giugno 2022

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Il caso Italia

Il mercato cinematografico italiano è l’unico, fra i grandi Paesi europei, ad aver registrato un calo degli incassi rispetto al 2020. Stando ai dati Cinetel nel 2021 il cinema italiano ha incassato 169,3 milioni di euro e 24,8 milioni di presenze con un calo di oltre il 70% su entrambi i fronti rispetto al periodo prepandemico (2019). E se ormai è difficile trovare qualcuno che non si sia reso conto che, più che un “caso cinema”, esiste un “caso Italia” sono ancora pochi – troppo pochi – quelli che stanno lavorando ad una possibile soluzione.

Forse uno dei problemi è che non si hanno chiari i contorni di questo “caso” ed è ovvio che tanto maggiore è la confusione che regna intorno all’origine del “caso”, tanto minore sarà la possibilità di arrivare alla sua risoluzione. Che fare allora?

Un ottimo antidoto sarebbe fare un po’ di chiarezza, avere dei dati su cui ragionare, che non possono essere solo il numero dei biglietti staccati e il corrispondente incasso. Per la prima volta la Direzione Cinema ha lanciato un avviso pubblico per commissionare uno studio qualitativo e quantitativo sul pubblico cinematografico italiano. Sarebbe utilissimo avere un “identikit” dello spettatore post Covid, speriamo solo che i dati arrivino in tempo utile e vengano utilizzati, magari per diventare la base su cui impostare una campagna promozionale prima dell’avvio della prossima stagione.

C’è poi il tema delle “windows”, le finestre di sfruttamento, il periodo in cui un film si trova (solo) al cinema. Ne abbiamo fatto riferimento spesso, sembrava un tema da addetti ai lavori, ma adesso tutti, finalmente, si stanno rendendo conto che non è così. Sarebbe bastato, mesi or sono, dare ascolto al pubblico che di fronte alle locandine dei nuovi titoli si chiedeva “ma quando esce?” (riferendosi evidentemente alle piattaforme), ma tant’è. Fingere che il problema non esistesse non è servito, se non ad alimentare altra confusione. E adesso? Il Ministro ha più volte dichiarato di aver pensato ad una finestra di esclusività della sala di 90 giorni –  senza chiarire se e con quali eccezioni che in Italia si sa spesso diventano la regola – di fatto peggiore di quella presente prima del Covid. Gli esercenti chiedevano di più (150 giorni, almeno per un paio d’anni), i due massimi produttori nazionali, Medusa e RaiCinema, avevano addirittura proposto, sempre per un periodo limitato, 180 giorni ma evidentemente nessuno ha letto il loro appello. Peccato.

C’è poi il tema, che citiamo per ultimo ma forse andrebbe affrontato per primo, della sala cinematografica del futuro. Come sarà? Che cosa (ri)porterà la gente in sala nei prossimi anni? Aprire un confronto su questo tema sarebbe indispensabile, partendo dalle fondamenta del tema: il cinema è un’industria? Che ruolo deve avere lo stato in questa industria… e via discorrendo. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano i più importanti attori della filiera (e non solo il Ministro) e che proposte hanno in mente. Sono in molti a evocare un nuovo ruolo della sala cinematografica come “centro culturale” – come accade praticamente quasi ovunque in Europa dove al cinema si va a vedere un film ma non solo – ma c’è da chiedersi se ci siano le condizioni se questa idea possa tradursi in realtà. Chiedete a chi deve fare un’arena all’aperto, in teoria un contesto più “facile” per la sperimentazione, ma in cui a dominare è la burocrazia le cui regole e vincoli anacronistici che tarpano le ali alla stragrande maggioranza di proposte. Ah, si potrebbe utilizzare la procedura semplificata creata per il pubblico spettacolo (che toglie alcuni degli oltre 20 documenti necessari oggi per aprire un’arena all’aperto) … ma purtroppo vale per eventi che si concludono entro le 23. Ne riparliamo per le arene invernali, le uniche che potranno iniziare a proiettare alle otto di sera.

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