La cinepresa non è una bomba molotov
di Riccardo Costantini
È stato ritrovato un documentario importantissimo, praticamente inedito, con Damiano Damiani (ricorre il centenario della nascita del regista originario di Pasiano di Pordenone) e con protagonisti anche Bernardo Bertolucci e Cesare Zavattini. “La cinepresa non è una bomba Molotov”, del fotografo, regista e giornalista tedesco Gideon Bachmann, considerato perduto dopo un solo passaggio televisivo a fine anni ’70 in Germania, torna al pubblico, proprio nell’anno dell’anniversario di Damiani, che fa da narratore e demiurgo del film.
Il documentario pone domande attualissime: il cinema può essere politicamente utile? Può causare sconvolgimento sociale? Il film è davvero una tale forza di cambiamento come si è sempre creduto, o può solo introdurre nuove abitudini, nuove mode, nuove ossessioni? A dare il titolo, “La cinepresa non è una bomba Molotov”, è una frase pronunciata nel film da Bernardo Bertolucci.
Il documentario verrà presentato a Bologna, presso l’Auditorium DAMSLab, lunedì 27 giugno alle 14:45, nell’ambito della XXXVI edizione del festival “Il cinema ritrovato”. L’introduzione è affidata a Riccardo Costantini, responsabile archivi di Cinemazero e coordinatore del festival Pordenone Docs Fest: il documentario infatti è stato restaurato dall’associazione culturale pordenonese presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata, a partire da una copia 16mm conservata dalla Cineteca del Friuli.
Protagonista, in un insolito mockumentary, è Damiano Damiani, regista, scenografo e sceneggiatore originario di Pasiano di Pordenone, scomparso a Roma nel 2013, che ha diretto, tra l’altro “Il giorno della civetta” (1968) e alcuni episodi del celebre sceneggiato televisivo sulla mafia “La piovra” (1984-95). Bachmann, per garantirsi la fiducia della produzione tedesca committente, aveva promesso di realizzare un film sulla vita del regista italiano ma durante le riprese scoprì che «Damiani era molto più interessato a lavorare con noi a un film sul cinema di strada che a essere oggetto di un normale lavoro biografico». Così è nato un grande documentario politico, fatto, prosegue l’autore «con la speranza che la politica potesse motivare i giovani e che i film potessero essere veicolo di tale motivazione. Io ero allora, come molti post-sessantotto, convinto che l’educazione e la coscienza fossero le strade future del miglioramento sociale. Io credevo ancora che il cinema fosse uno strumento di rivoluzione».
Oggi, a 44 anni di distanza, immersi in una crisi forse ancor più profonda di allora, rivedere quel documentario e ascoltare le riflessioni di grandi cineasti dell’epoca, può fornire nuovi spunti per interpretare il ruolo del cinema nella società. Per Bachmann, «ciò che i film politici possono fare per noi è darci la sensazione di non essere soli là fuori nella tempesta. Che qualcuno condivida le nostre opinioni. Il cinema può fornire solidarietà».
A seguire, dopo “La camera non è una bomba molotov”, verrà presentato “Il Carso”, cortometraggio di Franco Giraldi ritrovato e restaurato da Cinemazero, Pordenone Docs Fest e Fondazione Cineteca di Bologna, dalla copia d’epoca 35mm di Videa. Il film, prodotto nel 1960 dalla Documento Film e girato durante le vacanze di Natale del 1959 sul Carso triestino era stato dato per perduto, fino al ritrovamento da parte di Lorenzo Codelli di una copia conservata in ottimo stato negli archivi della Cineteca di Bologna. Il regista, attore, scrittore e sceneggiatore sloveno Franco Giraldi, all’epoca ex giornalista cinematografico emigrato a Roma e attivo come assistente alla regia, firmava un personalissimo, dolceamaro affresco ‘western’ sulla propria terra d’origine. Giuseppe Pinori – in seguito direttore della fotografia per Nanni Moretti, Marco Tullio Giordana, i fratelli Taviani – immortalava tramite immagini indelebili il duro lavoro quotidiano dei pescatori e dei contadini di Santa Croce / Sveti Križ. Un villaggio in rapido spopolamento, schiacciato tra il confine con la Jugoslavia di Tito e le pendici a strapiombo sul Golfo di Trieste. È del critico triestino Callisto Cosulich, anche lui emigrato nella capitale, il lirico commento fuori campo.
«In questo documentario, ma anche magnificamente nei suoi film di fiction, il Carso è un vero protagonista: non posso non ricordare lo splendido “Un anno di scuola”, film che ho amato molto e che ho visto nascere, – è il commento di Claudio Magris – Il Carso, per me e per Giraldi, diventa personaggio indissolubile dalla storia di quell’epoca: un territorio aspro, slataperiano, in contrasto con la “vecchia Europa” della città, dove i ragazzi si danno “del lei”. Vedendo questo documentario, non posso non ricordare il magnifico Carso che appare in un film che ritengo un autentico capolavoro di Giraldi, “La frontiera”. Un film bellissimo, forse il suo più bello».