Pordenone Docs Fest

C’era una volta un festival senza orario, senza cinema e senza pubblico in sala…

Di Riccardo Costantini

L’inizio di una favola? Ci piacerebbe conoscere la conclusione, sicuri che ci sarà di sicuro un lieto fine. Oggi, c’è la prima parte della storia. Fatta di un programma di festival senza orario, dove il pubblico può vedere il film che desidera, ascoltare l’ospite relativo, quando gli va meglio. Sia notte fonda, sia nel mezzo della giornata. Sarebbe un sogno, non fosse che è una condizione necessaria, dettata dal momento…e che per noi manca di alcuni elementi fondamentali, ideali: il cinema e lo schermo, la qualità di visione; la platea e la socialità. Cercheremo di sfruttare la tecnologia, il suo meglio, sperando che i tempi felici vengano presto. Perché – è innegabile – il cinema vive al cinema. L’edizione 2020 di “Pordenone Docs Fest – Le voci dell’inchiesta” non potrà avvenire in presenza, o almeno in forma ibrida, come avevamo previsto. Sarà un’edizione completamente on-line, che è tutt’altro che un ripiego dopo che a marzo ci siamo ritrovati con le sale chiuse con il programma di aprile praticamente in stampa, e nella stessa identica situazione, dopo un ben calibrato “rinvio”, ai primi di novembre. Doppia sfortuna, doppia beffa, alla quale abbiamo reagito con il massimo del coraggio e della coerenza. Tutti i film saranno su adessocinema.it un portale che abbiamo fortemente voluto durante il primo lockdown con Centro Espressioni Cinematografiche /  Visionario di Udine e La Cineteca del Friuli di Gemona, sotto l’ala della “nostra” casa di distribuzione Tucker Film. Ora è lo spazio perfetto per i film di “Pordenone Docs Fest – Le voci dell’inchiesta”, perché al contrario di molti festival, il lavoro che viene fatto in questa kermesse ha sempre l’ambizione di essere di lungo periodo, con ricadute ampie, anche sociali. Partendo sempre dai film, che anche quest’anno sono i grandi protagonisti. Rimane – anzi, per certi versi (con molte distribuzioni e produzioni “ferme” si è acuito) lo sforzo enorme di selezione, per portare a Pordenone il meglio del documentario internazionale. I temi di quest’anno si articolano su più piani,  suddivisi in sezioni: In nome di Dio per approfondire il rapporto fra uomo e divino, fra sacro e profano, per riaffermare la libertà di culto; Quando c’era “Lui” – fra titoli attuali e retrospettiva – per cercare di capire perché il fascismo riappaia sempre, nostalgico o attualizzato nei movimenti di estrema destra, in Italia e in Europa; Amore puro per raccontare come il sentimento venga prima di tutto, dell’età o della malattia, della diversità o dei ruoli…in un momento come questo ne abbiamo davvero bisogno. Doc Sound per affrontare temi di attualità, con lo sguardo sul reale mescolato fortemente al suono, alla musica, anche dal vivo. E ancora: legalità, ecologia, rivoluzione digitale, lotta alle dipendenze, e – ovviamente, ahinoi – l’emergenza Covid19… Ogni argomento sarà sviluppato, anche grazie alle molte collaborazioni, con approfondimenti puntuali: quasi ogni film, infatti, avrà uno speciale intervento che ne affronta i temi, sia esso del regista, di un critico o di un esperto. I premi saranno d’eccezione, con una giuria di assoluto prestigio nazionale e un doveroso riconoscimento per un grande giornalista italiano. Non mancheranno tavole rotonde e lezioni, aggiornamenti per professionisti e laboratori per studenti. Tutto a distanza, ma tutto con l’usuale intensità. Certo, on-line non potremo brindare come avremmo voluto, ma cercheremo di fare il massimo perchè sia comunque una vera Pordenone Docs… Fest!

(Se poi a breve i cinema riaprono, che significa che il Covid19 non morde come ora, vi aspettiamo davvero “calici alla mano”…ed ecco svelata la fine – questa sì sognata e agognata – della favola…)

Gli Occhi dell’Africa

Di Martina Ghersetti

La XIV edizione de Gli occhi dell’Africa, in programma nei mesi di novembre e dicembre, si presenta quest’anno in forma ridotta, a causa delle restrizioni alle quali è costretto il mondo della cultura, dopo il Dpcm del 25 ottobre scorso. Il coronavirus ha costretto Caritas diocesana, Cinemazero e l’Associazione L’Altrametà a ridisegnare i propri programmi per questa manifestazione che è nata per far conoscere, al di là degli stereotipi, le particolarità di un continente ancora poco conosciuto.

