The man without a world

Un omaggio al cinema delle origini, in collaborazione con Le Giornate del Cinema Muto

A Cinemazero uno dei film più insoliti, artistici e favolosi della storia del cinema indipendente americano: The Man Without a World” di Eleanor Antin, artista, autrice e performer di fama mondiale, accompagnato dalla musica originale del pianista e compositore Donald Sosin e della violinista e compositrice Alicia Svigals. Il cineconcerto è nato in collaborazione con Le Giornate del Cinema Muto, di cui Sosin è uno dei musicisti storici, ed è realizzato con il sostegno di Sunrise Foundation for Education and the Arts

Il film, del 1992, è un omaggio al periodo d’oro del cinema muto e una “lettera d’amore” della regista a sua madre, ex attrice del teatro yiddish della Polonia, che soffriva di Alzheimer al momento della creazione di quest’opera e che, come il personaggio di Zevi sullo schermo, desiderava ardentemente poter calcare i palcoscenici di Varsavia. Eleanor Antin attribuisce la regia al leggendario regista sovietico Yevgeny Antinov, che in realtà è un personaggio di fantasia. Attraverso la sua opera d’arte performativa, Antin esplora e reinventa la storia, ritraendo nel film la guerra di Crimea sotto le spoglie dell’infermiera Eleanor Nightingale o distorcendo il razzismo diventando la famosa ballerina nera Eleanora Antinova. Il primo lungometraggio della visionaria regista, che torna in sala in versione digitale restaurata a trent’anni dall’uscita in sala, raccoglie un cast e una troupe straordinari tra cui Pier Marton, Christine Berry, Anna Henriques, Marcia Goodman, Don Sommese e altri. 

The Man Without a Worldè un commovente melodramma comico ambientato in un tipico shtetl (villaggio) della Polonia. La lotta degli ebrei contro povertà e odio razziale è complicata dalla loro stessa divisione in fazioni politiche ostili, gli ultra ortodossi, i socialisti, i sionisti, gli anarchici… Mentre gli ebrei dello shtetl inseguono i loro amori, la politica, la religione, gli affari e i sogni per il futuro, l’Angelo della Morte è sempre vicino… Spiega Eleonora Antin: «Faccio film apparentemente antichi per entrare dall’interno nel mondo perduto del passato, non per starne fuori e vederlo solo come qualcosa di storico. Voglio che il mio pubblico sperimenti questo mondo come se vi fosse dentro, ma allo stesso tempo, con la coscienza del viaggio che ha fatto per entrarci». 

Donald Sosin ha eseguito le sue musiche per film muti al Lincoln Center, al MoMA, al Kennedy Center e ai principali festival cinematografici negli Stati Uniti e all’estero, tra cui Le Giornate del Cinema Muto e il Denver Silent Film Festival, che gli ha tributato un premio alla carriera. Incide per Criterion, Kino, Milestone e TCM. Ha creato improvvisazioni al pianoforte per Downsizing di Alexander Payne e compone anche per emittenti televisive e radiofoniche. 

Alicia Svigals è la più grande violinista klezmer al mondo, fondatrice dei Klezmatics. Il termine indica il genere musicale tradizionale della tradizione ebraica dell’Europa orientale. Svigals ha suonato con e composto per il violinista Itzhak Perlman, il Kronos Quartet, Debbie Friedman, Osvaldo Golijov, John Cale, Robert Plant e Jimmy Page, il poeta Allen Ginsberg e molti altri. I suoi progetti di colonne sonore per film muti dal vivo, il pluripremiato The Yellow Ticket presentato anche alle Giornate del Cinema Muto, e la sua nuova colonna sonora The Ancient Law (co-composta con Donald Sosin), girano il mondo, con costante successo. 

“Una Donna Promettente”: l’incubo arcobaleno di Emerald Fennel da oggi disponibile in Mediateca

Di Martina Zoratto

A primavera ormai inoltrata, arriva in Mediateca Cinemazero il coloratissimo esordio alla regia dell’attrice e sceneggiatrice Emerald Fennel, reduce dai successi della Award Season 2021, che le hanno permesso di aggiudicarsi – tra gli altri riconoscimenti – il Premio Oscar alla Miglior Sceneggiatura Originale.

