Il piacere della visione al Cinema e in Mediateca

Al via venerdì 11 un nuovo percorso sotto il marchio de Lo sguardo dei maestri

di Elena D’Inca

In un’epoca in cui la visione di un film è sempre più in streaming e un film lo posso vedere ovunque, in qualunque momento e su qualunque device… In un’epoca in cui parlare di ‘Cineforum’ o di film in pellicola sembra solo un lontano ricordo…. In controtendenza Cinemazero ripropone il marchio Lo sguardo dei maestri per riscoprire il piacere di assistere ad una proiezione in pellicola o di un film restaurato, e di ascoltare un approfondimento sui grandi registi che hanno fatto la storia del cinema, o, ancora, anche solo per il piacere di incontrare altri appassionati cinefili e dedicare del tempo a discutere di un’arte meravigliosa: il cinema.
Il marchio Lo sguardo dei Maestri ritorna a Cinemazero con una nuova veste. Infatti la rassegna cinematografica Lo sguardo dei maestri, promossa da Cinemazero, Centro Espressioni cinematografiche e dalla Cineteca del Friuli, nata nel 1998 ed interrotta nel 2012, viene riproposto a
distanza di anni, ricordando come era diventato “simbolo” di un certo modo di vedere il cinema per il nostro pubblico. Oggi, “segnala” – in nuova forma – incontri di approfondimento critico e proiezioni di classici restaurati e in pellicola, che si alterneranno nel corso dell’anno per delineare una carrellata delle migliori opere che hanno segnato la storia del cinema internazionale. Ogni mese infatti avremo l’occasione di assistere alla proiezione di due grandi classici della storia del cinema uno dei quali in pellicola e di partecipare a due incontri di approfondimento sui registi che li hanno realizzati.
Il primo appuntamento sarà venerdì 11 ottobre alle ore 19,00 presso la Mediateca di Cinemazero con un approfondimento critico su Francis Ford Coppola a cura di Paolo D’Andrea, cultore della materia presso l’Università degli Studi di Trieste e docente/formatore di Cinemazero.

Seguirà lunedì 14 ottobre la proiezione del film Apocalypse now – Final cut, film di Francis Ford Coppola del 1979 che, in occasione del 40° anniversario del film, viene presentato in versione restaurata dall’American Zoetrope al laboratorio Roundabout. Apocalypse now è tra i film più iconici della storia del cinema, sul quale il regista Francis Ford Coppola è tornato più volte, fino ad arrivare a quella che ora considera la “versione perfetta”: “Dato che l’originale di Apocalypse Now non era solo lungo ma anche insolito nello stile e nella sostanza per un film dell’epoca, abbiamo pensato di tagliare ove possibile non solo per questioni di tempo ma anche per tutto ciò che poteva sembrare strano”, racconta lo stesso Coppola. “Una quindicina di anni dopo lo davano alla TV mentre mi trovavo in albergo, e dato che mi è sempre piaciuto l’inizio mi sono messo a guardarlo e ho finito per vedermelo tutto. Mi sono reso subito conto che il film non era strano come pensavo, ed era diventato più contemporaneo. Aggiungiamoci che molti (compreso il distributore) pensavano che fosse stato scartato tanto ottimo materiale. Tutto questo ha condotto a quello che e stato poi chiamato Apocalypse Now Redux. In quella versione veniva ripristinato tutto ciò che era stato tagliato. In seguito, quando mi chiedevano quale versione preferissi vedere in circolazione, mi capitava spesso di pensare che l’originale del 1979 fosse stato accorciato troppo brutalmente e che Redux fosse troppo lungo, così mi sono deciso a favore di quella che mi sembrava la versione perfetta, che è intitolata Apocalypse Now – Final Cut”.
L’appuntamento con la rassegna Lo sguardo dei maestri continuerà venerdì 25 ottobre in Mediateca, con un approfondimento critico, e lunedì 28 ottobre, con la proiezione in Sala a Cinemazero di un altro grande classico in pellicola. Non vi sveliamo quale sarà il prossimo classico che avremo il piacere di riscoprire, vi lasciamo con la curiosità di consultare l’intero programma sul sito di Cinemazero ( www.cinemazero.it).

