VISIONARIE APERTURE MANIFESTE

Con l’illustrazione, per uscire dal nostro quotidiano

Di Riccardo Costantini

A breve in uscita il nuovo catalogo/libro d’artista con tutte le opere di Zero_Comix

Si fa spesso torto quando si tratta di scegliere fra più artisti e più opere quella più significativa. In questo caso, però, siamo giustificati se indichiamo Giorgio Carpinteri e l’illustrazione del suo “Quadernetto antivirus”: la copertina del libro “Dal cinema muto al cinema chiuso” (per “Speranza editore”, con ovvio riferimento all’attuale Ministro della Salute) suona perfettamente confacente alla situazione pordenonese, abituata a tutt’altro ritmo cinematografico, fra festival, iniziative in vari luoghi, collaborazioni e contaminazioni, e – soprattutto – caratterizzata da sale sempre attive,  aperte e accoglienti.

Ovviamente, nulla da recriminare: di buon grado, facendo la nostra parte per contrastare la diffusione della pandemia da Covid19, abbiamo mantenuto chiuse le nostre sale (a oggi, fine marzo 2021, ininterrottamente dal 25 ottobre 2020). Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo lavorato sui nostri archivi, sui progetti della Mediateca e didattici, sulla proposta di contenuti on-line…ma abbiamo sofferto tremendamente la chiusura prolungata: mai nella storia del cinema le proiezioni si erano fermate per così tanto tempo, nemmeno durante le guerre mondiali! E guardiamo ancora con speranza (no, non è un facile gioco di parole) alla possibile e auspicata risoluzione in meglio della situazione pandemica per offrire di nuovo grande cinema su grande schermo… Un periodo, appunto, storico, seppur in negativo, che non ha però fermato la volontà di portare il bello anche nel piccolo di un minuscolo – ma conosciutissimo, per altri fini – spazio espositivo: dopo il primo riuscito esperimento con l’arte contemporanea – curato da Matteo Attruia – che ha popolato gli spazi usualmente dedicati alle locandine cinematografiche con opere inedite e originali di artisti contemporanei del nostro territorio, abbiamo “aperto” le bacheche fuori dalle nostre sale alla grafica in nome di un sodalizio antico e felice con l’associazione VivaComix, che da decenni fa da catalizzatore di moltissime energie legate all’illustrazione (e non solo) sul territorio di Pordenone. Il festival dell’animazione, curato da Paola Bristot che presiede anche l’associazione di cui sopra, ci ha offerto nel tempo la possibilità di liberare la nostra fantasia – fra corti e lungometraggi – viaggiando nel mondo spesso sconosciuto per il largo pubblico del disegno animato, fra autori notissimi e non. La storica collaborazione con VivaComix e il suo festival risponde anche a una logica di complementarietà che Cinemazero fa sempre sua, quando vi sono altre eccellenze nel territorio che hanno sviluppato un sapere specifico: così, allo stesso modo, in un progetto che non poteva che chiamarsi Zero_Comix, facendo crasi concreta fra le due anime degli enti organizzatori, gli spazi delle bacheche usualmente votate ai film hanno passato simbolicamente la mano in continuità ad artisti che con il cinema hanno avuto frequentazioni dirette o molto sentite. Paola Bristot ha coinvolto nomi di caratura  internazionale come quelli di Lorenzo Mattotti e Franco Matticchio, non nuovi agli schermi di Cinemazero, e ha giustamente – vista la qualità – dato spazio a una selezione originale in cui i lavori di Gabriella Giandelli, Virginia Mori e Giorgio Carpinteri hanno colpito il pubblico per la diversità di stili e la loro originalità, spesso graffiante od oniricamente ironica. L’omaggio conclusivo non poteva che essere con e a Davide Toffolo, fumettista notissimo di Pordenone, frontman dei Tre Allegri Ragazzi Morti, che proprio nei giorni della sua esposizione portava la sua voce sul palco del festival della canzone italiana di Sanremo.

