Il cinema italiano alla Berlinale 2024

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              Dove la mano dell’uomo non aveva messo piede …

                                                                     sentieri di cinema!

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Di Andrea Crozzoli

Nasce a Berlino nel 1951 l’International FilmFestSpiele, il primo grande appuntamento cinematografico festivaliero aperto soprattutto al vasto pubblico di appassionati. La Mostra del Cinema che si svolge al Lido di Venezia, un’isoletta della laguna, è rivolta infatti principalmente a critici ed operatori del settore. Lo stesso vale per il Festival di Cannes che è accessibile in maniera praticamente esclusiva a stampa e professionisti del settore; la gente al massimo si assiepa dietro le transenne per vedere i divi entrare al cinema. Berlino invece, con i suoi attuali oltre duecentomila biglietti, è l’unico vero festival di cinema aperto al pubblico di appassionati. Non è un caso che dopo sole venti edizioni l’International FilmFestSpiele nel 1971 ha partorito anche il Forum, quel “Forum internazionale del giovane cinema” vero e proprio contraltare al concorso ufficiale, entrato a far parte integrante del festival proponendo film sperimentali e documentari provenienti da tutto il mondo, con particolare attenzione alle opere dei giovani registi. Un contraltare che, come viene specificato, «non vuole proporre una lista del “best of” ma l’affermazione di un pensiero, uno sguardo che rifiuta il compromesso».


Uno sguardo e una riflessione quindi sul mezzo cinematografico, sul discorso socio-artistico e su un senso particolare per l’estetica per indagare i confini delle convenzioni ed aprire nuove prospettive. La sezione Forum è stata fondata dagli Amici della Cineteca tedesca capeggiati dalla storica coppia Ulrich ed Erika Gregor, che hanno guidato il Forum fino al 2001 e ne hanno plasmato notevolmente l’identità tanto da poter affermare, come disse una volta lo stesso Ulrich Gregor, come il Forum abbia mostrato e diffuso forme cinematografiche fino ad allora poco conosciute o sotto rappresentate e abbia così evidenziato “la molteplicità e la complessità dei nuovi stili cinematografici tra cinema d’avanguardia, film narrativo e documentario”. Numerosi sono stati i registi che nel corso del tempo hanno presentato il loro film d’esordio al Forum, come Jacques Rivette, Chantal Akerman, Theo Angelopoulos, Jim Jarmusch, Béla Tarr, Aki Kaurismäki, Ken Loach, Nagisa Oshima, Yilmaz Güney, Atom Egoyan, Manoel de Oliveira, Andrei Tarkovsky, Derek Jarman, Raúl Ruiz, Ousmane Sembène, Wong Kar-wai, Margarethe von Trotta, Peter Greenaway, Claire Denis, i fratelli Dardenne e molti altri sono transitati con i loro primi lavori al Forum.

Oggi il Forum continua il percorso dedicato al cinema dei paesi emergenti, ai documentari e ai film sperimentali, ai film anti-cinema così come ai film di serie B e alle forme meno “rispettabili” di cinema. Nel 2008 intanto gli Amici della Cineteca diventano Arsenal–Institute for Film and Video Art e il “Forum internazionale del giovane cinema” diventa semplicemente il Forum.

Per la 54ma edizione del Forum 2024 l’Italia è presente con l’anteprima mondiale di Il cassetto segreto di Costanza Quatriglio, regista che ha esordito con il pluripremiato L’isola, presentato nel 2003 a Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs. Nel 2013 alla Mostra di Venezia ha presentato Con il fiato sospeso con il quale ha ottenuto svariati riconoscimenti. Ha vinto il Nastro d’Argento con Terramatta sempre nel 2013 e con Triangle nel 2015, mentre 87 ore ha ottenuto il Nastro d’argento speciale nel 2016. Nel 2018 è uscito Sembra mio figlio, lungometraggio presentato al Festival di Locarno e vincitore, tra gli altri, di un Ciak d’oro. I suoi film più recenti sono La bambina che non voleva cantare e Trafficante di virus.

Last but not least, lo scorso anno Costanza Quatriglio è stata anche giurata del PordenoneDocsFest.