Una settimana di “Muta passione”

Al Verdi dal 5 al 12 ottobre, con preapertura il 4 a Sacile e replica dell’evento inaugurale il 13

di Jay Weissberg

Sono lieto di poter dire che il programma della 38a edizione delle Giornate del Cinema Muto è sbilanciato verso la commedia, il che secondo me è sacrosanto perché abbiamo davvero bisogno di ridere e, anche se non è questa la ragione principale per cui sono così contento della sezione – curata da Ulrich Rüdel e Steve Massa – sulle origini dello slapstick europeo, devo ammettere che si tratta di una coincidenza molto fortunata. Ciò che rende questa sezione così importante è il modo in cui si prefigge di identificare le origini delle gag della commedia classica, dalla loro iniziale comparsa nel music-hall e nel vaudeville al loro proliferare nelle comiche brevi e infine nei lungometraggi, dove queste invenzioni trovano la loro forma più compiuta. Sono convinto che, grazie a questa retrospettiva, potremo meglio comprendere le origini della commedia in Europa, nonché rivelare come lo slapstick si sia sviluppato negli Stati Uniti grazie al contributo determinante di comici francesi, britannici, tedeschi, ungheresi e di altre nazionalità. Lo stesso vale per il felice ritorno delle “nasty women”, ispirate creatrici di pandemonio, la cui sfacciata irriverenza nei confronti dell’autorità in tutte le sue forme fu all’origine di uno dei
programmi più innovativi nella storia recente del festival, quando presentammo la prima serie nel 2017. Quest’anno avremo altri cortometraggi che hanno come protagoniste le simpatiche figure anarcoidi di Léontine, Cunégonde, Lea e Rosalie, oltre che alcune loro alleate
nell’arte del caos. Altre “nasty women” compaiono nei brevissimi corti ricreati da Rob Byrne, Thierry Lecointe e Pascal Fouché a partire dai flipbooks fin-de-siècle ritrovati in una collezione privata in Francia, alcuni dei quali si presentano anche come la prima occasione che abbiamo di vedere immagini in movimento di alcuni titoli di Georges Méliès considerati
perduti.
A proposito di resurrezioni: l’incalcolabile contributo di William S. Hart all’evoluzione del western e di Hollywood in generale è ormai riconosciuto da tutti, ma quando è stata l’ultima volta che abbiamo avuto l’opportunità di mettere a fuoco l’uomo Hart e la sua opera di attore e di regista? Richard Abel, Diane e Richard Koszarski hanno curato un programma di quindici film realizzati fra il 1914 e il 1918, più due frammenti, grazie ai quali potremo conoscere meglio il lato più autentico di questa personalità iconica della storia del cinema.

La sezione dei film sul cinema getta uno sguardo su come il nuovo mezzo di espressione volesse descriversi al pubblico nei primi decenni della sua esistenza, fornendoci così un ritratto senza precedenti sui modi in cui la storia del cinema fosse già scritta e riscritta quando il cinema era ancora in fasce.
Per tradizione, le Giornate si preoccupano di esplorare tutte le forme e i generi del cinema muto; dopotutto, come si farebbe altrimenti a conoscere un periodo storico – e soprattutto una forma d’arte in divenire – se guardassimo soltanto i capolavori riconosciuti? Questo intento di indagare più in dettaglio un particolare periodo e un particolare contesto sociale ha ispirato la sezione sui cortometraggi di Weimar. Documentari scientifici, cortometraggi di avanguardia e di attualità, film di educazione all’igiene e pubblicità: ecco un programma dedicato alla marginalità, ma è proprio guardando ai margini che si possono trovare gli strumenti necessari a comprendere un’età così complessa come il periodo di Weimar.
Non solo certi tipi di cinema sono spesso rimasti fuori dai libri di storia, è accaduto a volte a interi paesi. Prendiamo l’esempio dell’Estonia, una nazione con una piccola ma vivace eredità cinematografica, per lo più ignorata a causa dei disastri della guerra, dell’occupazione, e della scomparsa delle copie dei film. La direttrice del Filmimuuseum estone e la direttrice del Rahvusarhiivi filmiarhiiv (la sezione cinematografica dell’Archivio Nazionale dell’Estonia) hanno messo insieme un piccolo ma eccezionale programma di cortometraggi comici, di animazione e documentari, insieme a due lungometraggi, grazie ai quali avremo modo di ripensare ai pregiudizi che impediscono una visione più completa della storia del cinema.

Siamo entusiasti di iniziare la nostra collaborazione con il Musée Albert Kahn di Parigi, che presenta la prima di una serie di film dalla straordinaria ma ancora poco nota collezione di questa istituzione.