Coinvolta nel progetto anche in qualità di produttrice esecutiva, Carey Mulligan ci regala una delle sue performance più abbaglianti, prestando il volto a Cassie, una giovane donna tormentata da un tragico evento del passato e pronta a trasformarsi in una vendicatrice dai capelli arcobaleno.

Scandendo le vicende sulla base di una suddivisione in atti, la Fennel confeziona un film diretto e attuale, dominato dal contrasto tra i toni grotteschi della black comedy e le tinte pastello che colorano le ambientazioni e gli abiti della protagonista.

Proponendo una narrazione basata sulle dinamiche tipiche del revenge movie, la macchina da presa segue la donna nella sua ossessiva ricerca di vendetta nei confronti di chiunque consideri corresponsabile di quanto accaduto a Nina, l’amica del cuore morta suicida in seguito a un episodio di violenza sessuale subito ai tempi dell’università. Alla vita quotidiana che conduce passivamente, all’ombra del trauma, Cassie alterna infatti una segreta esistenza notturna interamente dedicata alla pianificazione di un regolamento di conti che guarda all’intero genere maschile come principale destinatario; è mettendo in scena un preciso quanto metodico rituale che la giovane donna persegue tale missione punitiva, con il fine ultimo di sabotare un sistema di potere che poggia su granitici principi patriarcali.

A “Una Donna Promettente” va riconosciuto il merito di essersi distinto dalle consuete pellicole rape and revenge, tratteggiando i potenziali stupratori non come spietati predatori, bensì come individui banali mossi da un innato e animale desiderio di possesso, tale da sfociare talvolta in atti di violenza che la società sembra tollerare. Da questa banalità del male –  sostenuta dal luogo comune “boys will be boys” – avrebbe infatti origine una forma interiorizzata di accettazione collettiva dell’abuso, che troppo spesso tende a tradursi nell’assoluzione del carnefice e nello screditamento della vittima.

Orbitando attorno a questa amara riflessione, il film si schiude scena dopo scena in un vero e proprio incubo, seppur dipinto con una ricchissima tavolozza di colori, dal quale emerge un quadro sociale spaventoso: il ritratto disincantato e sconfortante di un sistema fallato, tossico e sessista, restituito da Emerald Fennel con vivacità e intelligenza.

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Ad arricchire il catalogo audiovisivo di Cinemazero, disponibili a partire da aprile anche i seguenti titoli:

Comedians, la trasposizione cinematografica firmata Gabriele Salvatores dell’omonima pièce teatrale inglese, il cui soggetto viene riproposto allestendo un microcosmo popolato da sei comici in cerca di ingaggio, incoraggiando una riflessione sul ruolo della comicità in tutte le sue sfumature;

Minari, diretto da Lee Isaac Chung, il quale si è in parte ispirato alla propria storia personale per dipingere un delicato ritratto familiare, tratteggiando con incredibile dolcezza le risposte generazionali al trapianto culturale e rivelando il doloroso sacrificio che il perseguimento del cosiddetto sogno americano comporta;

Sulla infinitezza, poetica opera del cineasta svedese Roy Anderson, che ci propone un viaggio onirico sopra i tetti di una città devastata, un susseguirsi di frammenti di vita quotidiana dominati da un silenzio assordante, un mosaico di umanità in grado di restituire l’infinitezza di situazioni e stati d’animo che hanno per soggetto il genere umano;

Due, un film carico di suspense e dramma diretto da Filippo Meneghetti, un toccante racconto di due vite intrecciate, distanziate dalla paura del giudizio altrui e dal freddo pianerottolo di un condominio romano, ma unite da un amore alimentato in segreto e ostacolato proprio nel momento più drammatico;

Zombie contro Zombie, l’originale pellicola del regista giapponese Ueda, nella quale uno scenario da apocalisse zombie diviene il set ideale per condurre con ritmo incalzante un discorso metafilmico, espresso attraverso una sorprendente climax di azione e brillante umorismo;

L’uomo invisibile, l’intramontabile classico fantascientifico del 1933 di James Whale ritorna in una nuova edizione rimasterizzata in alta definizione, che permette di godere al meglio degli straordinari effetti speciali che ne fanno ancora oggi un capolavoro di genere.

