(R)Estate al Cinema

di Marco Fortunato

Sapevamo che ripartire non sarebbe stato facile, abbiamo scoperto che era ancora più difficile, ma abbiamo scelto, malgrado tutto, di esserci. 

Se dovessimo sintetizzare in una frase quello che è successo nell’ultimo mese, per Cinemazero e per il mondo del cinema in generale, queste sarebbero le parole perfette.

Da una parte i numeri, impietosi. Uno per tutti, gli incassi della prima settimana di luglio, che fanno registrare un -95% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Dall’altra la voglia di dare un segnale (anche di speranza, perché la cultura in certi momenti deve essere anche quello), di fornire un servizio al nostro pubblico che non ha mai smesso di testimoniarci il suo affetto.

Con un grande sforzo organizzativo ed economico, l’11 giugno scorso abbiamo riaperto le sale garantendo, tra i primi in Italia, la ripresa dell’offerta cinematografica, grazie ad un protocollo e delle attrezzature di sicurezza che sono state prese a modello anche dalle associazioni di categoria. Solo l’asenza di titoli sul mercato – dovuta alla pesante crisi ancora in corso in quello americano – ci ha costretti, per la prima volta, ad una chiusura forzata.

In parallelo abbiamo avviato tutte le attività estive per costruire una proposta culturale articolata e variegata in grado di soddisfare gli interessi di tutto il nostro pubblico.

E così, dal 6 luglio, sono ripartiti i tradizionali appuntamenti in Arena Calderari, le serate di cinema sotto le stelle destinate a tenerci compagnia fino alla fine dell’estate con il meglio della stagione appena trascorsa e qualche novità. Tra queste non possiamo non ricordare l’anteprima del prossimo film distribuito TuckerFilm, ovvero Il grande passo con Giuseppe Battiston e Stefano Fresi, diretti dal talentuoso Antonio Padovan che ha un posto speciale nel cuore del pubbilco di Cinemazero che ha letteralmente conquistato con la commedia Finchè c’è prosecco c’è speranza record d’incassi nel Triveneto. Da segnare in calendario anche la data del 27 luglio quando – grazie alla collaborazione con il CAI di Pordenone – arriverà sul grande schermo Manaslu – La montagna delle anime dedicato all’incredibile vita dell’alpinista Hans Kammerlandercandita scandita da un’incessante susseguirsi di trionfi e ferite, tra numerosi primati (12 ottomila senza ossigeno, la discesa dall’Everest e dal Nanga Parbat con gli sci) e altrettante tragedie.

Fermato solo dal maltempo, ma pronto a ripartire a brevissimo, anche Cinemadivino, l’ormai consueto ciclo di proiezioni nelle cantine che quest’anno è dedicato a due grandi della settima arte come Federico Fellini e Alberto Sordi che quest’anno condividono il centenario della nascita. Tra i filari delle vigne e i suggestivi parchi delle aziende agricole della Regione ad essere protagonisti grandi capolavori come Amarcord, 8 e ½ e Lo sceiccio bianco che sarà possibile “gustare” (non solo metaforicamente visto che nelle diverse serate è prevista la possibilità di cenare) nella versione recentemente restaurata dalla Cineteca di Bologna.

Senza dimenticare la preziosa attività della rassegna Ciak si gira, con la quale da oltre trent’anni Cinemazero si impegna a (ri)portare la magia del cinema nei paesi dell’hinterland e che questa’nno ha battuto ogni record, con oltre 70 proiezioni. Un segnale forte delle voglia di cultura e di socialità che nessun pandemia potrà mai cancellare.

Le giornate della Luce

Di Donato Guerra

La fotografia è un elemento chiave nel fascino di un film, uno degli aspetti essenziali della settima arte: la magia del cinema si fa anche con la luce, e proprio per celebrare i grandi Maestri della Luce, gli Autori della Fotografia del nostro tempo, è nato cinque anni fa a Spilimbergo un festival che proprio della luce ha fatto il suo leitmotiv, anche nella collocazione del suo calendario, che solitamente abbracciava le giornate del solstizio d’estate, per festeggiare idealmente le giornate più luminose dell’anno. Quest’anno il festival Le Giornate della Luce – Omaggio agli autori della fotografia del cinema italiano”, ideato da Gloria De Antoni che lo conduce con Donato Guerra, ha dovuto spostare le sue date: in programma tra venerdì 21 e sabato 29 agosto la sesta edizione mantiene però intatti i connotati di un evento ormai entrato nel novero delle più significative manifestazioni culturali e cinematografiche della regione.

