#Venezia78
reportage dalla Mostra del Cinema di Venezia
di Marco Fortunato
Un programma ricco, anzi ricchissimo quello della 78ma edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia (1-11settembre) che in molti, tra pubblico e addetti ai lavori, sperano sia di buon auspicio per la ripartenza dell’intero settore.
Almodovar, Sorrentino, Villeneuve, Martone sono solo alcuni dei nomi attesi al Lido – e speriamo a breve in sala – insieme al gotha degli autori d’essai e a non poche anteprime di quei titoli più “commerciali”. Una tendenza, quella ad ospitare grandi produzioni hollywoodiane, via via crescente negli ultimi anni e motivata dalla voglia di allargare il pubblico festivaliero (con titoli più pop che offrono sicuramente maggior chance di ritorno mediatico) e di guadagnare riconoscimento internazionale nella corsa ai grandi premi, su tutti gli Oscar.
Ad aprire il festival Madres paralelas, nuovo film di Pedro Almodóvar, storia di due donne agli antipodi, che la vita ha scelto di far incontrare in una stanza di ospedale. Una grande ritorno, quello del Premio Oscar spagnolo che proprio a Venezia ebbe la sua consacrazione con Donne sull’orlo di una crisi di nervi e che promette di raccontare il suo universo femminile in maniera inedita, con molti gesti e poche parole. Dal trailer, privo di dialoghi, pare proprio che la promessa verrà mantenuta.
Pochi giorni dopo sarà la volta della prima mondiale (fuori concorso) dell’attesissimo Dune di Denis Villeneuve. Quasi tre ore di sci-fi tratto dal romanzo cult di Frank Herbert il cui adattamento cinematografico era già stato tentato – senza successo – da David Lynch, nel 1984, e, una decina d’anni prima, da Alejandro Jodorowsky. Villeneuve, che ha già annunciato di essere al lavoro sul sequel del film (anzi di aver messo la possibilità di realizzarlo come condizione stessa per accettare di fare il primo film) ha colto l’occasione dell’imminente presentazione per ribadire l’importanza della visione in sala, portando proprio l’esempio della sua opera. “Francamente, guardare Dune in televisione è come guidare un motoscafo nella tua vasca da bagno. È un film che è stato realizzato come tributo all’esperienza del grande schermo. ”
Quasi in contemporanea al via anche le proiezioni dei film italiani, ben 5 quelli in concorso, decisi a giocare un ruolo da protagonisti nella corsa al Leone d’Oro.
Un numero davvero considerevole, come ha sottolineato il diretto della Biennale Alberto Barbera in occasione della conferenza stampa di presentazione del programma, precisando però come questa “non sia una scelta nazionalistica ma fotografi un momento di grazia nel quale cineasti affermati sembrano in grado di esprimersi al meglio delle loro capacità, mentre altri si confermano punti di riferimento imprescindibili per il cinema di oggi e di domani.”
Nella prima categoria rientrano certamente Paolo Sorrentino e Mario Martone. Il regista e sceneggiatore Premio Oscar torna nella “sua” Napoli con È stata la mano di Dio una storia intima che mescola tragici fatti personali (la scomparsa di entrambi i genitori a soli 16 anni) con il mito, dentro e fuori dal campo di Diego Armando Maradona che per i partenopei è stato molto di più di un semplice calciatore. Nonostante i dubbi di queste settimane il film, prodotto da Sorrentino stesso, uscirà in contemporanea al cinema e su Netflix.
Sempre Napoli che fa da cornice alla lunga e appassionata lettera d’amore al teatro e in particolare all’opera di Eduardo Scarpetta, padre di Eduardo De Filippo, firmata dal maestro Mario Martone che dirige Toni Servillo in Qui rido io.
Tra le file dei giovani che già rappresentano un punto di riferimento del cinema made in Italy ci sono sicuramente i fratelli D’Innocenzo che, dopo l’acclamato Favolacce (premiato alla Berlinale), proseguono il loro percorso artistico insieme a Elio Germano, protagonista di America Latina un thriller d’amore disincantato e brutale.
Difficile invece definire con un genere cinematografico Freaks Out, attesissima opera seconda di Gabriele Mainetti che, dopo il folgorante esordio con Lo chiamavano Jeeg Robot – film autoprodotto che fece incetta di premi – tenta il grande salto cimentandosi con un kolossal (per le finanze italiane) da ben 15 milioni di euro. Ambientato all’indomani dell’occupazione di Roma durante la Seconda Guerra Mondiale Freaks Out vuole essere, nelle parole dello stesso Mainetti “un racconto d’avventura, un romanzo di formazione e – non ultima – una riflessione sulla diversità.”
Chiude la squadra italiana un altro ritorno, dopo undici anni, quello di Michelangelo Frammartino che porta in concorso Il buco. “Ci è voluto tantissimo per fare questa opera che ricostruisce con grande rigore l’impresa di un gruppo di speleologi piemontesi” ha dichiaratol’autore, parlando dell’opera come una vera e propria sfida dal punto di vista cinematografico “Le grotte costituiscono un fuori campo assoluto, anche perché la notte eterna che regna al loro interno sembrerebbe quanto di più ostile alla macchina da presa. Eppure, chi ama il cinema sa bene che il fuori campo, l’invisibile, rappresentano la sua “sostanza” più profonda.”
Occhi puntanti anche su Spencer di Pablo Larraìn – con Kristen Stewart nei panni di Lady Diana, incentrato sul weekend natalizio dei primi anni ’90, durante il quale Lady Di decise di separarsi dal Principe Carlo – e sul ritorno di Paul Schrader con Il collezionista di carte che si muove negli ambienti del gioco d’azzardo. E per finire impossibile non citare un amico di Cinemazero e habitué del Lido, il documentarista e accademico Andrea Segre che sarà alla Mostra per il terzo anno consecutivo. Dopo Il pianeta in mare e Molecole, Segre sbarca alle Giornate degli Autori con Welcome Venice che racconta passato e presente della città tra vecchi mestieri e deriva commerciale. Un’analisi sul rapporto tra economia e vita che non vuole però essere un’operazione nostalgia perché, precisa, “il passato contiene anche molti dolori”. Il regista di Dolo presenterà anche un altro lavoro (il 31 agosto), Il cinema al tempo del Covid. “L’anno scorso la Biennale mi ha chiesto di documentare un’edizione forse unica, forse storica (ancora la domanda è aperta) della Mostra del Cinema” –racconta Segre – “Ero impegnato in un altro lavoro e avevo pochi giorni a disposizione, ma la sfida era bella e l’ho accettata. Ne è nato un piccolo diario filmato, non posso chiamarlo film, sono appunti in presa diretta di un pezzo inatteso della storia della Mostra e del cinema, sono semplicemente uomini e donne incontrate nel cuore della Mostra, che riflettono su quanto stanno e stiamo vivendo”.