Il cinema è morto! Viva il cinema!
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Dove la mano dell’uomo non aveva messo piede …
sentieri di cinema! _______________________________________________________________
Di Andrea Crozzoli
Già i fratelli Auguste e Louis Lumière dissero: «Il cinema è un’invenzione senza futuro!», ed era il 1895. Alcune decadi dopo la muta invenzione acquistò la voce, divenne sonora, e tutti subito a prefigurare come questo distruggesse la perfezione del silent cinema portandolo inesorabilmente alla morte.
Arrivò poi, negli anni ’50 del secolo scorso, la televisione e giù tutti a ribadire nuovamente che il cinema era destinato a morire.
Con l’avvento in Italia, alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, delle televisioni private e della marea di film trasmessi quotidianamente la morte del cinema in sala è diventato un tormentone ricorrente quanto stucchevole.
Di fronte al suo presunto/dichiarato e reiterato decesso il cinema ha pensato bene di comportarsi, nel corso degli anni, come una materia mutante, inafferrabile, rimanendo però sempre, assieme a tv ed entertainment, uno dei settori strategici per l’economia. Basti pensare che il mercato europeo degli audiovisivi ammonta a circa 200 miliardi di euro annui mentre l’aerospaziale e la difesa sono 260 miliardi di euro annui.
Se “il futuro influenza il presente almeno quanto il passato” come scrive Daniele Vicario nel suo interessante pamphlet “Il cinema, l’immortale” (Ediz. Einaudi), cerchiamo qui di riflettere sul passato per tentare di capire quale futuro per la sala cinematografica ci aspetta.
Cinemazero ha iniziato la sua avventura alla fine degli anni ’70, quando le sale cinematografiche in Italia dalle 14.000 del 1965 erano passate a poco più di 1.000. Nemmeno Pordenone si sottrasse a questa infausta tendenza e uno dopo l’altro i cinque cinema pordenonesi tra gli anni ’70 e ‘90 chiusero i battenti.
Per converso nel momento in cui il cinema in sala veniva declinando si istituzionalizzava nelle università. Le estetiche ad esso legate venivano accolte nelle accademie, nei nascenti dipartimenti di cinema e dello spettacolo (è del 1971 l’istituzione del Dams a Bologna) sfornando schiere di solidi cinefili disoccupati.
Ma come riuscì Cinemazero ad affermarsi in un tale scenario?
Dopo oltre quaranta anni di attività si può affermare, con una certa sicurezza (il margine di errore non si può mai escludere), che il successo arrivò grazie ad un’identità forte impressa alla sala cinematografica. Un’identità non casuale ma fortemente voluta e dichiarata nello stesso volantino che annunciava la nascita di Cinemazero: «… decodificare il linguaggio, comprendere i meccanismi di manipolazione per una fruizione sempre meno passiva e acritica…».
Un’affermazione inconfutabile della funzione sociale della sala cinematografica e del suo valore culturale unito ad una programmazione che ha costruito nel corso del tempo un pubblico solido, preparato e affezionato. Un pubblico con il quale si è condiviso costantemente il piacere della scoperta, della visione, dell’arricchimento attraverso la conoscenza. Perché conoscere il linguaggio cinematografico significa decodificarlo ma anche farlo proprio interpretandolo.
La sala cinematografica quindi non come bancomat dell’intrattenimento ma come presidio culturale dove coltivare la conoscenza del linguaggio del cinema unita anche alla libertà d’interpretazione del “testo filmico”. Attività che pongono anche, come obiettivo, l’insegnamento del cinema nelle scuole.
Così come si è navigato contro corrente nel momento delle chiusure delle sale cinematografiche negli anni ’80 e ’90, Cinemazero dovrà proseguire, in questo momento di grandi cambiamenti, il suo lavoro contro corrente di presidio culturale, mantenendo e consolidando i forti legami costruiti nel tempo con il suo pubblico motivato e affezionato, senza tralasciare il dialogo con le nuove generazioni; il tutto attraverso una programmazione forte, svincolata da mode effimere, di cassetta o da algidi algoritmi.
Supereremo così anche quel gap che ha fatto registrare alla riapertura delle sale post pandemia un Box office dei cinema europei nel 2021 con un +42% rispetto al 2020 mentre in Italia ha segnato un misero -7% (https://www.unic-cinemas.org) dato quest’ultimo che ha sconcertato tutto il comparto del cinema italiano.
Se a questo aggiungiamo l’assalto delle piattaforme (che già nel nome – piattaforme, ovvero forma piatta – denunciano il depauperamento del territorio della sperimentazione e della ricerca del linguaggio e della forma) nuovo business orientato esclusivamente ad acquisire abbonati a circa 100 euro annui a piattaforma per un mero consumo solipsistico di cinema, dove l’ulteriore visione è suggerita da algoritmi basati su ciò che lo spettatore ha già visto, tenendo conto solamente del soggetto o genere. Ci rendiamo immediatamente conto che, con tale scenario, solo la sala dalla forte connotazione come presidio culturale e di aggregazione sociale può avere un futuro. Questo per quanto riguarda la sala. Sul cinema tout court invece prendiamo a prestito le parole del maestro Bernardo Bertolucci ovvero: «qualcosa che mi piace pensare che resti inafferrabile: il mistero del cinema».