La cornice d’eccellenza è ancora Spilimbergo, città del mosaico e di viva tradizione fotografica. Un programma che tra proiezioni dei film in concorso, percorsi espositivi incontri con fotografi, fotografi di scena, registi, attori e, naturalmente, cinematographer – culminerà con l’attribuzione del premio Il Quarzo di Spilimbergo-Light Award, per la fotografia di un film italiano dell’ultima stagione: l’annuncio del vincitore sarà al centro dell’ultima serata della kermesse. A decretare il vincitore una giuria di esperti, composta dalla regista, sceneggiatrice e scrittrice Cristina Comencini, dai critici cinematografici Oreste De Fornari, Alberto Crespi e Mario Sesti e da Cristina Sain, operatrice culturale, già Presidente di Alpe Adria Cinema-Trieste Film Festival.

L’anteprima del festival sarà dedicata ad un intenso omaggio alla prima documentarista italiana. Regista e autrice, Cecila Mangini, classe 1927, fin da ragazza si interessa di cinema e fotografia e nell’immediato dopoguerra inizia a girare una serie di documentari che raccontano la vita degli italiani, sempre affiancata dal marito Lino Del Fra. Con Pier Paolo Pasolini è anche autrice di capolavori come Ignoti alla città e La canta delle marane.

Nel pomeriggio di venerdì 21 agosto, alle 18.00, a Palazzo Tadea inaugurazione dell’allestimento Volti del XX secolo curata da Paolo Pisanelli e Claudio Domini. La mostra, ideata e realizzata dall’Associazione Cinema del reale, offre una galleria di ritratti dei grandi del secolo scorso da Chaplin a Fellini, da Pasolini a Moravia fissati dallo sguardo di questa fotografa pasionaria che racconta volti dei protagonisti del XX secolo unitamente a quelli di operai e contadini. In serata, al cinema Miotto, la proiezione di alcune opere di Cecilia Mancini, tra cui il recente documentario Due scatole dimenticate – un viaggio in Vietnam, reportage, in gran parte inedito, realizzato a cavallo fra il 1965 e il ‘66 nel Vietnam del Nord in guerra.

American Cinematographer 100 anni Incontro con Dante Spinotti

Verso le Giornate della Luce di Spilimbergo

Di Lorenzo Codelli

Si stanno celebrando il centenario della rivista American Cinematographer e il 101 anniversario dell’American Society of Cinematographers (ASC) che l’aveva creata a Los Angeles. Il prestigioso mensile illustrato copre le lavorazioni dei maggiori film americani, analizzando le tecnologie degli autori della fotografia membri dell’ASC. E non si scorda dei luminosi capolavori del passato. Sempre più spesso la rivista dedica dossier approfonditi alle produzioni per il piccolo schermo e per il web. Grazie all’amico Dante Spinotti, membro veterano dell’ASC, ho visitato l’antica sede -un edificio anch’esso quasi centenario a pochi passi dal Chinese Theatre – incontrando alcuni suoi illustri predecessori. Racconta Dante:

Fatto abbastanza straordinario questo della nascita e della vita dell’ American Society of Cinematographers. Fondata a Hollywood nel 1919 da un gruppo di direttori dela fotografia, fu la prima associazione di professionisti del cinema in America e probabilmente nel mondo. Lo spirito era quello di chi sa di appartenere a una categoria sicuramente privilegiata tra i cineasti, coloro che lasciano un segno visivo e narrativo importante nell’opera cinematografica. Società fondata con l’impegno solenne a promuovere “Loyalty, progress, artistry”, come si legge sullo stemma ASC.

L’ASC ha sempre avuto tra i soci i migliori cinematographer di Hollywood. Da più di vent’anni , l’ASC ha incluso anche autori stranieri della fotografia che avevano realizzato opere di prestigio. La ASC ha sede tuttora in una palazzina storica, nel cuore di Hollywood.

Sede dell’ASC a Hollywood

Entrai a far parte della ASC 23 anni fa, sicuramente con grande emozione. Fu un privilegio essere presentato da tre soci quali Vilmos Szigmond, Steven Poster e Bill Fraker.

L’AIC, l’Associazione Italiana Cineoperatori, costituita nel 1950 ispirandosi all’ASC, ha avuto anch’essa dei soci straordinari, operatori e autori della fotografia di un cinema, il nostro, che aveva un enorme prestigio nel mondo. Italiani che hanno lasciato un segno a volte rivoluzionario. Pensiamo ai grandi Gianni Di Venanzo, Giuseppe Rotunno, Vittorio Storaro, personaggi che hanno cambiato il modo di creare immagini per il cinema.