Ѐ tempo di novità anche per i più piccoli, con tre nuovissimi e imperdibili titoli:

Jungle Cruise, uno spassoso film di avventura per tutta la famiglia diretto dallo spagnolo Jaume Collet-Serra, ci porta nella giungla risalendo il Rio delle Amazzoni in compagnia della bizzarra coppia di protagonisti, determinati a portare a termine una pericolosa missione;

100% lupo, film d’animazione che narra la curiosa storia di Freddy, un ragazzino discendente da una famiglia di licantropi, costretto dagli eventi a intraprendere un percorso di formazione che lo porterà a scoprire l’importanza dell’amicizia e il valore della diversità;

Spirit – Il Ribelle, sequel dell’indimenticabile “Spirit – Cavallo selvaggio” del 2002, nonché trasposizione della serie animata “Spirit: Avventure in libertà”, ci rende partecipi dell’improbabile amicizia tra il celebre stallone e Fortuna, una ragazzina ribelle che riesce finalmente a domarlo.

Pordenone Docs Fest: i vincitori della XVI edizione

Di Riccardo Costantini

Oltre tremila biglietti venduti e 5.000 presenze complessive in tutti gli eventi, in cinque densissimi giorni, con numerosi appuntamenti da tutto esaurito, 300 ospiti dall’Italia e dal mondo, 28 Paesi rappresentati nei 25 film in anteprima nazionale e per le tre anteprime assolute: è il bilancio della XVI edizione del Pordenone Docs Fest, la kermesse di Cinemazero che anche quest’anno ha trasformato la città nella “capitale del documentario” in Italia, richiamando l’attenzione degli addetti ai lavori, dei più importanti media nazionali e del pubblico più ampio, diventando. Sempre più il festival diventa un punto di riferimento a livello nazionale e internazionale, un’occasione per leggere la realtà con occhi diversi, moltiplicare gli sguardi, dialogare, comprendere il presente, immaginare il futuro e il cambiamento. Il tutto nella dimensione accogliente della città di Pordenone, apprezzatissima specialmente dagli ospiti stranieri.

«Quest’anno, più di sempre, abbiamo cercato di testimoniare la forza della comunità, dell’essere Società con la S maiuscola, includendo, testimoniando la necessità di lottare ancora per il ruolo delle donne, di impegnarci per i diritti civili, che per essere tali devono riguardare ognuno di noi, nessuno escluso», è stato il commento, pieno di emozione, del curatore Riccardo Costantini, di fronte alla sala gremita e partecipe, per il gran finale di domenica 2 aprile. «Con il nostro festival abbiamo ribadito che il cinema, con il documentario in particolare, è più vivo che mai!».

Il Gran Premio della Giuria è andato allo splendido “Moosa Lane” di Anita Mathal Hopland, con la seguente motivazione: «La vita e le immagini si incontrano in un progetto decennale all’interno del quale trovano spazio le vicende familiari di una giovane donna, la questione delle origini, dell’identità fragile e a volte contraddittoria degli apolidi, dei profughi e delle seconde generazioni figlie dei flussi migratori. Uno specchio del presente in cui si riflettono controversie e tratti di unione tra culture diverse e distanti. Un esempio luminoso di cinema nel suo farsi, aperto, libero, epifanico». A consegnare il premio le tre giurate: la grande regista cilena Valeria Sarmiento, la regista e sceneggiatrice Costanza Quatriglio e la giornalista e critica cinematografica Beatrice Fiorentino. Una menzione speciale è andata “When spring came to Bucha” di Mila Teshaieva e Marcus Lenz: «Un reportage di guerra che si addentra nel dramma del conflitto in Ucraina schivando la retorica e l’esibizione del dolore, cercando invece nel profondo senso di comunità, nella dignità della popolazione civile e nelle piccole azioni quotidiane, il centro più nobile della resistenza».

Il Green Documentary Award, per il miglior film a tematica ecologica è andato a “The Oil Machine” di Emma Davie, per la capacità di restituire la complessità della crisi climatica dando voce a scienziati, esperti, economisti e attivisti senza dimenticare il punto di vista delle compagnie petrolifere e dei lavoratori che temono di perdere il proprio lavoro. È un film che apre al dialogo e al confronto su una questione epocale, da cui dipende il futuro di noi esseri umani sul pianeta.