Il laboratorio per bambini dai 7 ai 10 anni “Terra d’Africa” si potrà svolgere in sicurezza nei Nuovi Spazi del Centro culturale Casa A. Zanussi di Pordenone nei sabati 7, 14 e 21 novembre, sotto la guida di Lisa Garau. Gli incontri nell’ambito dell’Università della Terza Età di Pordenone si potranno tenere in streaming, visto che le attività dell’Ute in presenza sono chiuse fino alla scadenza del Dpcm: informazioni telefonando al numero 0434 365387. L’11 novembre, ore 15.30, ci sarà il collegamento per seguire il viaggio in Botswana di Ruggero Da Ros. Il 24 novembre sarà la volta dell’Etiopia, con un video di Renata Mezzavilla e Lino Filipetto. Nel caso in cui i termini del Dpcm dovessero estendersi dopo il 24 novembre, l’incontro sull’Uganda sarà ugualmente in streaming il 30 novembre, sempre curato da Ruggero Da Ros. In dicembre sono in programma due pellicole: la prima, martedì 1 dicembre, è il documentario/inchiesta “Rouge Ivoire”, realizzato da Videe: ripercorre gli avvenimenti degli ultimi 10 anni di storia della Costa D’Avorio, in cui si ricordano i fatti che hanno portato un Paese prima considerato tra i più stabili dell’Africa Subsahariana a vivere in una profonda instabilità politica ed economica, con la conseguente fuga in massa dei giovani verso l’Europa.

La seconda proposta, in programma mercoledì 9 dicembre, è il film “Non conosci Papicha”, una produzione franco algerina della regista Mounia Meddour, premiato con due César: miglior regista esordiente e miglior speranza, alla protagonista Lyna Khoudri.

CortoCircuito FVG

Di Alessandro Venier

Mentre scrivo questo pezzo le luci dei cinema si sono spente, le serrande abbassate. Il tempo si sospende, un’altra volta. La situazione è complessa, drammatica. Non solo per le città, per le grandi piazze, per i multisala, ma anche e soprattutto per quei piccoli cinema di provincia, le sale di seconda visione, quelli schermi che si stringono attorno alle comunità di paese, ultimi avamposti di resistenza cinematografica. Sono chiusi anche loro, in questi giorni, come tutti. Hanno provato l’esperienza della convivenza con il Covid19, dimostrando organizzazione, lucidità, attenzione. E sono pronti a ripartire, non appena sarà possibile, a rimboccarsi le maniche, a sorridere, ancora una volta. Sono i cinema di Circuito Cinema: Corto Circuito FVG, progetto finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia, in collaborazione con il Fondo Audiovisivo del FVG e Cinemazero, con il contributo di CiviBank. Sono gli schermi di Casarsa della Delizia, Codroipo, Cervignano del Friuli, Cormons, Maniago, San Daniele del Friuli, San Vito al Tagliamento, Spilimbergo. A loro spetterà il compito di riportare nelle cittadine il cinema di qualità, quello mainstream e quello meno conosciuto, quello per famiglie e quello vicino al territorio. Proprio il territorio regionale è uno dei punti saldi del progetto che, grazie alla partnership con il Fondo Audiovisivo del FVG e la collaborazione con ALA – associazione lavoratori audiovisivo, ha l’obiettivo di selezionare e far circolare nelle sale, una volta al mese, i film girati e prodotti in Friuli Venezia Giulia, ampliando poi il concetto di territorio anche alla vicina Slovenia, alla Croazia, all’Austria. Un obiettivo che non si ferma alla semplice proiezione, ma che vuole coinvolgere – come del resto avvenuto anche nelle precedenti edizioni – anche i protagonisti, invitando così registi, attori e maestranze ad accompagnare in sala il proprio film. Per aprire la rassegna era stato selezionato Paradise di Davide Del Degan, film che con ironia e saggezza, racconta il sogno di una nuova vita, di nuove possibilità, di speranza. La stessa speranza che auspichiamo affinché il tour di Paradise possa riprendere, quando sarà possibile, lì dove si è bloccato, nei cinema del Friuli Venezia Giulia, quei cinema che sono pronti ad accogliere il pubblico, a sognare possibilità, a ripartire. Un’altra volta. 