Il cassetto segreto è un racconto biografico che parte dalle mura di casa e abbraccia la Sicilia, l’Europa e il mondo, in un secolo di storia. Nel gennaio 2022, Costanza Quatriglio apre le porte della casa dov’è cresciuta, per donare alla Regione Siciliana l’importante universo di libri e documenti appartenuto al padre giornalista, quel Giuseppe Quatriglio, firma storica del Giornale di Sicilia, oltre che scrittore, saggista, amico di uomini di cultura del Novecento. L’archivio di Giuseppe Quatriglio svela, attraverso fotografie, filmati amatoriali 8mm, registrazioni sonore realizzate dagli anni ‘40 in poi in Europa e nel mondo, e le riprese effettuate dalla figlia nonché regista Costanza tra il 2010 e il 2011 con lui quasi novantenne, una memoria personale e collettiva che si mescola in un fitto dialogo tra presenza e assenza. «La scoperta di oltre 60.000 negativi fotografici scattati da mio padre dal 1947 in poi, decine di bobine 8mm e centinaia di ore di registrazioni sonore, mi ha fatto comprendere che avevo la possibilità straordinaria di realizzare un film che ponesse al centro un intreccio di vicende e vite vissute che riverberano nella storia di noi tutti. – ha dichiarato la regista – Così la casa dove sono cresciuta è divenuta il set per un racconto personale e articolato che si dipana dalle sue mura per abbracciare la Sicilia, l’Europa e il mondo, in un secolo di storia. Come nelle tracce ritrovate ho riconosciuto la mia stessa educazione sentimentale, allo stesso modo portare il cinema nella mia casa mi ha permesso di compiere un passaggio di trasfigurazione e comprensione profonda del tempo del distacco.». Palermo, quindi, e la Sicilia, con la loro storia e la loro cultura, sono il punto di osservazione del mondo da cui tutto parte e a cui tutto torna. Un cassetto da cui escono i ricordi di un papà e di una bambina. Ma anche inaspettati incunaboli come la voce di Carlo Levi, di Jean Paul Sartre, la stretta amicizia con Leonardo Sciascia. E le foto di Anna Magnani, Cary Grant e Ingrid Bergman, l’auto scatto mancato con Enrico Fermi, e quel disegno di Renato Guttuso e i pomeriggi con il poeta Ignazio Buttitta. Ma anche il terremoto del Belice e il muro di Berlino, la Parigi e l’America degli anni Cinquanta. Su e giù per il Novecento, su e giù per il mondo. Il mondo di Giuseppe Quatriglio – “Instancabile ricercatore di cose siciliane”, come lo definiva l’amico Sciascia – è stato un punto di riferimento per il giornalismo in Sicilia, ma non solo. Grande viaggiatore, è stato corrispondente in America e ha collaborato con molte importanti riviste italiane. Accanto al giornalismo, la letteratura: Quatriglio è stato finalista Strega nel 2000 con Sabìr oltre ad essere noto soprattutto per Mille anni in Sicilia, tradotto in più lingue e ancora nelle librerie. Ma anche la fotografia (premio Pannunzio per il giornalismo fotografico), è stato un modo per Giuseppe Quatriglio di raccontare il mondo e diventarne testimone d’eccezione. Il suo archivio e i suoi cassetti raccontano tutto questo: il “Fondo Giuseppe Quatriglio” per la sua grande rilevanza storica è stato dichiarato di “Interesse culturale” dalla Soprintendenza archivistica della Sicilia – Archivio di Stato di Palermo.

BERLINALE 2024 – ANOTHER END DI PIERO MESSINA IN CONCORSO

Intervista di Marco Fortunato

«Another End è un film che abbiamo immaginato sin dall’inizio come “internazionale” a partire dal cast che abbiamo coinvolto insieme a Piero Messina e dalla scelta di girarlo interamente in inglese, aspetto che comporta numerose complessità.» a parlare è Francesca Cima, cofondatrice di Indigo Film, che incontriamo poco prima della sua partenza per Berlino, dove accompagnerà il film in concorso alla prossima Berlinale.

Francesca Cima

Tra pochi giorni prenderà il via la 74esima edizione del FilmFestSpiele di Berlino, che si svolgerà nella capitale tedesca dal 15 al 25 febbraio prossimo, un appuntamento importantissimo per il cinema mondiale in cui la Indigo Film sarà protagonista con Another End di Piero Messina, in corsa per l’Orso d’Oro.

«Per noi è una grande gioia portare un film a Berlino. Solo pochi mesi fa abbiamo inaugurato la Mostra del Cinema di Venezia con Comandante di Edoardo De Angelis ed essere nuovamente presenti ad un altro dei festival cinematografici più importanti al mondo significa tenere alta l’asticella sia da un punto di vista produttivo che artistico. Il suo inserimento nella sezione più prestigiosa – quella del concorso ufficiale – rappresenta una grande soddisfazione, non solo per Indigo, ma direi per tutta la filiera produttiva del nostro Paese, di cui viene riconosciuta l’eccellenza.»