A vincere lo Young Audience Award, votato dallo Young club di Cinemazero e dai sessanta studenti di cinema da tutta Italia e dall’estero, accreditati al festival, è stato “Singing on the rooftops” di Eric Ribes Reig, perché «racconta diversi aspetti dell’inclusività, mostrando che la cura e l’amore possono superare ogni barriera: di età, di sessualità, di origini. Dimostra che è possibile generare un legame che unisce più generazioni, e lo fa attraverso un ritratto delicato, sincero ed emozionante».

The art of silence, del regista svizzero Maurizius Staerkle Drux, il primo documentario sulla vita del leggendario artista e mimo Marcel Marceau, proposto nella serata di apertura in collaborazione con Ente Nazionale Sordi di Pordenone, ha vinto il Premio del pubblico.

Il Premio Virtual Reality è andato a “Myriad” di Michael Grotenhoff e Christian Zipfel, il racconto delle incredibili migrazioni degli Ibis eremita, reintrodotti in natura quando si pensavano estinti: è stato questo il titolo più apprezzato da chi ha visitato lo spazio dedicato alla realtà virtuale in Piazzetta Cavour.

Il Premio della Critica, in collaborazione con l’Associazione Festival italiani di Cinema e il Sindacato nazionale Critici cinematografici italiani, è andato a “Steel life” di Manuel Bauer «per la magistrale capacità di racconto e la precisione dell’analisi del contesto socio-economico di un paese sfruttato dal sistema capitalistico».

Al Pordenone Docs Fest si è tenuta anche la prima edizione di Nord/Est/Doc/Camp, il nuovo laboratorio di accompagnamento e consulenza per documentari in fase di ultimazione, prodotti nel nord-est, promosso dal festival di Cinemazero con Trento Film Festival ed Euganea Film Festival, grazie al sostegno della Friuli Venezia Giulia Film Commission, IDM Film Commission Sűdtirol, Trentino Film Commission, Veneto Film Commission. Due i riconoscimenti, entrambi offerti dallo studio Synchro di Dosson di Casier: “Vista mare“di Julia Gutweniger e Florian Kofler (produzione Albolina Film, Bolzano) e “Lazzarone“di Francesco Mattuzzi (produzione Planck Films, Rovereto).

Cinemazero: ed ecco a voi il prequel!

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                       Dove la mano dell’uomo non aveva messo piede …

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Di Andrea Crozzoli

Come ogni saga cinematografica di successo che si rispetti (Star Wars uno per tutti) assieme agli inevitabili sequel trova posto anche il prequel, ovvero cosa c’era prima!

Sulla nascita di Cinemazero, ormai, sono stati spesi fiumi (o forse ruscelli) di inchiostro, ma quel marzo 1978 che segna l’inizio è preceduto, chiaramente, da un sofferto e articolato percorso.

Le domande, quindi, che sorgono spontaneamente sono: a) Come si è costituito quel manipolo che si è presentato davanti al notaio per fondare il sodalizio? b) Che provenienza aveva e come mai i suoi membri si erano messi assieme in questa avventura?

Come nella migliore tradizione hollywoodiana, dove si racconta la genesi della formazione di un gruppo di eroi che partono per una mission impossible (da I magnifici sette di John Sturges a Space Cowboys di Clint Eastwood, passando per Quella sporca dozzina di Robert Aldrich ma anche per Ocean’s Eleven di Steven Soderbergh) tenteremo qui di narrare la nascita della formazione di questo manipolo di “filmonauti” più o meno consapevoli.

Siamo nel 1977 con il mondo diviso in due blocchi dalla fine della Seconda guerra mondiale; il Friuli-Venezia Giulia, posto ai confini orientali come “sentinella della patria”, è all’epoca una regione praticamente militarizzata, con caserme spalmate su tutto il suo territorio. Anche le ondate di proteste di quegli anni sono quindi smorzate, più soft che altrove. Tutto, infatti, è saldamente sotto il controllo del democratico e cristiano partito di maggioranza relativa che non riesce però a contenere l’ondata di lotte e grandi conquiste sociali degli anni settanta: divorzio, aborto, statuto dei lavoratori, servizi di salute mentale, etc.. L’anno prima (1976), a dare una scossa al torpore di trent’anni di potere democristiano ci si è messo anche il terremoto.

