aprile 2023

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aprile 2023

Editoriale:

Uno sguardo oltre la crisi In questi ultimi due anni abbiamo più volte avuto occasione di affrontare il dibattito sul (possibile) futuro della sala cinematografica, spesso additando le piattaforme come una delle cause – anche se non l’unica – della crisi della frequentazione delle sale, dando così per scontato che la visione domestica sia necessariamente alternativa a quella della collettiva. Abbiamo più volte speso delle riflessioni incentrate sulla “non comparabilità”...

Uno sguardo oltre la crisi

In questi ultimi due anni abbiamo più volte avuto occasione di affrontare il dibattito sul (possibile) futuro della sala cinematografica, spesso additando le piattaforme come una delle cause – anche se non l’unica – della crisi della frequentazione delle sale, dando così per scontato che la visione domestica sia necessariamente alternativa a quella della collettiva. Abbiamo più volte speso delle riflessioni incentrate sulla “non comparabilità” delle due esperienze ma questo è, evidentemente, un argomento insufficiente, anche perché in grado di fare presa solo su un numero ristretto di spettatori, già provvisti di una sensibilità verso la sala: insomma quelli che venivano al cinema prima della pandemia.

Quello che abbiamo, colpevolmente, affrontato di meno è il valore economico della visione in sala, tema centrale non tanto per chi i film li vede quanto per chi li produce e li distribuisce. Finora il dogma (per la verità mai suffragato da prove) che i film distribuiti in esclusiva sulle piattaforme potessero essere visti da un numero di persone analogo, se non superiore, a quelli che avrebbe visto il film in sala e che il fatto di poter accedere a dei contenuti esclusivi fosse una leva determinante per far aumentare gli abbonamenti – e di conseguenza gli incassi – delle piattaforme, sembrava inattaccabile. Almeno finché non sono arrivati i dati che, come spiega impeccabilmente Robert Bernocchi, commentando la ricerca ESG pubblicata pochi giorni fa (qui l’articolo completo ) dimostrano l’esatto contrario. Analizzando il numero di ore di visione registrate dalle piattaforme emerge con chiarezza che i film che sono prima passati in sala hanno ottenuto risultati nettamente maggiori rispetto a quelli che sono stati resi disponibili esclusivamente in streaming. A cosa sia dovuto questo effetto non è ancora del tutto chiaro: maggiore copertura mediatica (i film che vanno in sala hanno anche una comunicazione aggiuntiva), sviluppo di un passaparola, maggiore iterazione con il pubblico (condivisione di contenuti sui social, ecc). Probabilmente è un insieme di tutto questo ma il dato di fatto è che fare un periodo – anche breve – di sfruttamento in sala è un valore aggiunto per un film che si traduce, in parole povere, in maggior incassi (da abbonamenti e pubblicità) per chi distribuisce e produce il film stesso.

Questione tecnica? Mica tanto, perché il cinema – guai a dimenticarlo – è anche un’industria e come tale dev’essere redditizia per poter avere un futuro che non dipenda solo dai sussidi statali. Perché con la cultura, e con il cinema si mangia, si è mangiato e si continuerà a mangiare!

Non è un caso che anche Disney qualche settimana fa (si vede che a loro la ricerca è arrivata un po’ prima) ha dichiarato che i suoi film, almeno fino al 2024, usciranno sugli schermi delle sale cinematografiche con una finestra garantita di almeno 45 giorni, e non più in maniera ibrida come è accaduto per Black Widow e Jungle Cruise che erano usciti in contemporanea su Disney+. Un annuncio molto atteso, perché non parliamo certo di soli film per bambini. Il listino annovera infatti Guardiani della galassia Vol. 3, Indiana Jones 5, Next Goal Wins oltre agli attesissimi titoli d’animazione su cui spicca La sirenetta. Se questa decisione, come auspichiamo, venisse confermata, abbiamo ragionevoli speranze che l’attuale tendenza – che vede nel primo trimestre un calo medio delle presenze in sala del 30% rispetto al periodo prepandemico – possa essere almeno in parte invertita. Diversamente sarà il caso di inventarsi qualcosa, e presto, poiché una simile contrazione, in qualsiasi settore di mercato, non può lasciare indenne nessuno.

I segnali, per fortuna, non mancano. Dal rinnovo di alcuni strumenti di sostegno – come il tax credit legato alle spese di funzionamento – all’ipotesi, nuovamente citata dal ministro Sangiuliano nei giorni scorsi, di ripristinare una finestra di sfruttamento esclusivo per la sala di 105 giorni. Si tratta ora di capire quali di queste misure, in gran parte provvisorie, diventeranno strutturali e quali dei molti annunci si tradurranno in legge.

Un esempio virtuoso, da cui sarebbe bene prendere ispirazione, è poco distante da noi. Si tratta del mercato francese che lo scorso anno ha chiuso l’anno cinematografico con 151,97 milioni di spettatori, con una flessione del 26,9% sul triennio 2017-2019. L’Italia si è fermata a 44,5 milioni di spettatori con una contrazione del -52.7% rispetto ai tre anni precedenti la pandemia. Oltralpe esiste da un tempo una regolamentazione chiara delle finestre di sfruttamento esclusivo al cinema (anche troppo lunghe secondo alcuni ma almeno delle regole chiare ci sono e tutti sanno come funzionano) e soprattutto un sistema di sostegno alle sale che coinvolge tutta la filiera strutturato in modo che gli incassi raccolti in sala ritornino, almeno in parte, a sostenere la produzione così da incentivare quest’ultima a realizzare film per il cinema e a promuoverli in maniera adeguata. Ne derivano, oltre ai risultati, un sistema più solido e incisivo dal punto di vista economico e dunque più autorevole – in particolare con le associazioni di categoria come l’AFCAE (Association Française des Cinémas d’Art et d’Essai, l’equivalente della nostra FICE Federazione Italiana del Cinema d’Essai) – nei confronti della politica. Sarà un caso. O no?

