Pasolini e Sciascia: “ultimi eretici”
Affinità e differenze tra due intelletuali soli, “fraterni e lontani”
di Filippo La Porta
Sciascia ha osservato una volta che lui era l’unico in grado di capire dav-
vero Pasolini, “fraterno e lontano”.
L’Affaire Moro si propone fin dalle prime pagine come una continuazio-
ne di riflessioni pasoliniane. Mentre Pasolini in una recensione del 1975 a
Todo modo scrisse che Sciascia si è sempre mantenuto purissimo, come un adolescente ”, e che la sua autorità “è legata a quel qualcosa di debole e fragile che è un uomo solo”. In Pasolini e Sciascia si è incarnata per l’ultima volta nel nostro paese la figura dell’intellettuale eretico, coscienza del paese, voce dissidente solitaria e non allineata. A loro è stata comunque riconosciuta una autorevolezza straordinaria – nella società italiana -, un attimo prima che gli intellettuali sono decaduti da legislatori a meri interpreti, da critici del potere a cantori postmoderni dell’esistente (secondo la terminologia di Zygmunt Bauman). Forse l’unica possibile analogia è con Sartre e Foucault, che in Francia hanno rievocato quasi a tempo scaduto la figura dell’intellettuale enciclopedico, “universalistico” del secolo dei lumi. In verità negli anni ’70 altri scrittori hanno parzialmente svolto un ruolo pubblico (come opinionisti e commentatori), ad esempio Goffredo Parise o Italo Calvino, ma senza il loro carisma. L’idea stessa di engagement dello scrittore ha subito da allora una mutazione radicale: solo Roberto Saviano potrebbe candidarsi oggi a un ruolo simile nel nostro paese, anche se la
sua “autorità” proviene dalla testimonianza personale della verità per ottenere giustizia, dalla esperienza diretta di un contesto socio-economico (oltre che da una sua trasformazione in icona e star televisiva), e non da uno “sguardo” particolare sulla realtà o da una qualità dello stile.
I temi che saranno trattati nel convegno sono innumerevoli. Proviamo a citarli velocemente.
Pasolini e Sciascia di fronte al potere politico: isolamento ed eccentricità, impegno parziale e disorganicità, diffidenza da parte dei partiti anche se questi ultimi li hanno blanditi in vari modi.
Poi a contatto con la scuola, nella quale entrambi hanno insegnato e hanno sviluppato “dal basso” riflessioni originali sulla pedagogia. Poi nei rapporti con il cinema: il primo come regista prolifico e il secondo come lo scrittore più cinematograficamente “fertile” degli ultimi decenni (dalla sua opera numerose pellicole). Poi intellettuali laici, anche fortemente critici verso la chiesa cattolica, ma con il senso del sacro, e con una religiosità non ignara
del senso del mistero. Poi avversione di entrambi per l’avanguardia, anche se entrambi attratti dalla sperimentazione.
Infine: entrambi sono figure di contraddizione, e infatti rivendicano esplicitamente il diritto a contaddirsi.
Inoltre innumerevoli sono stati i contatti, e le collaborazioni tra i due: per una antologia poetica – Il fiore della poesia romanesca (1952) – Sciascia si avvale di una premessa scritta da Pasolini, che poco prima aveva già recensito le Favole della dittatura; si aiutano vicendevolmente per pubblicare i propri articoli su riviste; l’Affaire Moro è un lungo colloquio con Pasolini, etc. Di tutto questo, e del continuo scambio di giudizi e pareri ( e perfino di richieste: Pasolini scongiura l’amico di votare per Teorema al Premio Strega), testimonia un epistolario significativo.