Scala Reale
di Marco Fortunato
In una mano di poker solo un punto può battere quattro carte uguali (il poker appunto) ed è la scala reale. Essa è una scala composta di cinque carte, diverse per valore ma accomunate dallo stesso seme. Parafrasando la metafora è con questa “mano” che l’Italia si presenta quest’anno al Lido, cinque ottimi registi di grande esperienza – Amelio, Crialese, Guadagnino, Nicchiarelli, Pallaoro, rigorosamente in ordine alfabetico – pronti a tutto per riportare in patria un Leone d’Oro che non parla italiano dal 2013.
In quell’anno fu Gianfranco Rosi (peraltro in maniera piuttosto inaspettata) a trionfare con Sacro Gra. Prima di lui, ma si parla di oltre vent’anni fa, l’ultimo italiano ad essere premiato fu proprio uno dei registi in concorso quest’anno, Gianni Amelio, (con Così ridevano nel 1998) che quest’anno porta sul grande schermo Il signore delle formiche. Al centro del suo ultimo lavorola tragica vicenda che colpì il drammaturgo e poeta Aldo Braibanti che, alla fine degli anni Settanta, fu condannato a nove anni di reclusione con l’accusa di plagio, cioè di aver sottomesso alla sua volontà, in senso fisico e psicologico, un suo studente e amico, che a sua volta verrà internato in un ospedale psichiatrico e sottoposto a pesanti cure per “guarire” da quella diabolica influenza. Prendendo spunto da fatti realmente accaduti, il film, grazie ad una struttura corale, dove accanto alla voce dell’imputato, prende corpo quella dei famigliari ed amici, di accusatori e sostenitori, e di un’opinione pubblica per lo più distratta o indifferente fa emergere come l’unica colpa di Braibanti fosse l’omosessualità e come il reato di plagio, peraltro abolito poco dopo, fosse servito per metterne sotto accusa la diversità.
Nello stesso periodo si svolge la storia raccontata Emanuele Crialese, autore molto legato a Venezia dove i suoi film hanno sempre incontrato grande affetto di pubblico e critica (Nuovomondo presentato al Lido nel 2006 gli valse il Leone d’Argento e Terraferma, di cinque anni successivo, fu accolto da una standing ovation) che presenterà L’immensità. “È il film che inseguo da sempre” ha dichiarato il regista romano “è sempre stato “il mio prossimo film”, ma ogni volta lasciava il posto a un’altra storia, come se non mi sentissi mai abbastanza pronto, maturo, sicuro” anticipando che il tema portante del film sarà la famiglia e sui suoi legami. Nel cast Penélope Cruz nei panni di Clara una donna che si trasferisce, malgrado l’amore verso il marito sia finito, in un nuovo appartamento, proseguendo il matrimonio e la convivenza per il solo amore verso i propri figli.
Di poco successiva (siamo durante la presidenza Reagan tra il 1981 e il 1989 ma ci spostiamo in America) l’ambientazione scelta da Luca Guadagnino che ritrova Timothée Chalamet in Bones and All,adattamento dell’omonimo romanzo scritto dalla statunitense Camille DeAngelis. Una storia di formazione a tinte decisamente forti (tanto da essere classificato, ad oggi, come horror) che ha per protagonisti due emarginati, Maren una giovane donna che sta imparando a vivere ai margini della società e Lee un vagabondo dall’animo solitario che tentano di trovare il proprio posto del mondo e capire la forza del loro amore. La sceneggiatura porta la firma di David Kajganic, che aveva già lavorato insieme a Luca Guadagnino in occasione di Suspiria e A Bigger Splash
Chi invece ci costringe a un enorme salto all’indietro nel tempo è Susanna Nicchiarelli. Il suo Chiara nasce infatti in un contesto spazio-temporale assolutamente preciso: Assisi, 1211. È in quell’anno che Chiara, diciotto anni appena compiuti, decide di scappare di casa per raggiungere il suo amico Francesco: da quel momento la sua vita cambia per sempre. La sua è la storia di una santa ma anche, e ancora prima, di una ragazza e del suo sogno di libertà che, nelle intensioni della regista e sceneggiatrice romana – habitué della kermesse veneziana – punta a riscoprire la dimensione politica, oltre che spirituale, della “radicalità” delle loro vite votate alla povertà e alla semplicità.
Chiude questa carrellata, necessariamente incompleta e frutto della raccolta di quanto sinora trapelato dalle produzioni (peraltro quest’anno molto più generose che in passato, forse nella consapevolezza che dare qualche informazione sul film possa aiutare a generare interesse nel pubblico) il nuovo lavoro di Andrea Palloro, anch’esso con un nome proprio femminile come titolo Monica. Non c’è santità, almeno non evidente, nella sua storia fatta comunque di un percorso di ricerca interiore che esplora i temi universali dell’abbandono e dell’accettazione, del riscatto e del perdono. Monica, dopo vent’anni torna a casa per la prima volta dopo una lunga assenza, ritrovando sua madre e il resto della sua famiglia, da cui si era allontanata costringendosi ad un difficile confronto con sé stessa e il proprio passato. Non mancano, e non è certo un caso, le analogie con storia di Hannah (interpretata da una sontuosa Charlotte Rampling meritatissima vincitrice della Coppa Volpi) protagonista del primo capitolo della trilogia dedicata alle donne realizzata da Pallaoro.