Vittorio Storaro
Scrittore della Luce
Di Andrea Crozzoli
«Passeggiavo sulla spiaggia di Sabaudia e tiravo pugni all’aria nel tentativo di elaborare la perdita di un compagno di lavoro unico.» confessa Vittorio Storaro quando gli chiediamo il segreto di uno dei più longevi sodalizi cinematografici, quello con Bernardo Bertolucci.
«Non ci siamo mai lasciati in realtà. Ho sempre continuato a seguire, anche da lontano, la carriera di Bernardo Bertolucci; anche ora – prosegue Storaro – per il restauro di tutta la sua filmografia ho curato tutte le varie fasi di lavorazione.»
Ha appena compiuto ottant’anni Vittorio Storaro e lo incontriamo in occasione dell’omaggio che Le giornate della luce (festival spilimberghese dedicato ai direttori della fotografia) gli hanno dedicato per questo importante traguardo. Come sua consuetudine è un fiume di parole, affabulatorio, disponibile, cordiale. Il primo incontro con Bernardo Bertolucci risale al 1964 sul set di “Prima della rivoluzione” opera seconda del regista parmense. Storaro in quell’occasione era assistente alla macchina del direttore della fotografia Aldo Scavarda.
«Nel 1970 Bernardo doveva girare “La strategia del ragno”, un piccolo film per la televisione – ricorda Storaro – liberamente ispirato ad un racconto di Jorge Luis Borges e mi propose di seguire la fotografia. In una libreria romana mi mostrò un libro su Magritte per farmi capire che tipo di atmosfera desiderava per il film. L’intesa fu subito perfetta.»
Un sodalizio che li vide uniti in altre sette opere: dal “Il conformista” (1970), a “Ultimo tango a Parigi” (1972), per poi proseguire con “Novecento” (1976), “La luna” (1979), “L’ultimo imperatore” (1987) primo Oscar per Storaro come miglior fotografia, “Il tè nel deserto” (1990), “Piccolo Buddha” (1993) ultima loro collaborazione.
«Aveva bisogno di provare altro – ricorda Storaro – ed io caddi in una lunga e profonda depressione dalla quale mi salvò Carlos Saura chiamandomi in Spagna per i suoi film. Con lui lavorai in “Flamenco” (1995), “Taxi” (1996) e “Tango, no me dejes nunca” (1998).».
Oltre agli altri due Oscar vinti per la fotografia di “Apocalypse Now” (1980) di Francis Ford Coppola e di “Reds” (1982) di Warren Beatty, Vittorio Storaro ha avuto l’onore di vedere inseriti nell’elenco dell’American Society of Cinematographers fra 100 film con la migliore fotografia ben cinque film da lui firmati e ben due fra i primi dieci: “Apocalypse Now” in terza posizione e “Il conformista” al settimo posto.
Dopo una pausa di riflessione, dovuta anche a proposte che non lo entusiasmavano, Storaro ha stabilito un nuovo sodalizio con un altro grande del cinema: Woody Allen per il quale ha curato la fotografia di “Café Society” (2016), “La ruota delle meraviglie” (2017), e “Un giorno di pioggia a New York” (2019).
«C’è anche un quarto film con Woody Allen, “Rifkin’s Festival” con Gina Gershon, Wallace Shawn e Christoph Waltz che inaugurerà – racconta Storaro – a settembre il Festival Internazionale del Cinema di San Sebastian nei Paesi Baschi. Mentre Bernardo Bertolucci scriveva i film con la macchina da presa, Woody Allen li scrive con la parola. Il suo è un cinema di parola non certo facile da realizzare; ma come autore della fotografia ho anche in questo caso trovato il tono adatto.»
Ci lascia con una precisazione a cui tiene molto: «Noi non siamo direttori della fotografia, siamo autori della fotografia. Siamo solisti diretti da un unico direttore che è il regista. Sono anni che mi batto per far cambiare questa dicitura impropria!».
Facciamo tanti auguri a questo giovane ottantenne, ancora pieno di energie, affinché vinca non solo questa battaglia ma anche tanti altri Oscar, con Woody Allen o con altri maestri del cinema.