Michelangelo Antonioni, analista dei sentimenti, poeta e ipnotizzatore
di Andrea Crozzoli
«La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi.» (Pier Paolo Pasolini)
Sono passati esattamente trenta anni da quel lontano 1995 quando la piccola Sacile sobbalzò all’arrivo del grande Michelangelo Antonioni. Era un anno cruciale, quel 1995, per il regista ferrarese che aveva appena concluso il suo ultimo film, dopo tredici anni di silenzio, quel Al di là delle nuvole firmato con l’assistenza alla regia del suo grande estimatore Wim Wenders. Antonioni era anche fresco reduce da Los Angeles dove aveva ricevuto l’Oscar alla carriera dalle mani di Jack Nicholson. Regista considerato tra i più grandi di tutti i tempi, precursore e inarrivabile indagatore di tematiche psicologiche come l’incomunicabilità, Antonioni nella realtà quotidiana era gioviale, curioso, amante del buon cibo e del buon bere, così come amava le donne. La malattia paradossalmente gli aveva tolto la possibilità di comunicare ma il suo sguardo era più eloquente di tante parole. La sua mimica facciale era comunicativa, sapeva sottolineare con ironia la verbosità dilagante di Carlo Di Carlo o l’approvazione davanti a un’immagine che gli veniva sottoposta. Al cameriere che gli chiedeva se volesse vino fermo o con le bollicine rispose “entrambi”, tamburellando indice e medio sul tavolo. Osservandolo capivi cosa significa uno sguardo magnetico; comprendevi appieno il significato della sua dichiarazione: «Mi sono fatto da solo. Credo di aver avuto per maestri i miei occhi!».
Occhi che hanno inaugurato un nuovo corso nel cinema fatto di grandi silenzi, sguardi infiniti, frasi secche, essenziali, con i suoi personaggi che si muovevano in paesaggi “lunari”, come il buio della notte, il rosso del suo deserto, i cieli plumbei, isole, e ancora città inquietanti per i silenzi. Roland Barthes in occasione della consegna di un premio a Michelangelo Antonioni ebbe a dichiarare: «Quando in un’intervista con Godard affermavi: ‘Provo il bisogno di esprimere la realtà in termini che non siano affatto realistici’, tu testimoni una corretta percezione del senso: non lo imponi, ma non lo abolisci. Tale dialettica conferisce ai tuoi film una grande sottigliezza: la tua arte consiste nel lasciare la strada del senso sempre aperta, e come indecisa, per scrupolo. È proprio in questo che tu assolvi il compito dell’artista di cui il nostro tempo ha bisogno: né dogmatico, né insignificante”. Ospite a Sacile del festival Ambiente-Incontri – grazie all’intercessione del capo ufficio stampa della manifestazione, Paolo Micalizzi, ferrarese d’adozione, studioso di cinema e redattore de Il resto del Carlino – Michelangelo Antonioni, oltre ai suoi documentari sull’ambiente, incantò il pubblico del teatro Zancanaro (stracolmo) con la proiezione di Al di là delle nuvole davanti a un parterre composto, fra i tanti rappresentanti istituzionali, dal regista Franco Piavoli presidente del festival, da Giorgio Tinazzi professore emerito dell’Università di Padova per la consegna di una laurea ad honorem ad Antonioni, da Carlo di Carlo sceneggiatore, assistente alla regia e dalla moglie Enrica Fico.
Del resto, Sacile era già conosciuta da Antonioni grazie al suo scenografo di fiducia, il sacilese Piero Poletto, col quale collaborò da L’avventura (1960) a Professione Reporter (1975). Assieme erano usi scorrazzare per la bassa friulana, in cerca di buon cibo, ogni volta che Antonioni presentava un suo film alla Mostra del Cinema di Venezia. Purtroppo, Poletto era morto nel 1978 e Antonioni da allora aveva sospeso le sue incursioni friulane, per cui il suo ritorno, a quasi venti anni di distanza, aveva messo in fibrillazione la cittadina e i suoi abitanti. Si scatenò una singolar tenzone fra alcune facoltose famiglie sacilesi per avere l’onore di offrire nella loro dimora un ricevimento di benvenuto all’illustre ospite. Per dipanare questo inestricabile nodo gordiano intervenne la spada del sindaco di allora che decise di ricevere solennemente in Municipio il regista senza alcun party privato.
Antonioni, ignaro di tutto questo, era instancabilmente curioso e nonostante l’ictus che lo aveva colpito dieci anni prima e che lo aveva lasciato semi paralizzato nella parte destra del corpo e privato dell’uso della parola, volle recarsi a Codroipo per vedere la mostra su Pasolini a Villa Manin mentre alla sera presenziò all’anteprima del suo film Al di là delle nuvole. Nonostante l’età e l’invalidante malattia che lo aveva colpito, esprimeva, assieme ad una incredibile disponibilità, una grande energia e vitalità, un’insaziabile curiosità e voglia di vedere il mondo. Stargli accanto per due giorni è stato uno degli incontri più emozionanti della mia vita professionale, che mi fa dire, al pari di Alain Resnais: «Questo regista è un sottile analista dei sentimenti, un poeta e un ipnotizzatore geniale».