Le parole “evidenziate” del suo “Pasolini”, già ospitato nella versione live-show da Cinemazero, ci lasciano uno dei molti elementi che costituiscono la significativa frase di sintesi del percorso Zero_Comix, offerto con successo al pubblico che ha sostato numeroso di fronte alle bacheche per le 6 settimane del progetto: “La mia forza implica la solitudine, che è la mia debolezza”. Chiusi nelle nostre case (illuminati da fioche luci e osservanti l’esterno come nelle tavole di Franco Matticchio), distanti, più deboli, spaesati nei momenti dell’uscita in città (come gli uccelli sproporzionati di Gabriella Giandelli), ci siamo ritrovati ad ammettere la nostra voglia di evadere, di viaggiare con la fantasia, anche per un attimo ma intenso e puro (il lavoro di Lorenzo Mattotti), ammettendo i limiti anche visibili di questo momento, di esseri umani che vogliono essere (o sono sempre) altro da sé (le illustrazioni di Virginia Mori), capaci – auspicabilmente – di trovare l’ironia giusta per affrontare ogni giorno la situazione (le opere di Giorgio Carpinteri), magari pensando (e ammiccando) al cinema e alla sua capacità di fare tutto quanto appena ricordato nell’arco di qualche fotogramma. Quelle immagini che sogniamo di rivedere. Sogno che diventerà realtà, prima o poi. Speriamo presto.

71 BERLINALE PRIMO TEMPO

Di Lorenzo Codelli

«Se andate a una fiera letteraria non vedete gente in abito di gala ma solo amanti dei libri, autori che scrivono, incontrano il pubblico e basta. Niente stronzate tipo tappeti rossi, vetture sponsorizzate e tutto il resto. Capisco che i festival abbiano un prezzo da pagare per esistere, ma quest’anno non c’è stato e io ne sono felicissimo».

Radu Jude, vincitore dell’Orso d’oro alla 71 Berlinale per Babardeală cu bucluc sau porno balamuc (Chiavata sfigata o folle porno). L’autore rumeno, già Orso d’argento nel 2015 con Aferím!, e presente al Forum berlinese dello scorso anno con ben due film, ha ribadito più volte la propria soddisfazione per lo svolgimento on line, senza cerimoniali nè salamelecchi formali, del festival. I suoi sberleffi prolungati, espressi tramite una scoppiettante satira sociale degna di Marco Ferreri – con personaggi rigorosamente coperti da maschere antivirus -, verranno, si spera, applauditi dal pubblico berlinese a giugno, durante l’annunciato «secondo tempo» della manifestazione.

Nel primo tempo, svoltosi dall’1 al 5 marzo per gli addetti ai lavori, è stato servito un centinaio abbondante di lungometraggi, suddivisi, secondo la tradizione, in diverse sezioni, oltre agli innumerevoli titoli disponibili per i professionisti dell’European Film Market. La stampa tedesca ne ha reso conto parcamente, rimandando stellette e verdetti all’auspicata edizione estiva. Quella internazionale l’ha osannato. Jonathan Romney, veterano critico del Guardian, ha titolato così il suo entusiastico bilancio: «La selezione più impressionante da anni, senza glamour, nè grande schermo, nè freddo, un’edizione virtuale modesta eppure trionfale». Personalmente, ho visionato sì molti più film, belli o brutti, di quanti ne avrei catturati in passato nell’arco di dieci giorni, senza code infinite, rischi sul ghiaccio, trasferimenti da un capo all’altro della metropoli, scioperi aeroportuali ecc. E i concerti, i musei, le esposizioni, le librerie, le sale cinematografiche d’epoca con i loro pubblici ben differenziati, quartiere per quartiere, Est e Ovest, li rimpiango, eccome!

Nè Cannes, nè tantomeno Venezia, offrono un patrimonio socioculturale in moto perpetuo come fa Berlino. Qualche flash cinematografico marzolino. Il robot umanoide interpretato da Dan Stevens in Ich bin dein Mensch, fantacommedia romantica di Maria Schrader, premio alla protagonista Maren Eggert per la migliore performance (premio dato per la prima volta senza far distinzioni di sesso). Il pazientissimo maestro scolastico Dieter Bachmann del bel documentario Herr Bachmann und seine Klasse di Maria Speth. Lo sbirro-velista incarnato da Jérémie Renier in Albatros di Xavier Beauvois. La fotografia in grigio-grigio di Inteurodeoksyeon (Introduzione) del prolificissimo Hong Sangsoo. I sincopati ritmi anni ‘60 di Lucio Dalla rievocati da Pietro Marcello in Per Lucio. Le allucinanti minacce neonaziste profetizzate in Je suis Karl di Christian Schwochow. I binari ferroviari all’alba, alla periferia parigina, in Nous, autoritratto di Alice Diop meritatamente premiato alla sezione Encounters. Le impressionanti foto scattate nei lager nazisti dai deportati ebrei e riportate alla luce da Christophe Cognet in À pas aveugles.