Famoso per il suo ineguagliabile patrimonio fotografico, il museo è il frutto di un visionario filantropo, Albert Kahn, spinto dal desiderio di intraprendere un dialogo fra le culture a inviare fotografi e operatori in tutte le parti del globo. La maggior parte dei film non sono mai stati proiettati fino ad ora; questa cooperazione può dunque trasformarsi in un vero e proprio sodalizio culturale ed è nostra speranza che questa prima tranche possa segnare l’inizio di una sezione permanente che ci consentirà di esplorare sempre nuove direzioni tematiche.

Come molti altri, ho cominciato a interessarmi agli studi di cinema perché ero un grande ammiratore delle personalità che hanno illuminato il grande schermo, e anche quest’anno non vogliamo ignorare questo aspetto vitale della cinefilia. Reginald Denny, emblematica stella degli studi Universal, riceve quest’anno un doveroso tributo, che coincide con la pubblicazione di un affascinante volume a firma della nipote di Denny, Kimberly Pucci, in cui si narra la vita eccezionale di un uomo che non fu solo un campione della commedia leggera ma anche – come è stato scoperto da poco – un inventore aeronautico, la cui attività segreta per il governo statunitense durante la seconda guerra mondiale è all’origine della tecnologia dei droni. Chi l’avrebbe mai detto?

Una sezione sulle vedettes francesi getta nuova luce sull’incantevole Suzanne Grandais, tragicamente scomparsa a soli 27 anni, e su Mistinguett, una delle personalità più celebri dell’epoca. Poi c’è Marion Davies, l’attrice sul nostro manifesto di quest’anno, nel film Beverly of Graustark, nonché la fascinosa e ingiustamente negletta diva italiana Elettra Raggi in La morte che assolve, in uno strepitoso restauro della Cineteca Italiana di Milano.
Alcuni temi del festival proseguono un percorso tracciato lo scorso anno: ecco dunque un altro lungometraggio di John M. Stahl, The Woman Under Oath, insieme all’unico rullo sopravvissuto di The Wanters. La seconda parte del tributo a Mario Bonnard approfondisce la nostra conoscenza di questo importante attore e regista italiano. La rassegna dello scorso anno sui film pubblicitari era incentrata sul tema del genere; il prosieguo è disseminato nelle varie sezioni del festival e osserva il modo in cui i cortometraggi pubblicitari giocavano con le formule narrative, spesso con risultati esilaranti. Ma non ho ancora menzionato gli eventi orchestrali! The Kid (Il monello) con la partitura di Charlie Chaplin diretta da Timothy Brock è uno spettacolo capace di infondere una speciale felicità, mentre la composizione di Neil Brand per The Lodger di Alfred Hitchcock, condotta dal maestro Ben Palmer, suggellerà la nostra ammirazione per il musicista e per il maestro della suspense. Mercoledì sera avremo la “prima” internazionale della musica orchestrale di Vladimir Deshevov, da poco ritrovata, per il capolavoro di Fridrikh Ermler’s Oblomok Imperii (Un frammento d’impero), sotto la guida di Günter Buchwald. Tutte e tre le composizioni orchestrali saranno eseguite dall’Orchestra San Marco di Pordenone, che annoveriamo da tempo fra i nostri più valenti collaboratori.
L’edizione 2019 è dedicata alla memoria dell’animatore Richard Williams. Dick occupa un posto speciale nel cuore di tutti noi alle Giornate, non solo per la splendida sigla del festival che ci ha regalato, e non solo per l’ormai leggendaria Masterclass sull’animazione che ha tenuto a Sacile nel 2003, ma
anche e soprattutto per l’irresistibile sorriso che illuminava il suo volto quando, seduto al Verdi, era deliziato dalle immagini che passavano sullo schermo. Il suo attaccamento al festival era per noi fonte di grande orgoglio, la sua amicizia un dono gioioso.