Questa è un’opera seconda, voi avevate prodotto anche il film d’esordio di Piero Messina, L’attesa, presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2015. Come avete scoperto il talento di questo autore?

«Piero si è formato al Centro Sperimentale di Cinematografia, come molti degli autori italiani che abbiamo seguito in questi anni, e poiché siamo convinti che la formazione qualificata sia fondamentale, per noi è stato quasi naturale tenerlo “sotto osservazione”. All’inizio aveva collaborato con Paolo Sorrentino è questa è stata per lui l’occasione di dimostrare il suo talento e la sua sensibilità, che noi gli abbiamo poi dato l’occasione di approfondire quando ci ha sottoposto il suo primo progetto di lungometraggio.»

Anch’esso a forte vocazione internazionale e molto ambizioso, in senso positivo, considerato che la protagonista è il premio Oscar Juliette Binoche.

«Sì, ed è stata la conferma che avevamo visto giusto, e che quella sensibilità artistica – che in qualche modo avevamo intuito – poteva essere tradotta e funzionare sul grande schermo. Credo che una delle sue doti migliori sia quella di saper creare emozioni ed atmosfere attraverso le immagini, con un uso sapiente e ponderato dei dialoghi. Il fatto che la Binoche abbia accettato di prendere parte al progetto, benché fosse un’opera prima, credo sia un altro segnale dell’evidenza di questo talento.

Anche in Another end potremmo trovare questo lavoro sull’atmosfera? Ci sono altri collegamenti con L’attesa da un punto di vista stilistico e narrativo

«Assolutamente. Oltre all’aspetto della messa in scena vi è un forte legame anche a livello narrativo. Anche se in questo caso [quello di Another end n.d.r.], infatti, il racconto ruota intorno al concetto di perdita e di memoria, all’impatto che ha la scomparsa di una persona cara sulla vita di chi rimane e ai possibili strumenti per elaborare il lutto. Quello che cambia è il contesto. A differenza del suo primo film dove ci si muoveva nel presente e nel passato qui ci muoviamo in un futuro distopico, nel quale esistono delle nuove tecnologie che ci permettono di mantenere un contatto con chi non c’è più. Per questo da un punto di  vista tecnico potrebbe essere iscritto nei film di fantascienza, ma ovviamente non è così, o almeno non solo.

In che senso?

«È un film che sa legare più generi. Ci parla di un mondo che (ancora) non esiste, di possibilità che oggi non abbiamo ma che affondano in un desiderio molto concreto, intimo e direi universale, quello di capire che cosa resta di noi, cosa può sopravvivere all’esistenza terrena. Ma dal mio punto di vista Another end è anche e forse prima di tutto una storia d’amore, raccontata con grande autorialità. E ciò è merito di un grande lavoro in fase di scrittura, non a caso il soggetto – scritto dallo stesso Messina con Giacomo Pezzotti – ha vinto il Premio Solinas.

Hai parlato di “universalità”, è questa la chiave per rendere un film appetibile per una platea internazionale?

«Quella dell’universalità è l’ambizione di molti progetti. A fare la differenza credo sia soprattutto la capacità di padroneggiare il linguaggio cinematografico, di reinterpretare, come in questo caso, i topos del genere in maniera originale, ispirandosi al passato ma creando qualcosa di unico. Mi spiego, il rischio con una storia di questo tipo era quello di tentare di imitare Matrix mentre la sfida, anche dal punto di vista produttivo è stata quella di realizzare qualcosa di completamente diverso.

Da questo punto di vista, quello produttivo, qual è stata la difficoltà maggiore?

«Se in Comandante la difficoltà risiedeva nel ricreare qualcosa che non esiste più (un sottomarino degli anni Quaranta), qui la complessità era quella di dare vita ad un mondo che non esiste ancora, ma in maniera credibile. Abbiamo utilizzato diversi strumenti ma [ride] non posso dirvi troppo, lo capirete vedendo il film!

Incrociando le dita per Berlino, chiudiamo con uno sguardo sul cinema italiano che, forse per la prima volta da tanti anni a questa parte, non viene additato come in crisi. Tu che prospettive vedi nel prossimo futuro?

