Federico Fellini il grande seduttore

l’universo femminile nell’immaginario cinematografico felliniano

Di Andrea Crozzoli

«Sono nato il giorno in cui ho visto Giulietta per la prima volta!» affermava Federico Fellini a proposito della Masina. Si erano conosciuti a Roma nel 1941 quando lui lavorava per la radio scrivendo scenette della serie Cico e Pallina con Giulietta nel ruolo di Pallina, una verginea ragazza, semplice, pura, generosa e ingenua. Si sposarono nel 1943, lui a ventitre anni e lei uno di meno. Resteranno per cinquant’anni uniti, marito e moglie fino alla fine dei loro giorni, con Giulietta non solo musa discreta, esile, amorosa, devota e, come scrisse acutamente Tullio Kezich, “non era solo il suo appoggio, era il suo respiro”. Dopo aver concluso il liceo a Rimini Fellini, diciannovenne, era arrivato a Roma dalla provincia per proseguire gli studi universitari. Rimarrà per sempre, nella sua poetica, un provinciale in trasferta nella grande città, così come rimarrà per sempre segnato dall’educazione ricevuta negli anni venti/trenta del secolo scorso dove le forze combinate del fascismo e della Chiesa, che l’aveva appoggiato, condannarono lui e gli italiani ad un’eterna adolescenza. “Era stata questa malaugurata complicità a farli rimanere bambini poco cresciuti, sempre pronti a demandare a qualcun altro la responsabilità delle loro azioni, incapaci di liberarsi dalla speranza che ci sarebbe stato sempre qualcun altro a pensare per loro, che fosse la madre, il padre, il sindaco, il Duce, la Madonna o il vescovo” scrive Alessandro Carraro in un saggio dedicato al regista, aggiungendo “la verità è che Fellini capiva gli italiani perché capiva se stesso in loro, e li amava per quello che erano, amava i loro difetti così come amava i suoi”. Questa condivisione degli italici difetti, questa sorta di empatia con il prossimo era assolutamente presente nel cinema di Fellini, grazie anche all’aiuto della psicanalisi che gli aveva permesso di mettere a fuoco le diverse componenti del suo carattere, compresa quella sua sessualità da oratorio maschile, come lo accusavano alcuni critici. A questo proposito Emanuela Martini ha sottolineato che Fellini è “uno degli autori (non solo italiani, mondiali) che ha saputo scavare meglio dentro di sé, per analizzare, non tanto la donna, quanto il mito della donna, quell’assoluto avvolgente (da ogni punto di vista, anche “dimensionale”, fisico) del quale un uomo non può venire a capo.” Uno scavo ammesso dallo stesso regista, che a proposito della voluminosa prostituta in Otto e mezzo affermava che era “una rappresentazione infantile della donna, una delle varie e diverse espressioni delle mille nelle quali una donna si può personificare. E’ la donna ricca di femminilità animalesca, immensa e inafferrabile e nello stesso tempo nutritiva, così come la vede un adolescente affamato di vita e di sesso, un adolescente italiano bloccato e impedito da preti, chiesa, famiglia ed educazione fallimentare.”. Pur con apparente indulgenza Fellini non risparmiava certo la sua potente critica verso le istituzioni. Sognatore, visionario, gaudente, malinconico, grottesco, bizzarro, nevrotico, Fellini ha sempre giocato con i suoi sogni, trasformandoli, da grandissimo bugiardo, e miscelandoli con la realtà, amando sognare pigramente e raccontare tutta la vita che non avrebbe mai avuto. Con la donna, nel suo immaginario, sempre presente, protagonista assoluta, prosperosa, giunonica, giocosamente femmina, formosa nei seni e fianchi enormi, fino ad affermare Fellini stesso che “i miei film esistono perché esistono le donne“. Tutto questo universo poetico, onirico viene ripercorso dalla mostra “Federico Fellini il grande seduttore” attraverso immagini vintage mai viste prima: dalla moglie, la sua Pallina, la Gelsomina de La strada, grande attrice e musa discreta, passando poi attraverso tutti gli archetipi felliniani: dalla Anita Ekberg, bellezza statuaria irripetibile, femmina frutto della fantasia felliniana, sogno erotico proibito di quegli anni, alla Gradisca, ovvero Magali Noel, archetipo della femminilità, dal seno generoso, fianchi ridondanti, ondeggianti. Un viaggio, dunque, unico e originale attraverso la visionarietà dell’immaginario femminile in Fellini, il più grande regista che abbia avuto il cinema italiano.