Alla scoperta del nuovo cinema

Martedì 15 ottobre a Cinemazero una selezione di film in concorso alla SIC di Venezia

In un mercato cinematografico sempre più fluido, in contuinua e costante evoluzione e spesso ingolfato dalla sovrabbondanza dell’offerta esiste uno spazio privilegiato dedicato agli amanti della scoperta del nuovo cinema d’autore. È la Settimana Internazionale della Critica, sezione indipendente della Mostra del Cinema di Venezia che grazie all’impegno del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI), che ne cura in autonomia l’organizzazione nell’ambito della Mostra, propone da diversi anni soltanto opere prime, ovvero film di autori ancora sconosciuti, che vengono proposti all’attenzione di cinefili, di addetti ai lavori e, si spera, di un pubblico sempre più ampio. Ogni anno una commissione, composta da cinque membri, seleziona sette film che corrono al Premio. Ed è proprio uno dei membri della commissione, la critica e giornalista Beatrice Fiorentino, che ci racconta di una “selezione figlia del suo tempo, in linea con il caos che agita il mondo, osserva le inquietudinidel presente sfidando comunque e sempre la forma, ripudiando il banale grazie allo sguardo illuminante di cineasti e cineaste pronti a fare nella settima arte” regalando -anche a chi non era al Lido – l’occasione di ripercorrerla. “Apre un soprendente lavoro di animazione indiano, Bombay Rose, fedele alla tradizone di Bollywood ma rivoluzionario nei contenuti mentre la chiusura (Sanctorum) è affidata al talento di Joshua Gil, che nel Messico mette in scena un Narcos apocalittico e visionario, immerso nel mistero della Natura. Sette i titoli in gara: film radicati nella Storia e nella concretezzza del reale, ma anche disponibili ad avventurarsinella dimensione del raacconto fantastico. All This Victory si proietta nell’inferno della Guerra del Libano declinandone la paura anche in senso teorico, Parthenon sovrappone in unavertigine visiva i destini di tre personaggi che si muovono tra Sudan, Grecia, Ucraina e Turchia; El Principe, ambientato nel Cile del 1970, esplora corpi, desirio e dinamiche di potere in un dramma carcerario di richiamo genettiano, mentre Psykosia, raffinato thriller psicologico interpretato da un magnifico tris di attrici, si addentra nei labirinti della mente, tra senso di colp, eros e morte. Con Rare Beats, Billie Piper esordisce alla regia ribaltando i canoni della rom-com, Scales denuncia la condizione femminile nel mondo arabo grazie a una “sirenetta”eroina di una insolira fiaba in bianco e nero. A rappresentare l’Italia è Tony Driver, film anti-Trumpiano che ribadisce l’assurdità dei muri, dei fili spinati e delle frontiere, oltre ai nove corti di Sic@Sic, sezione nella sezione che da quattro anni scommette sul cinema italiano del futuro. “

Giovedì 15 ottobre, grazie al progetto di decentramento, organizzato dalla FIGE e sostenuto, tra gli altri, anche dalla Regione FVG, la SIC sbanca a Cinemazero, per una sera – ad ingresso libero – che permetterà al pubblico di vedere due film in concorso. Si tratta di Sayidat Al Bahr di Shahad Ameen (in programma alle 19:00) e di Rare Beats di billie Piper (alle ore 21.30). Entrambi saranno preceduti da due cortometraggi, rispettivamente Amateur di Simone Bozzelli e Destino di Bonifacio Angius.

Ambientata in un paesaggio distopico, Saydat Al Bahr è la storia di una ragazzina caparbia, Hayat, che vive in un povero villaggio di pescatori governato da un’oscura tradizione, per la quale ogni famiglia deve sacrificare la propria figlia femmina alle creature del male. Sottratta a questo destino dal padre, Hayat viene emarginata e considerata una disgrazia, eppure non si arrende e lotta per trovare il suo posto nel villaggio. Quando la madre dà alla luce un figlio maschio, Hayat deve scegliere se accettare la brutale usanza e sacrificarsi al mare, o cercare una via di salvezza. In Rare Beasts Billie Piper ci porta a conoscere Mandy, una madre, una sceneggiatrice, una nichilista. Mandy è una donna moderna in crisi. Cresce un figlionel bel mezzo di una rivoluzione femminile, cambatte il dolore per la separazione dei genitori e si trova a scrivere per lavoro di un amore che non esiste più. Si imbatte anceh in Pete, un uomo pieno di problemi in cerca della propria autostima, del proprio senso di appartenenza e di un’identità maschile da ricostruire.

