitano con la sua particolare capacità di
guardare ben oltre il proprio ombelico, di indagare mondi
che non sono i suoi, ma a cui dà voce in chiave poetica, per lanciare
contemporaneamente una sfida su alcune cose che crediamo di conoscere, come i
folli viaggi a piedi nel Sahara o i campi di tortura gestiti dalla mafia
libica. Un viaggio, quello di Io capitano, come ricerca
dell’emancipazione e non semplice fuga per la sopravvivenza. Ma più che la
migrazione, la materia sulla quale sembra indagare magistralmente Garrone è il
percorso di maturazione del giovane Seydou, che nella scena finale esplode,
dopo aver provato tutte le emozioni del mondo, in una precoce presa di
coscienza, una raggiunta maturità. Il film può considerarsi una sorta di rilettura contemporanea dell’Odissea che si rispecchia nel
sogno dei migranti di “realizzarsi” altrove, quell’altrove davanti il quale
Garrone si ferma, senza sbarcare in Italia. Dopo il Leone d’Argento a Venezia Io
capitano di Matteo Garrone è stato indicato dall’Italia a comporre la shortlist
dei papabili per concorrere all’Oscar 2024 come miglior film straniero. Sono
quindici, infatti, i titoli internazionali all’interno dei quali verrà
selezionata, il 24 gennaio 2024, la cinquina finale per la corsa all’Oscar la
cui cerimonia è prevista a Los Angeles il 12 marzo 2024.
L’altro
film che rimarrà a futura memoria di questa annata è il surreale, incredibile,
ammirevole ma anche affettuosamente insopportabile Il
sol dell’avvenire dello splendido settantenne Nanni Moretti che
confeziona un melting pot del proprio immaginario
filmico/esistenziale: dalle canzoni in macchina, alle coreografie da musical in
strada, allo sguardo a tratti “allucinato” del protagonista. Dentro un pesante
passato (Guerra Fredda, Comunismo, rivolta del ’56 in Ungheria), si affianca un
confuso presente (rapporto matrimoniale in crisi, nuovi registi, piattaforme
streaming), che sfocia in un onirico futuro che può avere solo la dimensione di
un sogno. Un importante film che è una riflessione, senza sconti sul tempo
andato, sull’invecchiare e sulla difficoltà di rapportarsi di fronte al mondo
che cambia troppo in fretta. Tre film in uno per quest’opera politica, ironica
e sentimentale, una sorta di matrioska
cinematografica fatta di autocitazioni; quasi un film testamento sulla morte,
nelle sue diverse declinazioni: della politica, dell’amore, della morale
e del cinema stesso. Ma alla fine arriva il
sol dell’avvenire seppur in forma onirica.
Il terzo film di questo 2023 è, senza ombra di dubbio, C’è ancora domani di Paola Cortellesi, un fenomeno dagli aspetti che travalicano il cinema stesso per addentrarsi nel mondo della violenza sulle donne, nel patriarcato. Nel film della Cortellesi il discorso sulla donna è evidente dalla prima scena che si apre con uno schiaffo alla protagonista come violenza domestica di routine, perpetrato come atto dovuto. Un film apprezzabile nello scuotere lo spettatore di fronte a una problematica come la violenza domestica, purtroppo, ancora di scottante attualità, narrata nel film attraverso svariati cambi di tono che servono a stemperare qualcosa che gli occhi non vorrebbero vedere e le orecchie non vorrebbero sentire. Non, quindi, un roboante grido di protesta, ma una poetica astrazione della violenza che in un caso si trasforma in uno struggente tango a sostituire le botte inferte e ricevute. Astrazione che scuote ancora di più lo spettatore. Nel film le donne, complessivamente, sono molto più solide degli uomini, in particolare dell’ottuso marito della protagonista, che si vergogna di essere povero e giustifica la propria rabbia affermando: «Ho fatto due guerre». Il film è sostanzialmente un monito forte ed orgoglioso contro la violenza domestica perpetrata sulle donne cui farà da contraltare quell’apertura che nel 1946 permise a tutte le donne di poter esprimere il proprio pensiero politico e sociale. Alcune date possono in qualche modo chiarire cronologicamente il susseguirsi degli enormi cambiamenti avvenuti in un Paese tutto da rifare: il 19 luglio 1943 avviene il primo bombardamento su Roma occupata dai nazisti con 3.000 morti; il 4 giugno 1944 le truppe americane entrano a Roma che diviene “città aperta”; il 2 giugno 1946 il primo suffragio universale che segna la nascita della Repubblica con le donne al voto per la prima volta (82% l’affluenza alle urne). La continuità fra passato e presente nella pellicola della Cortellesi è suggerita dalla scelta di accompagnare con brani musicali moderni alcuni snodi narrativi, dando una connotazione pop nuova e, a suo modo, originale, dove tutto è detto, spiegato, mostrato, in un percorso, tutto sommato, di profonda prevedibilità, seppure permeato da brevi lampi di ironia. Un film perfetto per ogni tipo di pubblico, come afferma la critica più sofisticata, con uno svolgimento confezionato così bene da lasciare ammirati: piace al critico come alla zia Pina. È cinema popolare, di cui si sentiva, però, estremo bisogno dopo quasi tre anni di sofferenza delle sale per la pandemia. C’è ancora domani è un intelligente film che parte dal passato per lanciare un messaggio di speranza sul futuro, prendendo spunto dalla condizione femminile raccontata con passione e amarezza. Come in ogni film che si rispetti c’è la realtà ma ci sono anche i sogni. Come a dire che c’è ancora un domani.
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