All’interno di questa continua evoluzione, anche ma non solo tecnologica, si colloca la transizione verso un cinema che si divulga anche via TV, serie televisive a volte viste sul proprio laptop, se non sul telefonino. Ma il tema resta immutato: narrare storie importanti di umanità, con creatività visiva. E per ottenere questo non basta la tecnologia, che è addirittura marginale.

L’ASC si occupa attivamente di questioni tecnologiche, di assicurarsi che gli standard di qualita tecnico/artistica siano rispettati, e siano sotto il controllo dei direttori della fotografia, anche ora che una massificazione delle produzioni TV, e una tecnologia che rende facile il controllo dell’immagine finale tenderebbero a meccanicizzare e a banalizzare le cose.

L’ASC e i suoi gruppi di lavoro determinano anche, assieme agli studios, gli standard di qualità sia per le sale di proiezione che per le nuove tecnologie degli schermi TV.

Ricordo che quando leggevo per la prima volta, a 18 anni, la rivista American Cinematographer, la storica pubblicazione dell’ASC, rimanevo affascinato dalla grande dimensione industriale del cinema hollywoodiano. Ma percepivo anche la passione per un lavoro altamente individuale e al tempo stesso di grande collaborazione, un lavoro tecnico. La magia della cinepresa, delle lenti, della pellicola e della proiezione sullo schermo, che richiede però un apporto creativo e culturale, e in fin dei conti è la ragione del fascino del mestiere del cinema.

Un lavoro di grande fatica e competizione, guai se mancasse il supporto, appunto, della passione.

Tutte queste cose sostengono la presenza e l’attività di una parte dei soci ASC che hanno il tempo e la voglia di dedicarsi ed il piacere di riunirsi a chiaccherare per confrontarsi nella prestigiosa Clubhouse, quasi dimenticando invidie e competitività.

L’ASC organizza annualmente un’elegante serata di gala a cui partecipa un migliaio di persone, e durante la quale vengono assegnati i premi per la migliore cinematografia nei film, nelle serie e film TV, i premi alla carriera, onorificenze magari con un velo di autocelebrazione distribuite a destra e a manca. La serata avviene all’inizio dell’anno, poche settimane prima della cerimonia degli Oscar. Gli incassi della serata ASC e le sponsorizzazioni aiutano l’Associazione a finanziarsi e sopravvivere. E come la serata degli Oscar garantisce il finanziamento delle attivita dell’Accademia, grazie ai diritti TV nel mondo e ad altre entrate.

Nel direttivo dell’Accademia del Cinema, vengono eletti tre membri dell’ASC. l’ultimo presidente è stato John Bailey, un cinematographer. Io stesso ho avuto il privilegio di essere per tre anni nel direttivo sia dell’ASC che dell’Academy.

È come essere coinvolto in vicende cinematografiche attuali, godendo nel partecipare ad attività talmente legate alla grande Storia del cinema e fino dai primordi. Non resta che sperare che questa fantastica attività associativa possa continuare a lungo.

Festival international du film d’animation d’Annecy

una nuova dimensione di festival anche per una giuria!