Dal Generalissimo al Malkovichissimo

67 Festival di San Sebastián

di Lorenzo Codelli

Surfeando y surfeando sulle onde oceaniche delle sue stupende spiagge, in 67 procellosi anni il Festival Internazionale di San Sebastián è balzato dall’era più buia del franchismo a quella luminosissima di istituzione avveniristica attiva tutto l’anno sotto la guida dell’intraprendente José Luis Rebordinos. Un esempio, la Zine Eskola Elías Querejeta: «La escuela de los tres tiempos del cine. Centro internacional de investigación, innovación pedagógica y experimentación cinematográfica». Secondo esempio, la digitalizzazione, a fini di ricerche storiche, dell’intero patrimonio del Festival. Terzo esempio, Cine en Construcción, il mercato progettuale che permette a numerosi giovani dell’America Latina di portare a termine i film e presentarli l’anno successivo al festival basco. È il caso di Agosto del
cubano Armando Capó, un impressionistico, lirico ritratto dello sfacelo del regime castrista in seguito al crollo dell’URSS. Uno scolaro in vacanza assiste alle fughe dall’isola su imbarcazioni precarie del padre, dell’innamorata e di tanti altri disperati morti di fame. Mano de obra, satira macabra del messicano David Zonana, racconta la vendetta d’un gruppo di operai che restaurano la villa d’un nababbo, lo fanno fuori e vi s’installano formando una comunità proletaria non proprio stile Ken Loach. Il più scaltro fotte gli altri e scappa col malloppo. Un’altra parabola sociale tragicomica ne La odisea de los giles dell’argentino Sebastián Borensztein. Il grande attore Ricardo Darín capeggia un manipolo di vittime della crisi finanziaria decisi a farsi giustizia da soli. Talmente tanti i temi d’attualità, idem i fondi produttivi a sostegno dei cineasti, dal Cile al Brasile, al Messico, che pure certi furbetti occidentali abboccano. Vedi il francese Olivier Assayas con il mediocre faux-cubain Wasp Network, o l’americano Paxton Winters con il folk favelas Pacificado, immeritato vincitore della Concha de Oro 2019.

Il cinema spagnolo ha proposto un duetto speculare di epopee sulla guerra civile scoppiata nel 1936 e sull’avvento del generalissimo Franco. La trinchera infinita del terzetto basco Aitor Arregi, Jon Garaño e Jose Mari Goenaga, Concha de Plata per la migliore regia; e Mientres dure la guerra del cileno-madrileno Alejandro Amenábar. Nel primo un rosso ricercato dai fascisti si rifugia in cantina per oltre un trentennio assistendo tramite gli occhi della consorte a crimini e misfatti della dittatura. Nel secondo, il celebre scrittore e docente Miguel de Unamuño appoggia il reazionario Franco fino a pentirsene amaramente. Toni da fiction tv annacquano qua e là le buone intenzioni. Non sorprende che ogni anno a San Sebastián sia la retrospettiva a sorprenderci. Dopo la scoperta nel 2018 della britannica Muriel Box, un ennesimo choc: l’opera del genialissimo autore messicano
Roberto Gavaldón (1909-1986). Una metà circa dei suoi 55 film hanno fatto scalpore. Tra i suoi sceneggiatori, Carlos Fuentes, Gabriel García Márquez e il mitico B. Traven, e tra i suoi direttori della fotografia Gabriel Figueroa e Alex Phillips. Ai suoi comandi dal pugno fermissimo, un parco attori messicani di fama internazionale; dalle divine María Félix, Dolores Del Rio, Ariadna Welter, ai divi Pedro Armendáriz, Ricardo Montalbán, Cantinflas. Qualunque sia il genere affrontato, Gavaldón va fino in fondo, spinto da un’assenza di censura e auto-censura che tarpavano invece le ali ai cineasti hollywoodiani suoi contemporanei. Eros e civiltà si scontrano nel conradiano Sombra verde (1954). Machismo e femminismo nel cupissimo La noche avanza (1952), dal finale iperbunueliano. Capitalismo statunintense e idealismo azteco in Rosa Blanca (1972), un pamphlet politico attualissimo. Imperdibile il catalogo Roberto Gavaldón (in inglese e castigliano), a cura di Ana Cristina Iriarte e Quim Casas. Ai musei di San Sebastián traboccano le mostre. Una per tutte: Malkovich Malkovich Malkovich. Homage to the Great Masters of Photography. Il camaleontico fotografo americano Sandro Miller ha immortalato in una quarantina di pose John Malkovich, il quale meglio di Fregoli reinterpreta una parata di icone novecentesche.