BERNARDO BERTOLUCCI:

un poeta dietro la macchina da presa

Di Andrea Crozzoli

In questo pandemico 2021 Bernardo Bertolucci avrebbe compiuto 80 anni. Occasione propizia, dunque, per veder finalmente pubblicata dalla casa editrice La nave di Teseo l’imperdibile sua lectio doctoralis Il mistero del cinema tenuta all’Università di Parma nel 2014, e occasione altrettanto propizia per ristampare dall’editore Garzanti la raccolta delle sue poesie giovanili In cerca del mistero, volume a suo tempo insignito del premio Viareggio-opera prima nel 1962.

Ciò che lega i due volumi non è solo l’autore, uno dei registi – se non il regista – più internazionale che abbia avuto il cinema italiano, ma anche la parola “mistero” e Bernardo Bertolucci tenta con la sua lectio doctorali di indicarci una qualche via da percorrere per tentare di addentrarci nel mistero della sua creazione artistica. Creazione che passa, prima ancora del cinema, attraverso il distillato della parola scritta, ovvero la poesia. Figlio di Attilio, uno dei maggiori poeti contemporanei, aveva respirato poesia fin dalla culla. I suoi primi componimenti, intrisi di dolce malinconia, come i versi de L’ombra affiorano già alle elementari

Mi piace l’ombra con il suo passo lieve,

Mi segue sempre, è sempre al mio fianco.

È nera, nera anche se c’è la neve …

Poesie che dovevano per forza confrontarsi con la vivida bellezza dei versi paterni; quel padre Attilio che, come affermerà Bernardo in più occasioni, li aveva resi (lui e suo fratello Giuseppe) così figli da non poter essere a loro volta genitori. Nell’adolescenza di Bernardo sarà un’altra figura paterna ad affiancarsi, quella di Pier Paolo Pasolini, all’epoca trasferitosi da poco nello stesso stabile dei Bertolucci. La figura di Pasolini contribuirà, in qualche modo, a costruire la poetica di Bernardo, tanto da fargli dichiarare che considerava una sorta di sua università quelle lunghe sere trascorse al ristorante con Alberto Moravia, Elsa Morante e lo stesso Pasolini ad ascoltare in silenzio le loro discussioni. In quegli stessi anni Pasolini gli dedicherà A un ragazzo, una lunga lirica che fotografava in maniera puntuale ed affettuosa la partecipazione di Bernardo a quei convivi

Col sorriso confuso di chi la timidezza
e l’acerbità sopporta con allegrezza,

vieni tra gli amici adulti e fieramente
umile, ardentemente muto, siedi attento

alle nostre ironie, alle nostre passioni.
Ad imitarci, e a esserci lontano, ti disponi,

vergognandoti quasi del tuo cuore festoso…

Seguendo il percorso di Pier Paolo Pasolini nel labirintico mistero del cinema, prima come aiuto regista in Accattone, e subito dopo firmando, a soli 21 anni, la regia di La commare secca da un soggetto dello stesso Pasolini, per Bernardo si dischiudono nuovi orizzonti. Era il 1962 e, nello stesso anno del premio Viareggio per la raccolta delle poesie In cerca del mistero, si ritrovava anche alla Mostra del Cinema di Venezia con La commare secca dove raccoglieva lusinghiere critiche. Quest’opera segnava l’inizio di una folgorante carriera nel cinema con capolavori come Strategia del ragno, Il conformista, Ultimo tango a Parigi e tanti altri fino al suo momento apicale, nel 1988, con i nove Oscar assegnati a L’ultimo imperatore cui fece seguito nel 1991 l’attesissimo Il tè nel deserto. Quella pellicola fu il primo film importante che Cinemazero riuscì a presentare in uscita nazionale (era uno degli eventi di Natale più attesi del momento) rompendo così la resistenza dei noleggiatori che al tempo ci consideravano poco remunerativi. Il film, in cartellone dal 21 dicembre 1990 al 10 gennaio 1991, totalizzò oltre settemila presenze, un record per Cinemazero rimasto imbattuto per molti anni. Non avevamo avuto il coraggio di invitare Bernardo Bertolucci, richiestissimo da mezzo mondo, ma coscienti dell’importanza di questa uscita nazionale invitammo Gabriella Cristiani, fresca di Oscar per il montaggio de L’ultimo imperatore e montatrice anche per Il tè nel deserto. Appena giunta a Pordenone la Cristiani ci raccontò che in aeroporto aveva incontrato Bernardo, informandolo che lei stava andando a Pordenone invitata alla proiezione de Il tè nel deserto. Risposta di Bertolucci: «Però! A me nessun invito!».

