Romanzo Popolare – l’arte della Commedia
di Lorenzo Codelli
Vogliamo i colonnelli andò male: la distribuzione dell’Italnoleggio lo sabotò, lo fece smontare, insomma fece di tutto perché sparisse rapidamente dalla circolazione. Dopo aver conosciuto Tognazzi nell’episodio di Alta fedeltà mi ero trovato con lui in grande sintonia ed avevo visto che era un attore molto fine. Tognazzi nella vita normale ha una sua rozzezza, ma quando si mette a recitare la perde completamente e diventa attentissimo, pieno di dubbi e di reticenze: bisogna spingerlo perché faccia ridere. Venendo dal varietà e dagli sketch che faceva con Vianello, evidentemente lui un po’ si vergogna di questa origine; così non vorrebbe mai far ridere. È un bravissimo e fine attore.
Con Age
e Scarpelli avemmo l’incarico dalla Fida Film di scrivere un film per Manfredi
con il quale non avevo mai lavorato, e ci mettemmo a scrivere Romanzo popolare
per lui. La storia di un operaio a Roma che sposava una ragazza molto più
giovane di lui, poi la ragazza s’innamorava di un questurino. Manfredi lesse la
sceneggiatura e disse: «Non mi piace, è un film vecchio, un personaggio che non
m’interessa, bisognerebbe cambiarlo…» lo dissi: «No. Se lo vuoi fare lo
facciamo così, e sennò te lo fai da te». Lui era anche regista, aveva fatto già
Per grazia ricevuta.
Così ci separammo. Fu una fortuna: perché se l’avesse fatto lui sarebbe stato
il solito film «romano». Lo raccontammo invece a Tognazzi e a lui piacque
molto; soltanto che non poteva essere un personaggio romano. Allora riscrivemmo
tutta la sceneggiatura per farlo diventare milanese o padano. Quindi venne
fuori questo straordinario lavoratore milanese con un linguaggio mutuato dai
sindacati, con una cultura un po’ accattata, e che si crede evoluto in rapporto
alla ragazza venuta dal Sud e trattata come una bestiolina selvaggia. Poi c’era
il rapporto con il questurino, anche lui venuto dal Sud. Una descrizione
dell’ambiente della fabbrica e della catena di montaggio, che in Italia non era
ancora stata fatta. Se non in maniera molto fasulla da quel gruppo che faceva film
attraverso i canali del Partito Comunista: mostravano sempre degli operai cupi
con la bicicletta in mano, il cui prototipo era Girotti. Operai che
s’innamoravano dell’operaia che era stata messa incinta dal padrone.
Con Romanzo popolare ebbi molte soddisfazioni, perché in tutti i dibattiti che si fecero sul film, a Milano, a Torino, i partecipanti dicevano sempre: «Finalmente nel cinema italiano si vede un operaio com’è veramente, con dei lati anche divertenti, con una cordialità: degli operai che fanno l’amore, che litigano, che hanno anche i loro problemi da risolvere sul piano sindacale».