Il “cinema” di Nico Naldini
Dove la mano dell’uomo non aveva messo piede …
sentieri di cinema!
A tre anni esatti da quel 9 settembre 2020, in cui Domenico (detto Nico) Naldini ci ha lasciato, il Comune di Casarsa gli ha, doverosamente, intitolato la Biblioteca Civica situata nella nuova e prestigiosa sede di Palazzo Burovich de Zmajevich. Ma Nico Naldini non è stato solo poeta e scrittore.
Nella sua unica, pienissima e lunga vita è stato molto altro, anche se affettuosamente il cugino Pier Paolo Pasolini, a proposito delle sue poesie, scriveva: “Quel Naldini che pare non osi nemmeno esistere.”.
Sette anni separavano Nico Naldini da Pier Paolo Pasolini. Nico era nato il 1° marzo 1929 a Casarsa, in Friuli, da Enrichetta Colussi e Antonio Naldini, pilota di auto da corsa, mentre Pier Paolo era nato il 5 marzo 1922 a Bologna da Susanna Colussi, sorella di Enrichetta, e da Carlo Alberto Pasolini militare di carriera con nobili origini ravennate.
Nico Naldini “era un poeta dall’animo fanciullesco … un orso in forma umana, con la testa grossa, modi a volte fin troppo spicci, la tendenza a passare in fretta dalla gentilezza all’irritabilità, se qualcosa non gli andava bene.” come scrisse Alessandro Mezzena Lona in DoppioZero, l’11/09/2020, e rimase, volutamente, sempre un passo dietro al cugino fino alla sua morte. Forse per la sua profonda timidezza o forse per scelta, per non mettere mai nell’ombra le persone a cui teneva tanto.
Ma Nico Naldini aveva anche quella sferzante e contemporaneamente delicata capacità di narrare gli altri senza nulla nascondere, compresa l’orientamento sessuale: «L’omosessualità è una cosa che ha un suo intimo labirinto. È essa stessa un labirinto.» aveva dichiarato una volta.
Dopo l’università a Trieste andò a Milano come direttore editoriale della Longanesi, per trasferirsi infine a Roma, agli inizi degli Anni Settanta dove, come ebbe a dichiarare Naldini stesso, «… con manovre tipiche di un Eugène de Rastignac da strapazzo mi sono conquistato le simpatie di un grande produttore come Alberto Grimaldi…». Al soldo di Grimaldi, Naldini svolgeva un delicato lavoro di selezione dei moltissimi progetti che piovevano sulla scrivania del produttore; un assistente/collaboratore di fiducia con mansioni che comprendevano anche l’addetto stampa.
Affermava con orgoglio e civetteria di essere stato «un ruffiano sopraffino» al servizio di quello che, nella seconda metà degli Anni Settanta, produsse in Italia tutto il cinema migliore: da Sergio Leone a Federico Fellini, da Bernardo Bertolucci a Pier Paolo Pasolini, Petri, Ferreri ed altri ancora.
A proposito di Fellini affermò una volta: «Gli ho fatto da ruffiano per tanto tempo. Giulietta Masina mi voleva bene perché sapeva che quando usciva con me poteva stare tranquilla. Divenne anche madrina del premio Comisso e ci veniva volentieri, con Fellini.».
Con Alberto Grimaldi il cinema italiano godrà di una irripetibile stagione di
libertà creativa unita ad ingenti capitali che permetteranno di realizzare opere come Novecento di Bertolucci o Casanova di Fellini. «Nel cinema giravano molti più soldi che nell’editoria – sottolineava con beffardo sorriso Naldini – dunque molte più invidie e ghigliottine fra cui quella di rifiutare di produrre una Dama delle camelie proposta da Franco Zeffirelli».
Naldini raccontava che Grimaldi non andava mai sui set dei film che produceva, restava sempre in ufficio circondato da una serie di telefoni per parlare con le Major americane e farsi anticipare capitali attraverso prevendite dei diritti di sfruttamento delle pellicole. «Il mio ufficio era quello delle sofisticazioni maligne, oltre che delle esecuzioni: dalla sceneggiatura dovevo tornare al trattamento, con tutti gli ingredienti che piacevano ai finanziatori americani. Un lavoro perverso.» disse Naldini a proposito della preparazione dell’abstract dalla sceneggiatura di Salò e le 120 giornate di Sodoma da sottoporre agli americani senza spaventarli. Grimaldi all’epoca cercava un fotografo di scena per il film di Pasolini che fosse discreto, fuori dai giri romani, che non facesse trapelare nemmeno un’immagine prima dell’uscita del film. Naldini suggerì una giovane fotografa inglese, del tutto estranea ai giri romani, discretissima oltreché brava e sensibile. Fu così che Deborah Imogen Beer divenne l’unica fotografa ufficiale dell’ultimo tormentato lavoro di Pasolini Salò e le 120 giornate di Sodoma. Tutte le immagini della Beer sono ora custodite in un fondo presso gli archivi di Cinemazero.
Nel mondo della celluloide Nico Naldini cedette anche, nel 1974, alla tentazione della regia con Fascista, documentario prodotto, ça va sans dire, da Alberto Grimaldi, che suscitò all’epoca non poche polemiche. “Naldini ha preso delle decisioni stilistiche direi ferree nel progettare il film. Niente retorica antifascista, niente facile ‘ridicolo’ sul fascismo, rappresentazione del fascismo attraverso materiale elaborato dai fascisti stessi, cioè attraverso la loro idea falsa e vera di sé. […] Materiali che si accumulano, e infine esplodono in una espressività abnorme e involontaria. È stato un terribile gioco, e il film di Naldini gioca con questo gioco. Per questo è un film bellissimo. Ma anche pericoloso, perché sono i destinatari in buona fede che accettano il gioco. Quelli in cattiva fede fanno il ‘loro’ gioco, cioè, come si sa, non sanno giocare. Il fascismo è un tetro comportamento coatto.” scrisse acutamente Pier Paolo Pasolini in “Il Messaggero” del 17 ottobre 1974.
Il documentario di Naldini, dopo decenni di oblio, nel 2021 è stato restaurato in 2K ed editato in dvd grazie alla Grimaldi Film, CG Entertainment e, naturalmente, Cinemazero.
Nico Naldini continuò a sfiorare il cinema anche nel suo ultimo trasferimento a Treviso, dove faceva il pendolare con Sidi Bou Said in Tunisia, e dove scrisse praticamente tutta la sua produzione letteraria. Fece da consulente nel 2014 per Abel Ferrara impegnato a girare Pasolini, un film che si interrogava sulla tragica fine del poeta, interpretato da Willem Dafoe. Mentre, a pochi mesi dalla morte, con la sua consueta verve, fece da voce narrante nel documentario In un futuro aprile. Il giovane Pasolini diretto da Francesco Costabile e Federico Savonitto, sugli anni difficili e incantati della giovinezza in Friuli. Impegni assolti per amicizia, come spesso gli accadeva. Una frase di La Rochefoucauld che sottoscriveva in pieno e che meglio lo ritrae dice che “Il più grande sforzo dell’amicizia non è quello di mostrare i nostri difetti a un amico, ma quello di fargli vedere i suoi.” Nico Naldini l’ha posta nel testo introduttivo del suo Alfabeto degli amici del 2004 come franca ma delicata dichiarazione d’amore verso il prossimo.