ContagiZero

Di Marco Fortunato

Scritto prima del DPCM del 24 ottobre

Nell’ultima (nel momento in cui scriviamo) ordinanza regionale, emanata a pochi giorni dall’avvio di quella che ormai sappiamo essere la tanto temuta “seconda ondata” della pandemia, gli unici due settori per i quali vengono modificate le misure di prevenzione sono le RSA e i teatri/cinema.

Per quest’ultimi, oltre alle misure già in vigore, che prevedono posti preassegnati e distanziati tra non congiunti, l’obbligo di mascherina per tutto il periodo di permanenza in sala, il divieto di ricircolo dell’aria negli impianti di condizionamento e la tracciatura delle presenze è stato previsto, in aggiunta, anche la riduzione della capienza massima ad un terzo di quella consentita.

Ciò significa, all’atto pratico, costringere le strutture con sale medio-piccole, come Cinemazero, a poter ospitare un massimo di 15-20 persone per spettacolo. È un sacrificio enorme ma nessuno oserebbe metterlo in discussione se servisse, anche solo in minima parte, a contrastare la diffusione del virus che rappresenta ovviamente la priorità per tutti noi. Purtroppo però, anzi per fortuna, non è così, perché i cinema e i teatri si sono dimostrati, dati alla mano, i luoghi più sicuri per evitare il contagio, ambienti in cui il rischio di infettarsi è praticamente pari a zero.

A metterlo nero su bianco una serie di studi, nazionali ed internazionali i cui risultati sono stati resi pubblici proprio in questi giorni. In primis l’indagine commissionata da AGIS sui dati raccolti dalle ASL territoriali nel corso di quasi 2.800 eventi culturali che hanno avuto luogo tra il 15 giugno e inizio ottobre. Su 347.262 spettatori si è registrato un solo caso di contagio. Dati confermati dallo studio di Celluloid Junkie, società leader nelle ricerche di settore, che ha utilizzato una serie di strumenti di tracciamento a 360° (tra cui Google, email, LinkedIn, Twitter, Zoom ecc.), incrociato i dati di esercenti, organismi governativi (tra cui, UNIC, NATO, e altri) e militari oltre a interviste e database, secondo nessun singolo caso di Covid-19 in tutto il mondo può essere ricondotto a un cinema, multiplex o spazio pubblico adibito a cinema.

Ma c’è di più. Entrambi gli studi sottolineano come le sale cinematografiche non siano in alcuno modo veicolo di trasmissione del virus. Nell’unico caso individuato dallo studio AGIS infatti le autorità sanitarie hanno certificato che in seguito a tutti gli accertamenti effettuati è emersa la negatività di tutti gli spettatori entrati in contatto con lo stesso. Celluloid Junkie porta a conferma i dati della Corea del Sud, che possiede uno dei più sofisticati ed efficaci sistemi di tracciamento realizzato sin dalla nascita della pandemia. Dal 1° febbraio al 20 settembre risultano 49 ingressi al cinema da parte di persone poi risultate positive al Covid-19 (su un totale di 31,5 milioni di ingressi al cinema in quel periodo) e non risulta che alcuno dei 49 spettatori poi risultati positivi abbia trasmesso il virus ad un altro spettatore o dipendente dei cinema.

Fa riflettere a questo punto il fatto che la decisione di aprire o meno i cinema – o come nel nostro caso di applicarvi misure sempre più restrittive – sia basata più sulla politica più che sulla scienza. Basti pensare che a New York sono aperte chiese e piste di bowling (ma non i cinema), nonostante sia stata dimostrata la correlazione tra focolai e l’attività di ristoranti, locali notturni, bar, chiese.

A ognuno le sue conclusioni ma non possiamo non sottolineare come proprio nei momenti più complessi sia fondamentale ponderare le scelte più delicate per evitare conseguenze che possono essere drammatiche per un settore, come quello culturale, tra i più provati dalle ricadute economiche della pandemia.

Gli Occhi dell’Africa

Di Martina Ghersetti

La XIV edizione de Gli occhi dell’Africa, in programma nei mesi di novembre e dicembre, si presenta quest’anno in forma ridotta, a causa delle restrizioni alle quali è costretto il mondo della cultura, dopo il Dpcm del 25 ottobre scorso. Il coronavirus ha costretto Caritas diocesana, Cinemazero e l’Associazione L’Altrametà a ridisegnare i propri programmi per questa manifestazione che è nata per far conoscere, al di là degli stereotipi, le particolarità di un continente ancora poco conosciuto.