«Io sono molto ottimista. A parte il fatto che lo sono di natura, credo che stiamo vivendo un momento molto ma molto positivo non solo per il cinema italiano ma direi per il cinema in generale e dunque sarebbe sciocco non esserlo. Vedo che è riemersa con forza la volontà di vivere l’esperienza cinematografica, di guardare un film sul grande schermo, anche da parte del pubblico dei più giovani. Personalmente non ho mai creduto che il cinema potesse morire, anche se in molti l’avevano annunciato. Il cinema, anche se soprattutto italiano, ha una storia lunghissima, complicata a volte, ma ricca di successi frutto della sua capacità di affrontare grandi difficoltà che sembravano insormontabili. Ecco a chi è pessimista vorrei lanciare l’invito a rileggersi questa storia.

In effetti la settima arte ha dimostrato di saper esprimere qualcosa di positivo anche in tempi difficilissimi come quelli del lockdown.

«Esatto, la pandemia da questo punto di vista ha anche portato un vantaggio, nella misura in cui ha creato l’occasione per cui alcune persone fossero nelle condizioni di avere il tempo di (ri)scoprire il piacere della visione, a partire dalle serie tv, che sono diverse dai film, ma sono pur sempre un racconto per immagini.

In questo senso quanto è importante il ruolo dei produttori?

«Fondamentale, direi, ma ovviamente il discorso è ampio e riguarda l’intera filiera cinematografica che in questi ultimi anni è cresciuta e si è sviluppata grazie soprattutto a politiche illuminate, come la legge Franceschini di cui oggi raccogliamo i frutti. I successi di Le otto montagne, La stranezza ma anche Io, capitano non nascono per caso, sono frutto di progetti di lungo periodo che sono stati sostenuti e il pubblico ha imparato a riconoscere ed apprezzare. Vedo l’affermarsi di questa maggiore consapevolezza negli spettatori, anche più giovani, e credo che dovremmo focalizzarci su questo per consolidare la ripresa e magari migliorarla ancora. Ricordandoci però che la ricetta perfetta non esiste, il pubblico ti sa sempre sorprendere, per questo dobbiamo proseguire nel nostro impegno di offrirgli ogni volta qualcosa di nuovo e di qualità.

Pordenone Docs Fest 2024

Dal 10 al 14 aprile con la XVII edizione di Pordenone Docs Fest Le Voci del Documentario, il festival di Cinemazero che ogni anno porta a Pordenone il meglio del cinema del reale internazionale, la città torna capitale del documentario, palcoscenico esclusivo di storie in anteprima nazionale che raccontano il mondo al di là dell’informazione accessibile tramite i diversi mezzi di comunicazione.

«Metteremo al centro i diritti delle donne e dei minori, illuminando storie poco note, ma non per questo meno importanti. Le faremo conoscere a un pubblico attento, desideroso di andare oltre ciò che viene raccontato quotidianamente dall’informazione generalista. Un pubblico che ogni anno si aspetta visioni mai banali e luci sia su temi capitali che ignoti, tenendo come bussola la qualità cinematografica e l’importanza delle testimonianze, con l’ottica di una ricaduta sociale tramite il documentario» – Dice il curatore Riccardo Costantini. – «Cinemazero non poteva quindi non rendere omaggio – con una retrospettiva, una tavola rotonda e molti ospiti – a Franco Basaglia, a cento anni dalla sua nascita. E per noi questo evento non è un semplice anniversario rivolto al passato ma soprattutto un monito per il nostro presente, una freccia lanciata verso il futuro. Ecco perché Franco Basaglia ha 100 anni, indicativo presente, qui e ora. In Friuli, in Italia, nel mondo. Perché Basaglia è stata una delle figure più internazionali che la cultura e la società italiane abbiano saputo esprimere dagli anni Sessanta ad oggi: le sue ricerche, le sue azioni, le sue idee sono vive ed attive dovunque ci sia una volontà riformatrice della società, dovunque ci sia un pensiero critico e libertario».

A questo intellettuale cardine della storia del Novecento il festival dedica una retrospettiva, anche itinerante nei cinema del Friuli Venezia Giulia e poi in Italia, ricostruendo molte delle tappe del “viaggio basagliano” che ha Trieste e Gorizia come luoghi fondamentali. L’iniziativa, sostenuta dalla Regione Friuli Venezia Giulia, s’inserisce anche nei percorsi culturali di “Go2025! – Gorizia / Nova Gorica capitale europea della cultura”. Per la parte filmica è a cura di Federico Rossin, ed è frutto di lunghe ricerche nei principali archivi. Si tratta di un programma con un taglio pedagogico rivolto soprattutto alle nuove generazioni, che con prodotti televisivi e cinematografici, italiani e internazionali, racconta la vicenda umana e politica di Basaglia e del movimento antipsichiatrico, accompagnata da una pubblicazione che contiene una filmografia critica dedicata a documentario e malattia mentale con una prospettiva internazionale e trans-storica. Prevista anche la presentazione, in collaborazione con gli Archivi di Cinecittà – Istituto LUCE (nell’anno del centenario del LUCE) di Nessuno o tutti – Matti da slegare di Silvano Agosti, Marco Bellocchio, Sandro Petraglia e Stefano Rulli, versione più ampia, ricca e varia del noto Matti da Slegare, su grande schermo per la prima volta dal 1976 nella sua versione integrale ritrovata. 