Pordenone, grazie al boom degli anni Sessanta, necessitava in quel periodo di una serie di uffici, scuole e strutture nuove che dessero dignità alla fresca nomina a capoluogo di provincia (1968). Questo ha significato per la città un massiccio arrivo di “nuovi pordenonesi” dal resto dell’Italia, soprattutto dal sud, per coprire le nuove professionalità. Fra le tante strutture sorte in quegli anni a Pordenone c’era anche il Centro di Salute Mentale col suo manipolo di psichiatri basagliani provenienti principalmente dal meridione. Arrivo che ha messo, in qualche modo, in discussione l’identità dell’autoctono, il quale non ha trovato di meglio che imbastire convegni dal tema: “cosa significa pordenonesità”. Insomma, sotto traccia, come un percorso neanche tanto carsico, esisteva già allora il problema dell’immigrato con tutte le conseguenze relative (dall’affittargli un appartamento in giù)!

L’arrivo di giovani menti, fresche e aperte alla diversità nelle sue più svariate forme, dette vita, assieme ad altri soggetti, alla Cooplibri; ma il manipolo di animatori, slegato dai partiti tradizionali, venne quasi subito espulso per troppo successo (sic!). Erano, tra l’altro, tutta gente che veniva da “fuori”, quindi doppiamente fuoriusciti, come la meranese Hilde Brugger, animatrice principe della Cooplibri, il sottoscritto, nato ad Ancona, bancario involontario, i salernitani Giancarlo Postiglione e Gianfranco Virgilio, psichiatri “sudisti”, etc. Tutte persone che, dopo varie discussioni, pensarono che non si poteva disperdere così un bagaglio di esperienze maturate insieme.

A Pordenone, nonostante quattro cinema funzionanti, non arrivavano moltissimi film imperdibili per cui si decise di tentare di colmare la lacunosa proposta cinematografica cittadina. Senza alcuna risorsa finanziaria ma solo tanta passione venne deciso che tale proposta di integrazione culturale cinematografica in città doveva essere supportata dall’ente pubblico, in particolare dal Comune. L’unica sala dismessa, che l’Amministrazione Comunale ci avrebbe messo a disposizione, il CRAL di Torre, era in aperta periferia, per cui venne spontaneo, a quel punto, cercare il coinvolgimento di due esponenti di quel quartiere, zona operaia per antonomasia, come Vincenzo Milanese, attivo membro del comitato di quartiere e Roberto Cancian, l’unico che allora sapeva maneggiare con perizia un proiettore.

Postiglione consigliò anche di coinvolgere un giovane psicologo appena atterrato al Centro Igiene Mentale, il casarsese Piero Colussi, che già si era occupato del cineforum di Casarsa.

Il sottoscritto, dal canto suo, riuscì a convincere Enrica Bellotto e l’architetto-fotografo-viaggiatore purililiese Gianni Pignat ad entrare nella compagine. Non pago pescò, inoltre, fra le sue amicizie bancarie e coinvolse il gemonese Marco Casolo e Giovanni Lessio da Longarone, che attirarono nella rete a loro volta Daniela Morassut e Viviana Darduin. Il salernitano Virgilio dal canto suo implicò nell’impresa l’iberica Montserrat Fort Orts e Guglielmo Fontana. Insomma una compagine composta principalmente da elementi provenienti “da fuori” specchio del resto della società che si stava formando in città. Dopo una serie di riunioni in via Ippolito Nievo, luogo che divenne anche la prima sede dell’associazione, il manipolo si presentò, nel marzo 1978, davanti al notaio Pirozzi per firmare l’agognato atto di nascita del sodalizio: cinemazero perchè si comincia da zero! Erano tredici, giovani e forti. Mancarono a quell’appuntamento soltanto Hilde Brugger e Giancarlo Postiglione partiti in quei giorni per un improvviso e improrogabile impegno familiare. Il resto è storia.