Un cinéphile militante
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Dove la mano dell’uomo non aveva messo piede …
sentieri di cinema!
Di Andrea Crozzoli
«Andavo quasi ogni sera a cena con Pasolini, Moravia e i loro amici. Questa è stata la mia università!» ci disse sorridendo Bernardo Bertolucci mentre in auto percorrevamo la strada da Pordenone a Casarsa. Era venuto in Friuli Bertolucci per presentare Piccolo Buddha (1993) ed aveva espresso il desiderio di andare a Casarsa, alla tomba di Pier Paolo Pasolini.
Nel percorso chiese di conoscere di più e meglio le origini di Cinemazero e di fronte al fatto che nessuno di noi aveva una specifica formazione cinematografica universitaria ci raccontò del suo percorso formativo a fianco non solo di poeti e scrittori ma anche a fianco di un critico, saggista e organizzatore culturale come Adriano Aprà che scelse poi, nelle vesti di attore, in Agonia uno degli episodi del film collettivo Amore e rabbia (1969).
E proprio Adriano Aprà era la liaison che ci univa nella nostra formazione di cinéphile ad oltranza, formatisi sul campo.
Adriano Aprà ci ha lasciato il 15 aprile 2024, ad 83 anni, e la mente corre subito agli anni Ottanta del secolo scorso quando andavamo a Pesaro per seguire la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema che lo vedeva in prima linea accanto ai fondatori Lino Micciché e Bruno Torri. Un festival nato nel 1965 che ha, di fatto, figliato innumerevoli altre manifestazioni in giro per la penisola come il Festival di Salsomaggiore, quello di Torino e così via.
Pesaro in quegli anni era una tappa obbligata per chi amava il cinema. Un momento formativo importante per generazioni di cinéphile, grazie soprattutto alla curiosità infinita di persone come Aprà che “ha sempre promosso un percorso di approfondimento di cinematografie meno conosciute senza dimenticare autori capaci di proporre un cinema al di là dei codici prestabiliti e lavorando molto sul cinema della non fiction senza distinzioni tra finzione e documentario”. Memorabile fu la retrospettiva sul cinema americano indipendente, novità assoluta per quegli anni, con anche momenti di spassosa ilarità quando il traduttore in simultanea in cuffia trasformò un sospirato “Jesus!” mormorato sullo schermo da Dennis Hopper per lo scampato pericolo in “Madonna!”, suscitando grandi applausi in sala.
Aprà era un grandissimo direttore di festival, un organizzatore culturale visionario e anticipatore, una persona curiosa e aperta al nuovo, un instancabile catalogatore di cinema, di immagini, di inquadrature e con la sua sagace ironia trasmetteva tutto questo e noi rubavamo con gli occhi; imparavamo l’abc di come si fanno bene le cose di cinema. Non per nulla anche Alberto Barbera, direttore della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, ha dichiarato: «Per un’intera generazione di spettatori, alla quale anch’io appartengo, è stato un maestro e un interlocutore privilegiato».
Nel 1966 Aprà, a soli 27 anni, fondò con altri la rivista Cinema&Film ed aprì il suo primo editoriale con le parole di Godard: «Per me il tempo dell’azione è passato. Sono invecchiato. Comincia quello della riflessione!».
Tempo della riflessione che gettò, all’epoca, un sasso nell’immobile stagno della critica e della storiografia cinematografica italiana; una riflessione scaturita attraverso una rivista realizzata grazie anche all’interessamento di Pier Paolo Pasolini che pregò Garzanti di intervenire finanziando e distribuendo il periodico.
Venne anche per molti anni a Pordenone, e non poteva essere diversamente per Aprà, onnivoro divoratore di immagini, per seguire Le giornate del cinema muto e nel 2017 per il Pordenone Docs Fest curò anche il saggio Breve ma veridica storia del documentario. Dal cinema del reale alla nonfiction (Edizioni Falsopiano).
Accanto alla sua sterminata produzione letteraria e saggistica, di operatore culturale e molto altro ancora, Adriano Aprà si pose anche davanti alla macchina da presa, non solo per Bernardo Bertolucci ma anche per Mario Schifano dove all’inizio del suo film Satellite lesse una sorta di proclama sui film del futuro: «Cinema di sangue e di rabbia sterminatrice, piani-sequenza che accumulano cadaveri, colori, gag, week-end. Cinema di scambi e di pensieri tra me e te e te: me regista, te attore, te spettatore. Primo vero cinema di parola. ‘La mano che infligge la ferita è anche quella che la guarisce’, ha detto qualcuno. Ecco, tra il cinema della violenza e il cinema della ricostruzione, non voglio, non devo scegliere!». Forse la più bella dichiarazione critico-teorica di un cinéphile militante qual’era sempre stato Adriano Aprà.