Anche quest’anno, tante le anteprime nazionali presentate al pubblico e in concorso. Tra queste, Mourning in Lod della regista israeliana Hilla Medalia offre una speranza di pace per il conflitto israelo-palestinese: dall’immersione nel microcosmo di violenza, rabbia e speranza di Lod/Lydd, una delle cinque città “miste” abitate da israeliani e palestinesi, a 50 chilometri a ovest di Gerusalemme, emerge una storia incredibile che lega indissolubilmente e per sempre – in un dono d’amore e di futuro – le famiglie delle due parti in causa.

Con il commovente Mediha di Hasan Oswald (che sarà presente al festival), prodotto anche dall’attrice premio Oscar Emma Thompson, si riporta l’attenzione sul genocidio yadiza raccontato attraverso gli occhi e la determinazione di una adolescente (che firma molte delle riprese e parte della regia) che affronta il trauma della prigionia e della schiavitù dell’Isis – di cui è stata vittima – senza rassegnarsi, diventando protagonista e testimone del riscatto della vendita all’estero anche dei propri fratelli più piccoli.

Hiding Saddam Hussein a distanza di vent’anni fa riemergere la davvero incredibile testimonianza di un uomo semplice, un agricoltore iracheno che – obbedendo a degli ordini – tenne nascosto in casa propria il dittatore per otto mesi, nel corso di una delle cacce all’uomo più spietate degli ultimi decenni. Un racconto firmato dal regista norvegese di origine curda Halkawt Mustafa (presente al festival).

Dopo il successo di Be My Voice (e del suo tour italiano condotto da Tucker Film), vincitore del premio del pubblico al festival nel 2021, la regista svedese-iraniana Nahid Persson torna in Italia, accompagnando il suo ultimo documentario, Son of the mullah, in cui racconta la storia del giornalista iraniano Ruhollah Zam che, per l’impossibilità di esprimersi liberamente nel suo Paese, è stato costretto a raccontarne le contraddizioni dall’estero…fino a essere rapito con l’inganno e poi giustiziato dal regime iraniano. Il racconto costante della corruzione, dell’ipocrisia e della ferocia dei regimi è un esempio concreto del ruolo che il festival vuole svolgere sostenendo i film anche oltre la durata della manifestazione.

Non manca infine spazio per la leggerezza con un’altra anteprima nazionale, Alreadymade dell’olandese Barbara Visser, che racconta l’assurda storia di Fountain di Marcel Duchamp l’orinatoio più famoso di sempre, di cui la regista indaga la paternità svelando inaspettati retroscena. La riflessione sull’arte e sulla sua forza, con toni ironici e dissacranti, è anche di Soviet Barbara, altra anteprima nazionale, firmato dall’islandese Gaukur Ulfarsson’s e che vede l’“art star” internazionale Ragnar Kjartansson ricreare in pieno stile “Soviet” la soap-opera americana “Santa Barbara” in un museo moscovita di proprietà di un’oligarca, con tanto di benedizione di Putin e ospitata delle Pussy Riot, in un contrasto di denuncia e provocazione.

 Molti eventi collaterali arricchiscono come sempre l’offerta della manifestazione, che accanto alle proiezioni offre masterclass, tavole rotonde, incontri industry e approfondimenti realizzati grazie al coinvolgimento di professionisti, associazioni e ong, in particolare con un focus sul “Triangolo mancato”, cioè la grande lacuna del rapporto ordinato e coeso fra registi/produzioni, distributori ed esercenti cinematografici per quel che concerne il documentario, e la finestra sui giovani registi italiani emergenti “Italian Doc, Future!”.

Importante anche la seconda edizione di Nord Est Doc Camp, laboratorio di finalizzazione di documentari in fase di montaggio prodotti nel Triveneto e che gode del sostegno di tutte le Film Commission di questi territori, e ha visto già nella sua prima edizione uno dei film seguiti – Vista Mare – vincere il prestigioso “Festival dei Popoli” ed essere presentato al Festival di Locarno, a testimonianza della bontà del percorso di tutoraggio sviluppato.