Nel gennaio 1994 l’invito riparatore. Arrivò così a Pordenone, per la prima volta, Bernardo Bertolucci per presentare, in un caloroso e affettuoso bagno di folla, Piccolo Buddha. Il viaggio in Friuli lo portò, nei giorni seguenti, su sua precisa richiesta sui luoghi “pasoliniani”: dal cimitero di Casarsa, dove volle sostare in silenzio davanti alla tomba di Pier Paolo Pasolini, alla piccola costruzione lungo i binari dismessi dove Pasolini aveva allestito, durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, una piccola scuola, alla chiesetta di San Antonio a Versutta con gli affreschi fatti riemergere dallo stesso Pasolini. Una specie di ritorno al passato per Bernardo Bertolucci che considerava Pasolini come un suo secondo padre, dal quale aveva cercato cinematograficamente di svincolarsi attraverso un linguaggio filmico diverso. Per questo aveva sposato un altro padre, quel Jean Luc Godard che tanto ammirava e spesso citava nel suo cinema.

Ma la matrice poetica di Bernardo Bertolucci, nonostante avesse abbracciato totalmente il cinema, era rimasta intatta, il suo sguardo si posava delicatamente sulle cose e sulle persone con grazia e levità perché, come diceva sempre di lui Giorgio Bassani: «Bernardo è bello dentro e bello fuori.».

Nel 2003, quando già le sue gambe mostravano evidenti segni di cedimento, volle essere presente alla proiezione romana presso il Nuovo Sacher di Nanni Moretti di Pasolini prossimo nostro il bel documentario diretto dal fratello Giuseppe e prodotto da Ripleys e Cinemazero. Dopo la proiezione andammo tutti assieme in un ristorante di Porta Portese per continuare la discussione; noi, Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Nanni Moretti ed altri ancora. Quasi un tentativo di replica delle mitiche serate con Moravia e Pasolini.

Nel 2011 Bernardo Bertolucci ritornerà a Pordenone per Lo sguardo dei maestri a lui dedicato incontrando oltre mille persone al teatro Verdi gremito in ogni ordine di posti. Una disponibilità commovente nel momento in cui veniva chiamato in vari angoli del globo per ricevere Palme d’Oro e altri prestigiosi premi ed omaggi.

Con l’usuale sensibilità poetica aveva risposto all’invito scrivendomi: “… devo ringraziarti per la tua lettera che con la dolcezza e la sapienza di Cinemazero ha costruito per me una gabbietta di cui solo voi avete le chiavi. Dovrò proprio essere con voi a Pordenone …”.

A tre anni dalla sua scomparsa, e ottanta dalla nascita, il mistero della sua genialità creativa, anche se meno fitto di prima, continua in maniera inafferrabile. In ogni caso tanti auguri Bernardo Bertolucci!

SALA, SUPPORTO, STREAMING.