Di Andrea Crozzoli

Il Festival international du film d’animation d’Annecy è figlio delle antiche Journées internationales du cinéma d’animation e si svolge, dal lontano 1960, nel mese di giugno. Solo a partire dall’edizione 1963 il festival divenne biennale, per poi ritornare annuale dal 1998 fino ad oggi. Per rispettare l’annualità, nel 2020, a causa del temibile virus pandemico, il festival si è svolto on line. Una manifestazione costretta alla dimensione virtuale all’insegna del distanziamento sociale, che impone il contagioso Covid-19, e che certamente ha aperto nuovi orizzonti e possibilità per i festival in generale e non solo.
Se da un lato il senso di una manifestazione festivaliera è proprio quello di far incontrare il pubblico con i film d’animazione, con gli autori, con i professionisti del settore e la stampa (lo scorso anno oltre settemila persone accreditate solo in queste ultime due categorie), di far conoscere una meravigliosa cittadina arroccata in mezzo alle Alpi, curatissima nel suo gradevole centro storico attraversato da limpidi canali, tanto da fregiarsi del titolo di “Venezia delle Alpi”. Dall’altro lato utilizzare il web significa certamente allargare la potenziale utenza e visibilità della manifestazione, dando la possibilità a chi non può o non riesce muoversi
di seguire in qualche modo il festival attraverso il web. Con la profonda contraddizione di rimanere comunque una fruizione personale, casalinga, priva di socialità, di scambio di emozioni diretto; una fruizione che ci costringe, in questo periodo di pandemia, a rinviare ogni
incontro e socializzazione nei luoghi che ci erano tradizionali, costringendoci ad una sorta di onanismo filmico deprivato del piacere del grande schermo in compagnia di svariate centinaia di persone.
In questo periodo molto particolare le giurie di Annecy 2020 hanno comunque lavorato alacremente, compresa la giuria Fipresci, che assegna il premio della stampa specializzata, ed era composta dal sottoscritto Andrea Crozzoli per l’Italia, Naama Rak per Israele e Bernard
Génin per la Francia. Tre giurati “immobili”, che non si sono mossi dai loro paesi, costretti a svolgere il lavoro a tavolino, in piena solitudine come novelli Robinson Crosuè nell’isola deserta.
Un’esperienza per certi versi estraniante, solipsistica, davanti ad uno schermo di computer, scambiando giudizi, impressioni e sentimenti per mail o con il filtro delle varie applicazioni vocali che rimangono in ogni caso virtuali, asettiche, sanificate dal distanziamento sociale.
Peccato, perchè in generale i cortometraggi d’animazione di questa edizione 2020 del Festival international du film d’animation d’Annecy sono stati tutti molto interessanti e meritavano il calore dell’applauso in sala, dell’incontro ravvicinto con l’autore, delle strette di mano, dell’odore dolce del tabacco all’uscita del cinema.

I temi che hanno affrontano erano totalmente adulti: dalla memoria all’identità sessuale, dall’alienazione alla condizione femminile e così via. Se pensiamo al cinema di animazione come un cinema di semplice intrattenimento e divertimento stile cartoons siamo completamete fuori strada. Il cinema d’animazione, non da ora, è un cinema adulto in grado di narrare compiutamente ogni aspetto, anche il più intimo, della vita e del mondo. Chiaramente accanto al contenuto, come in ogni film, conta
anche la tecnica e la qualità del racconto, del montaggio, delle musiche e in questo caso anche del disegno.

Come giuria Fipresci, in una inedita triangolazione Parigi – Gerusalemme-Pordenone, pur difronte ad una selezione di altissima qualità, abbiamo subito convenuto dopo un rapido giro di mail e di chiamate vocali con WhatsApp, sul lavoro da premiare per il 2020, ovvero il mediometraggio Physique de la tristesse del bulgaro, naturalizzato canadese, Theodore Ushev, un’opera dove l’autore ripercorre magistralmente i ricordi della sua giovinezza in Bulgaria e del suo successivo trasferimento in Canada. Un film labirintico, seducente e avvolgentem per intensità e ritmo dove Ushev utilizza come fonte di ispirazione il romanzo Physique de la mélancolie di Guéorgui Gospodinov, scrittore bulgaro fra i più conosciuti e amati. Ne scaturisce un’opera percorsa da sentimenti di crescente e struggente malinconia unita al senso di disagio e sradicamento nell’età adulta trascorsa in Canada.

Film dal respiro ampio e dal disegno assolutamente pittorico e fluido, evocativo e autoriale nel contempo Physique de la tristesse è la prima animazione che Ushev ha realizzato con una tecnica pittorica molto antica in cui i colori vengono diluiti con la cera d’api fusa, ottenendo così una grana e una scala di sfumature particolari. Inoltre Theodore Ushev ha utilizzato, come voce narrante nel film, la straordinaria e ispirata recitazione di Xavier Dolan (“ragazzo prodigio” del nuovo cinema canadese e uno dei pupilli del Festival di Cannes) che funge da collante del racconto.
Sarà bene tenere d’occhio questo Theodore Ushev, nato nel 1968 a Kyoustendil, in Bulgaria, trasferitosi poi a Montreal nel 1999 dove ha realizzare più di 10 film con il supporto del National Film Board of Canada vincendo oltre 150 premi e riconoscimenti: sentiremo ancora a
lungo parlare di lui.


Da segnalare infine, tra i tanti bei lavori presenti a questa edizione 2020 di Annecy, la partecipazione in concorso dell’artista italiano Andrea Vinciguerra con No, I don’t want to Dance, un breve ma intenso stop motion pieno di ironia, ritmo e sarcasmo. Diviso in piccoli episodi con un utilizzo perfetto del black humor No, I don’t want to Dance ci mostra, in due minuti e mezzo, quanti danni possa causare la danza a proposito della quale lo stesso Vinciguerra ha dichiarato con sagacia: «Seguire ciecamente i “movimenti” altrui può portare a conseguenze catastrofiche!».