Uno sguardo oltre la crisi

In questi ultimi due anni abbiamo più volte avuto occasione di affrontare il dibattito sul (possibile) futuro della sala cinematografica, spesso additando le piattaforme come una delle cause – anche se non l’unica – della crisi della frequentazione delle sale, dando così per scontato che la visione domestica sia necessariamente alternativa a quella della collettiva. Abbiamo più volte speso delle riflessioni incentrate sulla “non comparabilità” delle due esperienze ma questo è, evidentemente, un argomento insufficiente, anche perché in grado di fare presa solo su un numero ristretto di spettatori, già provvisti di una sensibilità verso la sala: insomma quelli che venivano al cinema prima della pandemia.

Quello che abbiamo, colpevolmente, affrontato di meno è il valore economico della visione in sala, tema centrale non tanto per chi i film li vede quanto per chi li produce e li distribuisce. Finora il dogma (per la verità mai suffragato da prove) che i film distribuiti in esclusiva sulle piattaforme potessero essere visti da un numero di persone analogo, se non superiore, a quelli che avrebbe visto il film in sala e che il fatto di poter accedere a dei contenuti esclusivi fosse una leva determinante per far aumentare gli abbonamenti – e di conseguenza gli incassi – delle piattaforme, sembrava inattaccabile. Almeno finché non sono arrivati i dati che, come spiega impeccabilmente Robert Bernocchi, commentando la ricerca ESG pubblicata pochi giorni fa (qui l’articolo completo ) dimostrano l’esatto contrario. Analizzando il numero di ore di visione registrate dalle piattaforme emerge con chiarezza che i film che sono prima passati in sala hanno ottenuto risultati nettamente maggiori rispetto a quelli che sono stati resi disponibili esclusivamente in streaming. A cosa sia dovuto questo effetto non è ancora del tutto chiaro: maggiore copertura mediatica (i film che vanno in sala hanno anche una comunicazione aggiuntiva), sviluppo di un passaparola, maggiore iterazione con il pubblico (condivisione di contenuti sui social, ecc). Probabilmente è un insieme di tutto questo ma il dato di fatto è che fare un periodo – anche breve – di sfruttamento in sala è un valore aggiunto per un film che si traduce, in parole povere, in maggior incassi (da abbonamenti e pubblicità) per chi distribuisce e produce il film stesso.

Questione tecnica? Mica tanto, perché il cinema – guai a dimenticarlo – è anche un’industria e come tale dev’essere redditizia per poter avere un futuro che non dipenda solo dai sussidi statali. Perché con la cultura, e con il cinema si mangia, si è mangiato e si continuerà a mangiare!

Non è un caso che anche Disney qualche settimana fa (si vede che a loro la ricerca è arrivata un po’ prima) ha dichiarato che i suoi film, almeno fino al 2024, usciranno sugli schermi delle sale cinematografiche con una finestra garantita di almeno 45 giorni, e non più in maniera ibrida come è accaduto per Black Widow e Jungle Cruise che erano usciti in contemporanea su Disney+. Un annuncio molto atteso, perché non parliamo certo di soli film per bambini. Il listino annovera infatti Guardiani della galassia Vol. 3, Indiana Jones 5, Next Goal Wins oltre agli attesissimi titoli d’animazione su cui spicca La sirenetta. Se questa decisione, come auspichiamo, venisse confermata, abbiamo ragionevoli speranze che l’attuale tendenza – che vede nel primo trimestre un calo medio delle presenze in sala del 30% rispetto al periodo prepandemico – possa essere almeno in parte invertita. Diversamente sarà il caso di inventarsi qualcosa, e presto, poiché una simile contrazione, in qualsiasi settore di mercato, non può lasciare indenne nessuno.

I segnali, per fortuna, non mancano. Dal rinnovo di alcuni strumenti di sostegno – come il tax credit legato alle spese di funzionamento – all’ipotesi, nuovamente citata dal ministro Sangiuliano nei giorni scorsi, di ripristinare una finestra di sfruttamento esclusivo per la sala di 105 giorni. Si tratta ora di capire quali di queste misure, in gran parte provvisorie, diventeranno strutturali e quali dei molti annunci si tradurranno in legge.

Un esempio virtuoso, da cui sarebbe bene prendere ispirazione, è poco distante da noi. Si tratta del mercato francese che lo scorso anno ha chiuso l’anno cinematografico con 151,97 milioni di spettatori, con una flessione del 26,9% sul triennio 2017-2019. L’Italia si è fermata a 44,5 milioni di spettatori con una contrazione del -52.7% rispetto ai tre anni precedenti la pandemia. Oltralpe esiste da un tempo una regolamentazione chiara delle finestre di sfruttamento esclusivo al cinema (anche troppo lunghe secondo alcuni ma almeno delle regole chiare ci sono e tutti sanno come funzionano) e soprattutto un sistema di sostegno alle sale che coinvolge tutta la filiera strutturato in modo che gli incassi raccolti in sala ritornino, almeno in parte, a sostenere la produzione così da incentivare quest’ultima a realizzare film per il cinema e a promuoverli in maniera adeguata. Ne derivano, oltre ai risultati, un sistema più solido e incisivo dal punto di vista economico e dunque più autorevole – in particolare con le associazioni di categoria come l’AFCAE (Association Française des Cinémas d’Art et d’Essai, l’equivalente della nostra FICE Federazione Italiana del Cinema d’Essai) – nei confronti della politica. Sarà un caso. O no?

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