Di Marco Fortunato

Sala, supporto, streaming: tre parole, spesso usate in maniera alternativa e spesso oppositiva per esprimere tre modalità, oggi, di vedere un film (o per meglio dire un contenuto audiovisivo). Ne abbiamo parlato molto, forse troppo, nella costante ricerca di una loro specificità in particolare – inutile nasconderlo – riguardo alla sala. La situazione attuale è sotto gli occhi di tutti. Da una parte lo streaming che mai come oggi vive il suo momento d’oro, di massima espansione, con una proliferazione di piattaforme che sembra non avere fine. Ognuna con una formula, un abbonamento, un algoritmo che si propone di creare un’offerta personalizzata, bulimica (certe serie vanno viste tutte d’un fiato, tanto che si può addirittura saltare la sigla tra una puntata e l’altra) e rigorosamente “disegnata” sui gusti dello spettatore. In mezzo il “supporto”, DVD o Bluray, solo per citare i due più noti. Un mercato in progressivo declino, nato per soddisfare nato l’esigenza degli appassionati che, al piacere della visione, uniscono quello del possesso di una copia del film. Un’idea che avrebbe potuto, secondo alcuni, rivoluzionare il consumo cinematografico (per portarlo dalla sala a casa) ma che oggi sconta pesanti problemi strutturali, tra cui difficoltà tecniche – i costi di realizzazione per quanto ottimizzati non sono comunque risibili – che hanno portato a tirature limitate e difficoltà di reperibilità che non ne agevolano la commercializzazione, scarsi investimento, che si sono tradotti in scarsa qualità e naturalmente la concorrenza dello streaming. Dall’altra parte la sala cinematografica, luogo di cultura e socialità, al momento assente (speriamo ancora per poco), in attesa di capire quale sarà il suo ruolo nel futuro. Un mercato già in grande difficoltà prima della pandemia e sottoposto a forti pressioni dalla crescente concorrenza delle piattaforme che si troverà a breve a fare i conti con uno scenario ricco di incognite: quanti e quali film saranno ancora disponibili? Come reagirà il pubblico di oltre un anno di astinenza forzata dalla visione collettiva?

In più occasioni abbiamo portato il nostro pensiero ed espresso la convinzione che la visione di un film insieme, l’esperienza collettiva e di condivisione rappresentata dal recarsi fisicamente in un luogo diverso da casa nostra per vedere un film insieme a degli sconosciuti (che altro non condividono con noi se non l’aver scelto di vedere quel film in quella sala e a quell’ora) e in particolare l’elemento umano che è parte di tutto il processo siano insostituibili.

Oggi aggiungiamo un altro elemento. Quello della memoria.

Lo spunto è uno studio dell’MIT – Massachusetts Institute of Technology (un grazie a Paola Corti del Cinema Beltrade di Milano per averlo ripreso sulla sua pagina Facebook) che due anni fa ha effettuato un esperimento su 10.000 persone divise equamente per sesso, età e istruzione.

Il test era semplice. Ognuno dei candidati doveva vedere 15 film scelti in alternanza, 5 in sala, 5 con supporto, 5 in streaming. C’era solo un “piccolo” obbligo. In sala si dovevano vedere film che avevano incassato meno, sul supporto gli incassi medi, in streaming i grandi incassi. I film dovevano essere usciti tra il 2010 e il 2015. Dopo un mese ogni candidato veniva ricontattato per un test su cosa ricordasse di quello che aveva visto. Questi i risultati. Le femmine ricordavano perfettamente 5/5 dei film visti in sala, 3/5 sul supporto, 2/5 sullo streaming, I maschi 4/5 dei film visti in sala, 3/5 sul supporto, 1/5 per lo streaming. Tra i titoli più ricordati Hateful Eight, Inception, Mommy, A Dangerous Method. Il più apprezzato e ricordato Ex Machina visto in sala. Tra i meno ricordati Tree of Life, Thor, L’ Uomo d’ Acciaio, Il Grande Gatsby, Jobs. Gravity, visto in streaming, non lo ricordava nessuno.

Ecco un altro valore aggiunto della sala, su cui converrebbe riflettere. Ma a noi, come sempre, piace chiudere con un auspicio, questa volta citando le parole di Luca Baroncini* in un’intervista rilasciata a collettiva.it “i film possono essere ovunque, ma il cinema è solo in sala. Non resta che incrociare le dita e quando le sale riapriranno non solo parlarne, ma frequentarle. Siamo stanchi di proclami, attestati di stima e pacche sulle spalle, occorrono fatti. Questi si concretizzano nel sostegno economico del governo in primis, ma anche nelle nostre scelte di spettatori.”

* Redattore della rivista di cinema Gli Spietati ed esperto di box office: da anni è responsabile della rubrica Il Barometro, che monitora con cura l’andamento del cinema in sala, gli incassi e le tendenze, e cerca di interpretarle.