LE PIATTAFORME: PROBLEMA O OPPORTUNITÀ?
Di Marco Fortunato
Attorno a questa domanda, volutamente provocatoria (e per certi aspetti inesatta, come avremo modo di approfondire in seguito) si è tenuta un’interessante tavola rotonda nell’ambito dell’ultima edizione del PordenoneDocsFest – Le Voci dell’Inchiesta nel corso della quale esercenti, direttori di festival e distributori si sono ritrovati – in modo virtuale – per ragionare prospettive e primi bilanci del rapporto tra sala cinematografica, festival e piattaforme cinematografiche.
Il tema non è nuovo e, come ha ricordato in apertura, Sonia Ragone, project coordinator di Europa Cinemas, a livello europeo esistono già diverse esperienze, con esiti e approcci molti differenti. E proprio da questa pluralità conviene partire per fare chiarezza rispetto all’inesattezza a cui accennavano all’inizio, ovvero al fatto che non esista una definizione univoca di piattaforma. Le piattaforme possono essere molto diverse tra loro, per funzionamento e soprattutto, ed è ciò che più ci interessa, per legame con le sale (o i festival) fisici. Anche da questo, probabilmente, dipende il loro successo. Per questo è forse più corretto parlare di “proposta virtuale” (per differenziarla da quella fisica). Ma andiamo con ordine.
Già durante il primo lockdown alcune sale, come ad esempio il cinema Beltrade di Milano – come ha spiegato Monica Naldi, una delle anime della struttura – hanno aperto dei propri canali VOD, cioè Video On Demand. Su queste “piattaforme” il pubblico poteva trovare una serie di contenuti, prevalentemente di distributori indipendenti, potendo addirittura scegliere quanto pagare per la visione (il cosiddetto “biglietto responsabile” grazie il quale ognuno poteva pagare secondo le proprie disponibilità). Obiettivo del progetto mantenere, anche durante il periodo di chiusura forzata, un legame con il proprio pubblico e continuare ad esercitare il proprio ruolo di operatori culturali.
Con lo stesso spirito altra sale, ha proseguito Thomas Bertacche di TuckerFilm, hanno dato vita ad un’iniziativa condivisa chiamata #IORESTOINSALA. Quest’ultima offre contenuti di prima visione a prezzi in linea con le altre piattaforme ma l’elemento innovativo è il legame con le singole sale. Non esiste infatti un’offerta della piattaforma ma tante offerte quante sono le sale perché ciascuna di esse continua a fare la propria programmazione, con sale e orari predefiniti, e i biglietti vengono acquistati mediante le biglietterie online dei singoli cinema permettendo così di sfruttare la fidelizzazione del pubblico.
Per entrambe le formule i risultati, purtroppo, stentano a decollare. Colpa probabilmente delle abitudini di acquisto del pubblico, di alcune difficoltà di comunicazione e di un sistema che, forse, ha voluto copiare, forse in maniera eccessiva, la fruizione cinematografica “fisica”. Insomma finora il rapporto tra sale e piattaforme si è rivelato più che altro un problema (nel senso che le piattaforme non hanno raggiunto che una minima percentuale del pubblico delle sale, anche di quello più fidelizzato) e pertanto andrà ripensato, se non altro nelle modalità di utilizzo.
Discorso in parte diverso vale per i festival che nelle piattaforme hanno trovato l’occasione di un’espansione del loro pubblico, in particolare al di fuori dei confini territoriali, come hanno sottolineato Sergio Fant del TrentoFilmFestival e Gaetano Capizzi di Cinemambiente. Entrambe le manifestazioni, che si sono svolte in modalità “ibrida” con alcuni eventi in presenza e altri su piattaforma, pur avendo dovuto far fronte a notevoli difficoltà tecniche si sono detti soddisfatti del feedback ricevuto dagli spettatori, pur rimarcando l’assoluta impossibilità di sostituire l’esperienza in presenza.
Proprio su questo concetto ha molto insistito Riccardo Costantini, coordinatore del PordenoneDocsFest, manifestazione costretta dalle circostanze a svolgersi in modalità totalmente virtuale. Malgrado il buon riscontro in termini di pubblico – considerati soprattutto i tempi strettissimi della “migrazione” online del festival, ha sottolineato Costantini – deve far riflettere l’enorme differenza tra iterazioni con le pagine social (oltre 300mila) e il numero di biglietti venduti (circa 2mila). È la dimensione di questa “differenza” a far emergere l’importanza e l’insostituibilità della dimensione sociale e di condivisione tipica della visione collettiva: un conto è fare un click, un altro scegliere di partecipare ad un’esperienza come quella di un festival.
Partendo da questa consapevolezza il festival ha compiuto precise scelte di campo. Da una parte quella di non prevedere delle formule di accredito, per valorizzare la singolarità della visione ed opporsi – per quanto possibile – alla svalutazione dell’audiovisivo (criticità riscontrata anche dagli altri festival) che appare come uno dei rischi più grandi della fruizione virtuale. Dall’altra quella di mettere a disposizione molti dei titoli selezionati oltre le date di svolgimento della manifestazione così da permettere un lavoro di approfondimento di lungo periodo rispetto al quale, la piattaforma – e nello specifico un canale VOD – può rappresentare una grande opportunità.
È possibile guardare la registrazione dell’intera tavola rotonda cliccando qui