Il laboratorio per bambini dai 7 ai 10 anni “Terra d’Africa” si potrà svolgere in sicurezza nei Nuovi Spazi del Centro culturale Casa A. Zanussi di Pordenone nei sabati 7, 14 e 21 novembre, sotto la guida di Lisa Garau. Gli incontri nell’ambito dell’Università della Terza Età di Pordenone si potranno tenere in streaming, visto che le attività dell’Ute in presenza sono chiuse fino alla scadenza del Dpcm: informazioni telefonando al numero 0434 365387. L’11 novembre, ore 15.30, ci sarà il collegamento per seguire il viaggio in Botswana di Ruggero Da Ros. Il 24 novembre sarà la volta dell’Etiopia, con un video di Renata Mezzavilla e Lino Filipetto. Nel caso in cui i termini del Dpcm dovessero estendersi dopo il 24 novembre, l’incontro sull’Uganda sarà ugualmente in streaming il 30 novembre, sempre curato da Ruggero Da Ros. In dicembre sono in programma due pellicole: la prima, martedì 1 dicembre, è il documentario/inchiesta “Rouge Ivoire”, realizzato da Videe: ripercorre gli avvenimenti degli ultimi 10 anni di storia della Costa D’Avorio, in cui si ricordano i fatti che hanno portato un Paese prima considerato tra i più stabili dell’Africa Subsahariana a vivere in una profonda instabilità politica ed economica, con la conseguente fuga in massa dei giovani verso l’Europa.

La seconda proposta, in programma mercoledì 9 dicembre, è il film “Non conosci Papicha”, una produzione franco algerina della regista Mounia Meddour, premiato con due César: miglior regista esordiente e miglior speranza, alla protagonista Lyna Khoudri.

CortoCircuito FVG

Di Alessandro Venier

Mentre scrivo questo pezzo le luci dei cinema si sono spente, le serrande abbassate. Il tempo si sospende, un’altra volta. La situazione è complessa, drammatica. Non solo per le città, per le grandi piazze, per i multisala, ma anche e soprattutto per quei piccoli cinema di provincia, le sale di seconda visione, quelli schermi che si stringono attorno alle comunità di paese, ultimi avamposti di resistenza cinematografica. Sono chiusi anche loro, in questi giorni, come tutti. Hanno provato l’esperienza della convivenza con il Covid19, dimostrando organizzazione, lucidità, attenzione. E sono pronti a ripartire, non appena sarà possibile, a rimboccarsi le maniche, a sorridere, ancora una volta. Sono i cinema di Circuito Cinema: Corto Circuito FVG, progetto finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia, in collaborazione con il Fondo Audiovisivo del FVG e Cinemazero, con il contributo di CiviBank. Sono gli schermi di Casarsa della Delizia, Codroipo, Cervignano del Friuli, Cormons, Maniago, San Daniele del Friuli, San Vito al Tagliamento, Spilimbergo. A loro spetterà il compito di riportare nelle cittadine il cinema di qualità, quello mainstream e quello meno conosciuto, quello per famiglie e quello vicino al territorio. Proprio il territorio regionale è uno dei punti saldi del progetto che, grazie alla partnership con il Fondo Audiovisivo del FVG e la collaborazione con ALA – associazione lavoratori audiovisivo, ha l’obiettivo di selezionare e far circolare nelle sale, una volta al mese, i film girati e prodotti in Friuli Venezia Giulia, ampliando poi il concetto di territorio anche alla vicina Slovenia, alla Croazia, all’Austria. Un obiettivo che non si ferma alla semplice proiezione, ma che vuole coinvolgere – come del resto avvenuto anche nelle precedenti edizioni – anche i protagonisti, invitando così registi, attori e maestranze ad accompagnare in sala il proprio film. Per aprire la rassegna era stato selezionato Paradise di Davide Del Degan, film che con ironia e saggezza, racconta il sogno di una nuova vita, di nuove possibilità, di speranza. La stessa speranza che auspichiamo affinché il tour di Paradise possa riprendere, quando sarà possibile, lì dove si è bloccato, nei cinema del Friuli Venezia Giulia, quei cinema che sono pronti ad accogliere il pubblico, a sognare possibilità, a ripartire. Un’altra volta.