Federico Fellini il grande seduttore

l’universo femminile nell’immaginario cinematografico felliniano

Di Andrea Crozzoli

«Sono nato il giorno in cui ho visto Giulietta per la prima volta!» affermava Federico Fellini a proposito della Masina. Si erano conosciuti a Roma nel 1941 quando lui lavorava per la radio scrivendo scenette della serie Cico e Pallina con Giulietta nel ruolo di Pallina, una verginea ragazza, semplice, pura, generosa e ingenua. Si sposarono nel 1943, lui a ventitre anni e lei uno di meno. Resteranno per cinquant’anni uniti, marito e moglie fino alla fine dei loro giorni, con Giulietta non solo musa discreta, esile, amorosa, devota e, come scrisse acutamente Tullio Kezich, “non era solo il suo appoggio, era il suo respiro”. Dopo aver concluso il liceo a Rimini Fellini, diciannovenne, era arrivato a Roma dalla provincia per proseguire gli studi universitari. Rimarrà per sempre, nella sua poetica, un provinciale in trasferta nella grande città, così come rimarrà per sempre segnato dall’educazione ricevuta negli anni venti/trenta del secolo scorso dove le forze combinate del fascismo e della Chiesa, che l’aveva appoggiato, condannarono lui e gli italiani ad un’eterna adolescenza. “Era stata questa malaugurata complicità a farli rimanere bambini poco cresciuti, sempre pronti a demandare a qualcun altro la responsabilità delle loro azioni, incapaci di liberarsi dalla speranza che ci sarebbe stato sempre qualcun altro a pensare per loro, che fosse la madre, il padre, il sindaco, il Duce, la Madonna o il vescovo” scrive Alessandro Carraro in un saggio dedicato al regista, aggiungendo “la verità è che Fellini capiva gli italiani perché capiva se stesso in loro, e li amava per quello che erano, amava i loro difetti così come amava i suoi”. Questa condivisione degli italici difetti, questa sorta di empatia con il prossimo era assolutamente presente nel cinema di Fellini, grazie anche all’aiuto della psicanalisi che gli aveva permesso di mettere a fuoco le diverse componenti del suo carattere, compresa quella sua sessualità da oratorio maschile, come lo accusavano alcuni critici. A questo proposito Emanuela Martini ha sottolineato che Fellini è “uno degli autori (non solo italiani, mondiali) che ha saputo scavare meglio dentro di sé, per analizzare, non tanto la donna, quanto il mito della donna, quell’assoluto avvolgente (da ogni punto di vista, anche “dimensionale”, fisico) del quale un uomo non può venire a capo.” Uno scavo ammesso dallo stesso regista, che a proposito della voluminosa prostituta in Otto e mezzo affermava che era “una rappresentazione infantile della donna, una delle varie e diverse espressioni delle mille nelle quali una donna si può personificare. E’ la donna ricca di femminilità animalesca, immensa e inafferrabile e nello stesso tempo nutritiva, così come la vede un adolescente affamato di vita e di sesso, un adolescente italiano bloccato e impedito da preti, chiesa, famiglia ed educazione fallimentare.”. Pur con apparente indulgenza Fellini non risparmiava certo la sua potente critica verso le istituzioni. Sognatore, visionario, gaudente, malinconico, grottesco, bizzarro, nevrotico, Fellini ha sempre giocato con i suoi sogni, trasformandoli, da grandissimo bugiardo, e miscelandoli con la realtà, amando sognare pigramente e raccontare tutta la vita che non avrebbe mai avuto. Con la donna, nel suo immaginario, sempre presente, protagonista assoluta, prosperosa, giunonica, giocosamente femmina, formosa nei seni e fianchi enormi, fino ad affermare Fellini stesso che “i miei film esistono perché esistono le donne“. Tutto questo universo poetico, onirico viene ripercorso dalla mostra “Federico Fellini il grande seduttore” attraverso immagini vintage mai viste prima: dalla moglie, la sua Pallina, la Gelsomina de La strada, grande attrice e musa discreta, passando poi attraverso tutti gli archetipi felliniani: dalla Anita Ekberg, bellezza statuaria irripetibile, femmina frutto della fantasia felliniana, sogno erotico proibito di quegli anni, alla Gradisca, ovvero Magali Noel, archetipo della femminilità, dal seno generoso, fianchi ridondanti, ondeggianti. Un viaggio, dunque, unico e originale attraverso la visionarietà dell’immaginario femminile in Fellini, il più grande regista che abbia avuto il cinema italiano.